L’estate che non c’è stata sta finendo.
Ho voglia di andare a trovare Brent che vive a Brooklyn. Non lo vedo da Marzo, quando la pandemia ci ha chiusi in casa. I marciapiedi di Soho, che di solito brulicavano di turisti appesantiti da bustoni di Chanel, Louis Vuitton e Moschino, riflettono il tepore di fine Agosto. Sono vuoti. Le strade invece sono intasate da serpenti di macchine in coda. Fobia da mezzi di trasporto pubblici.

Nella stazione della metropolitana di Spring Street c’è un anziano senzatetto che dorme sulla panca di legno. Siamo io e lui. L’odore di aria viziata sotterranea si mischia al puzzo rancido di urina impregnata nei vestiti dell’uomo. Aspetto il treno pensando a quanto i sensi si siano intorpiditi dalla clausura. È davvero strana la sensazione di trovarsi in luogo stigmatizzato ed evitato, ça va san dire, come la peste.
Uno dei grandi piaceri di andare a Brooklyn con la metropolitana è fluttuare sul ponte che attraversa l’East River. All’improvviso dietro i finestrini della carrozza, che di solito si affacciano sul buio pesto delle gallerie, appaiono i grattacieli di Manhattan. Quando si vive in città ci si dimentica che esistano, ma appena ci si allontana, quella vista è sempre una sorpresa. I palazzi nascondono il sole che tramonta nella loro solitudine.
A giugno e luglio c’erano 120,000 appartamenti vuoti in città, un aumento del 26% rispetto allo stesso periodo del 2019. Allo stesso tempo gli affitti astronomici della Grande Mela sono scesi del 10%. La gente se ne va, scappa nelle campagne a nord dello stato di New York, ed è sempre più difficile trovare una casa di campagna a buon prezzo. C’è chi dice che è la fine di questa città, ma i giganti del tech, Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft, continuano ad affittare e ad allargare la loro presenza a New York.
La ringhiera blocca ad intermittenza ipnotica i raggi del sole. La luce scorre sui visi multietnici che popolano la carrozza, illuminando le mascherine che tutti indossano. Se prima della pandemia era difficile immaginare i pensieri di chi stava seduto di fronte, ma che per gioco provavi a indovinare, ora è impossibile. La stoffa copre espressioni ed umori. Hanno paura o non hanno paura? Sono già abituati a muoversi in metropolitana, o come me, hanno ancora un residuo di paura? Studi dicono di non preoccuparsi perché le carrozze cambiano l’aria ogni tre minuti e venti secondi, ma l’angoscia rimane.

Lo stato di New York, al momento, è uno dei luoghi che sembra aver contenuto le infezioni da Covid-19. Dopo mesi traumatici dove tutto ciò che ci circondava era morte annunciata dalla costante presenza delle sirene delle ambulanze, ora ci prendiamo il lusso di andare a trovare un amico. Ma le università aprono e numeri schizzano di nuovo nel resto del paese. La seconda ondata. Si aspetta con ansia la seconda ondata. Ci sono studi divergenti che preannunciano o meno un altro periodo buio, ma la domanda rimane lì, sospesa in aria.
Arrivato a Brooklyn, all’entrata di Prospect Park, una banda di jazzisti suona davanti a un centinaio di persone. La musica fa scordare per un attimo la violenza che sta asfissiando la città. Nella notte del 21 di Agosto tre persone sono state uccise e altre undici sono rimaste ferite in diverse sparatorie. Mentre l’America protesta contro la brutalità delle forze di polizia, a New York aumentano gli omicidi.

Brent mi aspetta sorridente seduto su un blocco di pietra. Ha i capelli lunghi da quarantena e la faccia di uno che è rimasto chiuso con dieci vasche di pesci per mesi. Un amico gliele aveva lasciate in cura, andandosene nelle campagne a nord. Brent mi spiega che non è così semplice pulire così tante vasche di pesci: richiede un giorno intero di lavoro alla settimana. Gli offro una birra.
Chiacchieriamo sul prato al centro del parco fino a quando fa buio. Attorno a noi ci sono diversi campanelli di due o tre amici che si godono il fresco della sera. Un rumore strano ma familiare riempie l’aria. Un suono costante e acuto. Sono le cicale.
E all’improvviso sento l’estate.
*Correzione: in una prima versione dell’articolo pubblicato, per errore, era stato nominato il fiume Hudson tra Manhattan e Brooklyn.