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Hart Island vergogna? Spoon River di dignità, anche durante la pandemia

Come ha detto il sindaco Bill de Blasio: "Non è una fossa comune. E' un luogo che dà la possibilità di identificare i defunti!"

Manuela CaracciolobyManuela Caracciolo
hart island
Time: 6 mins read

Fino a pochi giorni fa, nessuno in Italia aveva mai sentito parlare di Hart Island, una piccola isola al largo del Bronx, dimenticata dagli stessi newyorchesi. Le immagini delle bare sepolte una accanto all’altra in una fossa comune, riprese da un drone e pubblicate da diversi media statunitensi, poi di tutto il mondo,  raccontano l’emergenza coronavirus a New York, ma non in modo trasparente.

Il portavoce del sindaco Bill de Blasio ha dichiarato giovedì scorso che “una pandemia come il coronavirus potrebbe ricorrere a Hart Island per le vittime”. Lo stesso primo cittadino ha sottolineato in un’intervista televisiva alla rete NY1 che “quando tutto sarà finito, le persone potranno andare a recuperare i loro cari. Ma credo che si debba spiegare meglio la questione, altrimenti la gente degli altri Paesi penserà che ci siano semplicemente migliaia di morti buttati nelle fosse: non è così”. I corpi dei defunti saranno seppelliti individualmente, in modo da consentire alle famiglie di reclamare le spoglie dei propri cari quando questa emergenza epidemiologica sarà ormai un ricordo terribile ma lontano nel tempo, e, aspetto non secondario, per una forma di rispetto doveroso alle vittime e alle loro famiglie“.

Non è chiaro se le sepolture incrementate in questo periodo siano di deceduti per il Covid-19 o se siano persone venute a mancare prima della diffusione del virus e spostate all’obitorio per ottenere spazio per accogliere nuovi morti. Tant’è che i droni hanno ripreso dall’alto operai intenti a smuovere casse, e le immagini hanno fatto il giro del mondo senza che fosse chiarita davvero l’incognita.

hart island

LA STORIA

Facciamo un salto indietro, a quando il Dipartimento di Carità e Correzione pensarono all’isola  per la costruzione di un ricovero per anziani dalla Casa dei Rifugiati di Randall’s Island.

Subito dopo l’apertura nel 1869, bare di persone non identificate cominciarono ad arrivare su Hart Island, sia dal Penitenziario di Blackwell trasportati dai traghetti, sia dal Bellevue Hospital.

Durante la febbre gialla alla fine del 1700 venne usata come luogo di quarantena, stesso destino quando scoppio un’epidemia d tubercolosi e fu necessario dotarsi di un sanatorio. Nel 1920, al largo delle coste del Bronx, Hart Island iniziò ad accogliere sotto la terra le vittime dell’epidemia di Spagnola del 1918-19, che uccise 50 milioni di persone, inclusi molti soldati.

Nei secoli successivi Hart Island è stata centro di addestramento per soldati, arena per incontri clandestini di pugilato, campo per prigionieri di guerra, ha ospitato un ospedale psichiatrico femminile e tra le due guerre ci fu un progetto per farne un luna park. Era il 1924, l’isola era già usata da tempo come potter’s field, quando un immobiliarista di nome John Hunter provò a tirare su una Coney Island per gli afro-americani, ai quali era vietato l’ingresso.

Negli anni ’80 e ’90, ha accolto un numero imprecisato di vittime dell’Aids, forse diverse migliaia, ricorda il New York Times in un lungo reportage del 2018, in cui si parla anche dell’Hart Island Project, che ha l’obiettivo di raccogliere le storie di queste vittime dimenticate e di fornire un database e una mappatura online di tutte le salme interrate dal 1980. È stato anche un campo di prigionia durante la guerra di secessione, ha ospitato un istituto psichiatrico e la base di un progetto missilistico dell’esercito statunitense, secondo quanto si legge su Bronx Times, che cita l’ufficio del sindaco.

Ora, il Dipartimento correzionale mantiene operativa la città-cimitero conosciuta comunemente come Potter’s Field su  Hart Island, nell’area di Long Island.

Nel 2018 sono state 1,213 le persone sepolte qui, inclusi 303 neonati morti, 81 bambini e 829 adulti . Quindi non è corretto parlare di fossa comune, ma di un vero e proprio sistema organizzato di tombe riconoscibili e tracciate per permettere ai parenti di trovare facilmente il proprio congiunto.

In periodi normali, circa 150 persone muoiono ogni giorno a New York City. Il Codiv-19 ha effettivamente duplicato questa cifra con funerali casalinghi, cremazioni, cimiteri e obitori cittadini. Circa 120 addetti assistiti da un centinaio di soldati dell’esercito, dalla Guardia Nazionale stanno lavorando a turni di dodici ore guidando in tutta la città per trasportare i corpi.

TRA I SEPOLTI ANCHE PERSONAGGI NOTI

Su Hart Island  non sono sepolti solo homeless o poveri.  Molti dei defunti sono persone non riconosciute dalla famiglia. E non mancano le personalità come lo sceneggiatore e regista Leo Birinski, che morì in miseria nel 1951. Il romanziere americano  Dawn Powell sepolta nel  1970, 5 anni dopo la sua morte, dopo che il suo corpo venne tenuto in uno studio di ricerca medica. Il premio Oscar Bobby Driscoll, trovato morto nel 1968 nell’ East Village fu sepolto a Hart Island. Anche  T-Bone Slim, il cantautore trovò qui il suo posto dopo essere stato ripescato nel fiume Hudson.

“Di questi tempi, Hart Island  fa parte del piano di emergenza pandemica in accordo con i medici e gli operatori sanitari”, ha dichiarato Mark D. Levine, che occupa la presidenza del Consiglio Sanitario.

Il progetto prevede, infatti, il luogo come ideale per le tumulazioni anche perché non accessibile al pubblico. I corpi interrati sull’isola possono essere disseppelliti.

Poco dopo l’inizio dell’epidemia di Covid-19, i detenuti sono stati sostituiti, serviva squadre specializzate, ma probabilmente c’era anche l’intenzione di restituire dignità al rituale. “Una sepoltura a Hart Island non è disonorevole”, ha scritto Melinda Shunt, artista newyorchese che nel 1994, creò il progetto costituito in una associazione nonprofit ngo che aiuta le famiglie a ottenere una copia dell’atto di morte, oltre a poter visitare la tomba e mettere a disposizione il sito per aiutare le persone in cerca del loro defunto.”E’ un luogo sacro e democratico, nel quale tutti sono trattati allo stesso modo”.

IL PROGETTO

È cercando le storie dei bambini dell‘AIDS che i fotografi Joel Sternfeld e Melinda Hunt hanno iniziato a visitare Hart Island. È iniziato così il progetto di assegnare un nome e una storia a tutte le persone sepolte nelle fosse comuni da 150 corpi ciascuna. Il lavoro di Sternfeld e Hunt è diventato un libro, pubblicato nel 1998, un documentario (Hart Island, An American Cemetery,  e soprattutto l‘Hart Island Project. L’obiettivo è fermare il “clock of anonimity”, l’orologio dell’anonimato, restituendo un nome, una faccia e una storia ai corpi sepolti nell’isola. Il risultato è un luogo digitale chiamato Traveling Cloud Museum: cliccando sulla mappa si rintracciano i lotti, e dentro si aprono i profili: un nome e una data di sepoltura, presi dai dati dei registri pubblici incrociati col GPS e le foto dai droni. Questi profili sono lapidi digitali da completare: si può chiedere di aggiungere una foto, un profilo, una biografia.

La mappa interattiva è una Spoon River spontanea della povertà americana. “Homer Bowman nacque il 18 aprile del 1900, lavorò nelle ferrovie e come lavapiatti, morì a New York nel 1982″. “Paul Peller nacque a New York nel 1910, fu un soldato nella Seconda guerra mondiale”. Di lui non si sa più niente fino alla sua morte, nel 1986. Di Emmie Campbell c’è scritto: “Abbiamo ritrovato la nostra mamma grazie all’Hart Island Project, era una veterana della Seconda guerra mondiale, l’abbiamo seppellita con tutti gli onori nel Cimitero militare di Calverto

Utilizzando Global Positioning System (GPS) dal 2014, una mappa interattiva collegata ad un software racconta la storia di ogni lotto rintracciabile dal “Traveling Cloud Museum”, che raccoglie informazioni su ogni persona sepolta. Nel sito è stato aggiornato con una mappa GeoTIFF di immagini fotografate dai droni, con circa 69 mila foto delle tombe con informazioni, storie, date, epitaffi, canzoni e video raccolti dai parenti, come nel caso dell’identificazione dei morti di AIDS.

Si ribadisce quindi il concetto: Hart Island non è una fossa comune, ma un luogo di accoglienza per i defunti, dal 2 secoli a questa parte, pronto a dare la pace della Terra a chiunque incontri la morte. Corona Virus o meno.

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Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo, fin da bambina ha coltivato la passione per tutto ciò che è creazione ed espressione artistica. Dopo avere frequentato l’Istituto Europeo di Design a Torino e si diploma nel 2001 al Corso di Fashion & Textile Design, lavora per alcuni anni come stilista e graphic designer. Amante della creatività anche nel campo letterario, rispolvera la sua antica passione per la scrittura. E’ giornalista e reporter dal 2007 e collabora con il giornale locale Gazzetta d’Asti e altri fogli locali e con i magazines americani America24 del gruppo il Sole24ore e La Voce di New York scrivendo articoli di costume, arte e cultura. Si occupa di comunicazione per varie realtà associative nell’ambito dell’arte, della cultura , dell’enogastronomia. Ha partecipato e vinto numerosi riconoscimenti letterari con racconti e poesie e ha pubblicato nel 2011 una raccolta di racconti “Storie sole” per Carta e Penna edizioni . A gennaio 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo "Quella notte a Merciful street" edito da Trenta Editore.

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