Questo weekend, a New York e in giro per il mondo, si è celebrato il cinquantesimo anniversario della rivolta di Stonewall; un evento fondamentale che ha dato il via a un movimento rivoluzionario per la lotta ai diritti delle comunità LGBTQ. Dal 1970, in contemporanea con il ricordo di Stonewall, si celebra la cosiddetta Pride March, una marcia solidale che teoricamente dovrebbe accrescere la consapevolezza nei diritti delle comunità LGBTQ e allo stesso tempo renderci più sensibili e premurosi nei confronti delle comunità non eterosessuali. È certamente un obbiettivo ambizioso ma necessario per preservare la libertà e la dignità umana di tutti; è dunque moralmente giusto partecipare a queste celebrazioni ed abbracciare tutte le diversità.
Questo è quello che mi ero messo in testa di fare domenica 30 giugno, il giorno in cui ci sarebbe stata la Pride March a New York. Ho inoltre la fortuna di vivere molto vicino a dove la marcia sarebbe terminata, rendendo il tutto molto pratico per me. Mi sono dunque svegliato la mattina presto, e dopo un caffè espresso consumato di fretta, e un’occhiata al New York Times, mi sono recato al luogo dell’evento. Ma appena ho messo un piede fuori dall’ascensore, ho capito che non sarebbe stato il tipo di giornata che mi aspettavo. Davanti a me sono apparse 3 ragazze, poco più che adolescenti, vestite con dei mini jeans e con addosso solamente un reggiseno. Dalla testa in giù erano dipinte dai colori dell’arcobaleno, mentre una di loro aveva i capelli viola. Venti secondi dopo essermi ripreso dallo shock, e avendo liberato l’ascensore a queste 3 ragazze, ho provato a darmi una spiegazione logica. Può darsi che io abbia dormito tutta l’estate e mi sia risvegliato di colpo proprio nel giorno di Halloween, celebrazione molto diffusa e apprezzata negli Stati Uniti. Ma la mia memoria, normalmente non brillante, mi ha velocemente ricondotto al New York Times sfogliato pochi istanti prima; era effettivamente il 30 giugno 2019, giorno della Pride March. Ho quindi ripreso coraggio, e con molti dubbi ancora in mente, ho aperto il portone del mio palazzo e mi sono affacciato fuori.
Oltre al solito forte odore di marijuana che giornalmente riempie le narici di chi ha la fortuna di abitare a Greenwich Village, sono stato subito colpito da una ciurma festante di ragazzi della mia età in mini jeans, mentre suonavano ritmicamente dei tamburi. A questo punto ho pensato che magari, oltre alla Pride March, fosse in atto anche il festival mondiale dei mini jeans. Mi sono dunque rimproverato e ripromesso di leggermi più attentamente il New York Times d’ora in avanti, cosi da poter essere sempre pronto ad ogni evenienza e per qualsiasi festival. Incamminandomi verso il Washington Square Park, luogo in cui sarebbe passata la mitica marcia, mi sono imbattuto in una folta compagine di ragazze con addosso delle maschere rappresentanti dei politici più importanti del momento: dal Presidente Americano Donald Trump, al dittatore Nord Coreano Kim Jong Un, allo tsar russo Vladimir Putin. Ho subito pensato, “che bella idea!”, non è spesso, purtroppo, che i ragazzi della mia età si interessino alla politica; sapete, con le Kardashian in onda tutti i giorni e con una, o più, pagine Instagram da aggiornare costantemente, non rimane molto tempo per il resto. Il mio rallegrarmi però, è stato presto sostituito dalla paura: non avevo infatti notato che dietro a queste simpatiche ragazze c’erano degli altrettanto simpatici ragazzi con delle torte alla panna in mano. Nel giro di pochi secondi ho capito quello che stava per succedere. Con un guizzo che neanche Ronaldo – il brasiliano – possedeva ai tempi d’oro, mi sono scansato e ho lasciato le povere ragazze, che presumibilmente erano compiacenti al gioco, venire spiaccicate sulle loro maschere da delle belle, e sicuramente appetibili, torte alla panna.
Stavolta, senza chiedermi troppi perché, ho continuato il mio cammino verso Washington Square Park. Una volta arrivato all’iconico parco, nel cuore di Greenwich Village, ho appreso che la marcia non sarebbe “ufficialmente arrivata” fino a mezzogiorno. Avendo un ora di tempo libera prima che arrivasse la marcia, ho scelto di dirigermi verso lo Starbucks più vicino. Arrivato nel centro del parco, dove risiedono le storiche statue di George Washington, Giuseppe Garibaldi, e Alexander Lyman Holley, ho diretto lo sguardo verso il famoso Washington Square Arch – l’arco di Washington – che incornicia alla perfezione una bellissima fontana circolare sottostante. È in quel momento che il mio sguardo si è impietrito; dinanzi a me, dentro quelle stupende fontane, e davanti allo sguardo del padre fondatore degli Stati Uniti d’America e del Generale patriota italiano, danzavano, come se niente fosse, una ventina di donne completamente nude con il seno in mostra, indossando solamente delle gonne. Va bene che a New York faceva particolarmente caldo, ma nemmeno durante l’ondata di caldo africano si è vista gente danzare nuda nelle fontane del Castello Sforzesco. Mi è sembrato sinceramente troppo, specialmente perché c’erano dei bambini a spasso coi genitori e i nonni, essendo una bella giornata di sole.
Senza nessun dubbio o rimpianto, mi sono diretto sconsolato verso casa, senza nemmeno passare da Starbucks e senza aspettare l’arrivo della marcia. Durante il tragitto verso casa mi sono chiesto il perché di tutto questo. Sono passato dall’accusarmi di essere un bacchettone, poco aperto alle diversità, al rivalutare tutti i miei principi e le mie morali. Sono infine giunto alla conclusione che la colpa non può essere mia. Sono sempre stato un ragazzo aperto alle diversità; avendo avuto la fortuna di vivere in paesi con culture all’antitesi, ti rendi presto conto che c’è sempre qualcosa che vale la pena imparare da tutto e da tutti. Ma celebrare in questo modo un evento cosi importante per la presa di coscienza, e la conseguente accettazione dei diritti LGBTQ, non mi sembra solo irrispettoso verso quelle stesse comunità, ma anche ridicolo e insultante. Perché mai dovrebbe una persona che non fa parte della comunità LGBTQ immedesimarsi in presunti stereotipi appartenenti a membri di quella comunità? Questo articolo lo voglio dedicare alle tante persone che fanno parte della comunità LGBTQ e che oggi non erano in strada per la marcia. Noi ci siamo, e lottiamo sempre e comunque per i vostri diritti, senza dover andare in giro mezzi nudi o con degli arcobaleni in faccia.
Organizziamo dei dibattiti in strutture apposite, finanziamo delle conferenze che parlino dell’importanza di questi diritti civili, e perché no, se necessario, ben vegano le proteste per strada e i sit in! Abbiamo l’opportunità di vivere in una democrazia liberale, sfruttiamola, e come direbbero qua in America, “let’s speak up”, quando c’è qualcosa che non va o qualcosa da celebrare. Va bene anche l’atmosfera carnevalesca, anche se non ne comprendo il bisogno; ma per favore, manteniamo un minimo di dignità e rispetto verso tutti. Altrimenti si rischia veramente di cadere nel ridicolo e perdere di vista l’importanza dell’evento. Sono purtroppo certo che molti di quelli per strada oggi non conoscano la storia dietro Stonewall, ma erano li solo per scattare foto o per ballare in mezzo alla fontana.
Il carnevale è una cosa, la lotta per i diritti civili è un’altra, teniamolo sempre bene in mente.
Il mio pezzo doveva finire qui, con la frase sopra menzionata. Sono però costretto ad aggiungere un altro triste paragrafo alla mia esperienza. Verso le otto di sera io e i miei coinquilini abbiamo deciso di andare a mangiarci un boccone in un ristorante vicino alla nostra abitazione, a pochi passi dal Washington Square Park. A parte la miriade di immondizia buttata per terra dai partecipanti alla marcia, ci siamo imbattuti in persone ubriache che ci hanno urlato contro e abbiamo visto più di un individuo fare uso di sostanze proibite. Allora mi chiedo, è veramente questa la Pride March? Pride di cosa? Di ubriacarsi e drogarsi? Non doveva essere un giorno per ricordare i coraggiosi rivoluzionari di Stonewall? Dal mio punto di vista questa rimembranza ha preso tutti i contorni di un festival qualsiasi, ai livelli di Coachella o Tomorrowland. Ecco, il rispetto e la dignità che chiedo sta anche qua, sta nel non insultare o dispregiare il nome dei coraggiosi di Stonewall con comportamenti che farebbero vergognare i propri familiari o amici. Chiedo troppo?