Per le strade di Manhattan, soffia il primo vento freddo dell’autunno. I grattacieli si nascondono uno dietro l’altro nel centro, proteggendo i passanti dal grigio. La città inonda i suoi abitanti di distrazioni, tra luci, musei, negozi, bar e ristoranti, da Manhattan si fa fatica ad accorgersi dell’autunno che avanza.
Il MoMA, celebre museo d’arte moderna, figura da ormai oltre 70 anni come una delle destinazioni più gettonate ed amate da newyorkesi e turisti. Da qualche anno a questa parte, però, il MoMA offre ai suoi patroni una destinazione al di fuori dalla verticalità di Midtown. Il MoMA PS1, inaugurato negli anni ’70, è difatti un enorme spazio misto interno/esterno allestito per mostre a contenuti variabili. A differenza del suo più celebrato primogenito, però, il PS1 non è coricato nella stessa giungla metallo e cemento, bensì nella piana vastità di Long Island City.
LIC, come piace chiamarla ai manhattanites, è la nuova, piccola realtà culturale nata subito oltre i confini del Queensboro Bridge. Anche se oltre le acque verdognole dell’East River s’intravedono ancora i grattacieli, basta attraversare il ponte per tradurre la verticalità di Midtown ad una disorientante orizzontalità. Dentro a questa diversissima realtà, convenientemente accanto alla fermata della metropolitana, figura una normalissima corona di palazzoni rettangolari fatti a piccoli mattoni rossi. Girato l’angolo, però, il rosso mattone si trasforma in bianco, e i rettangoli si aprono in un enorme cortile targato MoMA PS1, dentro al quale figura, bianco latte, la metà superiore di un triangolo sferico che pare rimosso dal set di un film di fantascienza. Assieme al rosso dei palazzi, completamente rinnovati e perfettamente illuminati all’interno, la bolla aliena crea un quadretto dagli strani, avvincenti contrasti tra futuro, presente e passato.
Qui, dove i palazzi non nascondono il cielo, l’autunno si sente, e si sente eccome. C’è troppo freddo per bere birra e all’annuale MoMA PS1 Art Book Fair si beve solo vino. L’evento, che si tiene ogni anno nel penultimo weekend di settembre, racchiude dentro di sé proposte editoriali artistiche ed indipendenti da aziende, università e laboratori di tutto il mondo. Dentro al rosso dei palazzi, in stanze rinnovate e perfette, si vendono e si mostrano stampe, libri, e progetti che altrimenti rimarrebbero ignorati dalla scena artistica generale. Aziende, produttori ed artisti da tutto il mondo espongono, e vendono, le loro ultime creazioni. Alcune costano cinque dollari, altre diecimila. Intanto, nel mezzo del cortile da dietro due giradischi e una console, un DJ suona musica dal vivo, accompagnato solo dagli stramazzi dei baristi e le piccole chiacchiere di coppiette ed amici coricati nelle comode seggioline del cortile.
Il quadretto crea quindi qualcosa che non è né una mostra, né una sagra, né un mercato, né una festa. È tutte queste cosa e nessuna: è esattamente quello che decidi tu, in quel preciso momento. Diventa quindi molto più che una vetrina, diventa un’esperienza a trecentosessanta gradi, pronta ad essere interpretata in una miriade di modi diversi, come d’altronde l’arte proposta al suo interno. Diventa qualche cosa di fluido, che può cambiare in base all’esperienza giornaliera dei suoi patroni, e che sembra quasi sapersi adattare ad ogni possibile evenienza senza dover cambiare nulla.
Purtroppo, per discutere le proposte artistiche che popolano i banchi e le mura del PS1, ci vorrebbero un’infinità di pagine. Come tutto ciò che la circonda, la creatività esibita nello spazio non conosce limiti concettuali, e si spinge inesorabile su ogni fronte possibile ed immaginabile. Artisticamente parlando, non manca nulla, come d’altronde al MoMA di Manhattan. A differenza sua, però, all’Art Book Fair, non bisogna stare dietro alcuna linea per ammirare un lavoro. I pezzi si possono toccare, maneggiare, e, se rientrano nel budget, si possono portare a casa. Riscontriamo quindi, anche nella diversità dei contenuti stessi, la stessa adattabilità, la stessa fluidità, che contraddistingue questo strano evento dal resto. Distrugge i confini concettuali incorporandoli tutti. Racchiudendoli tutti dentro le sue mura, e lasciandoli respirare l’aria aperto del cortile, lo spazio, come l’arte all’interno, si presta ad ogni e qualsiasi interpretazione personale.
Non è quindi un caso che, seppure l’evento si tenga solo dalle 6 alla mezzanotte, sappia comunque attrarre a sé una diversità umana incredibile. Non c’è nessuno “fuori luogo” al MoMA PS1, perché è assolutamente impossibile esserlo. Come la città che gli sta alle spalle, come il concetto architetturale del complesso, come la struttura interna dell’Art Book Fair, accoglie tutto, e tutti. Si va a creare dunque uno spazio libero da pressioni culturali o societarie, che va a diventare un bellissimo rifletto del tessuto umano newyorkese. Lo strano, in tutto ciò, è che un posto del genere debba spostarsi al di fuori della famosa concrete jungle. Lasciando le costanti corone di palazzi lontane, sotto le stelle di un cielo più libero e completo, entrare in questo spazio sembra portare dell’aria nuova a polmoni stanchi della città, e dei concetti nuovi ad occhi abituati a guardare sempre in su.