La prima volta che ti ho incontrato, New York, mi sei sembrata subito bellissima e accattivante, ma anche aggressiva e indifferente. Io abitavo nel Barrio, ad uptown, ad est, in quel Barrio in cui ho abitato ancora vent’anni dopo. Si parlava lo spagnolo lì, ed io, essendo italiana, in qualche modo con quella lingua me la cavavo. Le parole non avevano creato problemi, c’era in giro però un certo senso di estraneità. Estraneità perché tu, New York, quando ti chiudi dentro le comunità e dentro certe chiese, puoi diventare fredda e addirittura odiosa. Decidi di infischiartene del mondo che sta fuori da quel pezzettino di te, quel pezzetto che per alcuni rappresenta il tutto, per altri invece rappresenta solo quello che sta al di fuori del tutto. Sei ancora così, diciamolo pure, odiosa a volte.
Ma questo è anche il tuo bello. Lanci sfide continue al camminatore solitario come me. Sei come quegli amici che prima di essere amici, ti mettono alla prova. Se la prova viene superata, tu rimani per sempre. Ecco, tu, mia citta’ amatissima, sei per me la forza, sei la mia forza. Sei aperta e chiusa e, sta a chi calpesta il tuo territorio saper cogliere la tua eleganza, la classe che nascondi anche nella ferraglia dei ponti del Bronx e del Queens, in quel Queens in cui spesso ci si ringrazia con efkaristoe si mangia tanto cibo greco.
La prima volta con te, tra le tue strade, soprattutto quelle che si fanno strette e lastricate nella parte più bassa di dowtown, non amavo tanto il tuo puzzo. Ora, noto, sei addirittura profumata: sarà l’amore a farmi esprimere così? Di certo il tuo cielo è sempre azzurrissimo, anche nelle giornate gelide. Così, anche quella ferraglia dei ponti si armonizza con i colori che non sono più urbani, né umani.
Una cosa è certa. Chi ha imparato ad essere libero, chi ha imparato a non sentirsi perso quando si perde perché trova nell’abbattimento dei soliti riti il piacere del nuovo, chi ha imparato o vuole imparare a non vedere il bello solo nella pietra della romanità, troverà in te quel terreno per spiccare il volo, la base da cui partire per andarsene a zonzo. Si passeggia tra il cemento finemente decorato e, di nuovo, la ferraglia.
Be, se ti vedo così, il Barrio non sarà più un luogo chiuso, ma la porta di Harlem, il quartiere in cui James Baldwin maturava il suo pensiero. Le cose che offendono, diceva, e le cose che aiutano, non sono separabili le une dalle altre. Ecco perché, New York, tu ami e odi. La vita è up and down, insegni, e up and down we go. Si sarebbe tentati di dire che si passa da un disastro al disastro seguente. Dall’acciaio elegantemente intrecciato dei ponti, alla ruggine che si lamenta lungo un pezzo della ferrovia di Astoria.