Anche se tecnicamente sono nati in Europa negli anni ’90 come luoghi aggregativi dei primi hacker, gli spazi di coworking trovano la loro massima espressione proprio oggi e proprio qui, a New York. Ne esistono centinaia, ma sarebbero migliaia se volessimo includere nella lista anche tutti bar, caffè e librerie che offrono la possibilità di lavorare da remoto, magari in gruppo. Basta in fondo qualche tavolino, una buona connessione wi-fi, del caffè, e qualsiasi cosa, anche la più straordinaria, può avere inizio.
Per definire propriamente un coworking non bisognerebbe però partire dallo spazio, ma dalla comunità che si sta creando. Per questo motivo a NYC sono molti i luoghi che riuniscono persone che vogliono lavorare insieme su uno specifico settore: esistono i coworking i per chi lavora nella fashion industry, quelli per gli economisti, i musicisti, gli smanettoni; e naturalmente quelli per creativi, forse i più numerosi. Insomma c’è un po’ di tutto per tutti, anche quelli con la palestra per lo yoga all’interno.
Noi ne abbiamo provati 5+1 (uno un po’ speciale) in modalità solitaria, quindi senza fare o cercare nessun networking con le altre persone, ma anzi comportandoci da orsi. Ma del resto anche questo è un modo per usare il coworking, anzi è di gran lunga il più comune anche se può sembrare un controsenso.

Abbiamo iniziato da Croissant, uno spazio seriale orientato a chi mastica tecnologia, agli innovatori, a chi vede della poesia in un algoritmo. Naturalmente ti puoi sedere insieme ai nuovi Elon Musk anche se non sai cosa sia una Tesla: non starai sfruttando al massimo la forza aggregante del posto, ma sei comunque il benvenuto. Il nome è evidentemente un omaggio ai caffè della città, i veri prodromi dei coworking spaces. È una catena con più di venti uffici in città: più di uno per ogni quartiere. Quando arrivo nel mio, mi illustrano le varie possibilità facendomi fare il classico mini-tour di benvenuto; mi aspetto oltre al caffè di ordinanza almeno un croissant simbolico, ma non ne hanno. Però lo spazio è bello, grande, abbastanza curato. Nonostante le lavagne con le solite scritte artistiche il posto non ha il vibe delle comunità di scrittori, art director o sceneggiatori. Tutto è molto tranquillo e serio qui. Fate conto di trovarci dei giovani scienziati con la felpa, silenziosi e assorti. Nella loro descrizione sul sito infatti si vantano di questo: Siamo come un caffè, ma da noi non troverete nessun gestore che vi chiede “Hey, stai scrivendo anche tu una sceneggiatura?”. Lo spazio ha un bellissimo bar e una piccola sala conferenze a gradoni con un grande schermo. Al di là di un vetro, una scritta annuncia: “Accelerator place”. Provo disagio, ma resisto una mezza giornata. Attenzione però perché le tariffe sono solo mensili, e non si può fare l’ingresso giornaliero. Puoi scegliere un monte ore che va dalle 10 al mese (a 39$ mensili), alle 40 ore (129$) o 120 (249$).

La letteratura hipster non esitava a definire il NeueHouse come il coworking space più bello di tutta la città. Una sede a New York (25 St e Park Avenue) e una a Los Angeles, ma basta affacciarsi al suo ingresso su strada per capire dove si è capitati. L’arredamento, le luci, gli spazi, i divani e i tavoli fanno capire che il posto ha qualcosa in più degli altri, da tutti i punti di vista. Persino nei bagni, dove ci sono fiori, rubinetti art decò, e il sapone è firmato Aesop. Si possono affittare postazioni singole, oppure tavoli interi, o al piano di sopra veri e propri uffici arredati con gusto super raffinato, che sfiora quasi il lusso. Riviste di arte sono a disposizione degli ospiti così come acqua al lime in bicchieri di vetro, caffè, oppure un intero bar molto discreto e fornito. Ma come incide tutta questa attenzione per i dettagli sul lavoro che stai svolgendo? Da NeueHouse pensano che faccia la differenza. Se lavori in un posto super piacevole, lavorerai meglio e di più. E la predisposizione al sorriso genererà maggiori relazioni.
Non regna il silenzio qui, ma nessuno sembra davvero volerlo. Addirittura in sottofondo si avverte una musica che non disturba, ma c’è. Un brusio molto operoso ci fa capire che qui si crea, ci si scambiano idee. Sembrano tutti amici, e forse lo sono. Non conosci nessuno? Abbi pazienza, qui costruirai la tua rete. Molti lavorano da soli, altri sono al telefono, tutto fa capire di essere in un coworking per comunità creative e non per geek dell’informatica o della finanza. Il vero inconveniente è che anche da NeueHouse non è previsto l’ingresso giornaliero: il periodo minimo è un mese, e il costo non è irrilevante: per i lavoratori si va dai 150$ mensili (solo alcune aree) ai 400$ (spazi comuni) o anche 900$ per avere accessi illimitati. Ma potrebbe davvero valerne la pena.

Paragraph si propone invece come uno spazio per chi scrive, “A workspace for writers”, pensato da scrittori per scrittori. Ma cosa può definire uno spazio come spazio per writers? Siamo andati a provarlo conoscendo già la risposta: il silenzio. Tutte le informazioni sul luogo vengono fornite sottovoce, tanto che si rischia di non capire nulla. Una volta superata la porta che introduce nel vero e proprio spazio di lavoro, sembra di essere in un call-center silenziato: tanti cubicoli grigi uno accanto all’altro, del tutto impersonali, quasi tristi si potrebbe dire. Mi domando cosa direbbe Joseph Conrad di questo luogo, lui che si chiedeva “come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. Se prendi una postazione qui, hai davanti una parete grigia e una lampada, nient’altro. Ma io per emulare Conrad scelgo una delle due postazioni accanto all’unica finestra, che affaccia su uno snodo industriale di Brooklyn, il che può essere anche una bella vista se sei cresciuto con l’idea di New York che regalavano i film indipendenti degli anni ’80. Il direttore di Paragraph mi spiega che il posto funziona proprio per quello: non ha distrazioni. Nessuno parla con nessuno, un po’ il contrario di NeueHouse. Lo tengono triste apposta. Devo dire che un po’ è vero: la mia mezza giornata lì risulta alla fine molto produttiva, anche se nelle ore in cui ho scritto ho incontrato solo altre 2 persone. Naturalmente mute. Quasi un flop, commercialmente parlando. Le due sedi di NY sono: 35 West 14th Street e 84 Withers St a Brooklyn. Ottime le tariffe che vanno dai 25$ per il giornaliero a dei pass mensili da 170$ o 215$.
We Work è un po’ l’IKEA dei coworking. La rete più famosa di tutte. Ha 53 punti sparsi ovunque, tutti diversi tra loro anche se con alcuni elementi in comune, come ad esempio le pareti di vetro per non creare barriere, specie alla luce. Peccato che anche qui non si possa fare l’accesso giornaliero: un desk costa intorno ai 400$ al mese, poco più di 10 dollari al giorno. In tutti questi spazi l’accesso è valido 24/7, cosa peraltro valida anche per gli altri brand. I servizi di segreteria normalmente cessano intorno alle 18, ma questi sono luoghi in cui si potrebbe quasi rimanere anche a dormire, se uno riuscisse a farlo da seduto. Ogni ufficio ha fotocopiatrice, scanner, e offre gratis caffè, the, fruit water e in alcuni casi anche birra. Poi un bar a pagamento provvede a tutto il resto.
La quasi-ossessione dei newyorkesi per tutto ciò che sia organico e naturale si applica in qualche modo anche in questo spazio di Soho chiamato significativamente The Farm. I fondatori scrivono sul sito di essersi imbattuti in questo vecchio fienile nel Missouri, e di averlo poi trasportato pezzo a pezzo fino a New York, ricostruendolo con le proprie mani qui, al 447 di Broadway, secondo piano. Quale beneficio dovrebbe apportare lo svolgimento di un lavoro contemporaneo in un antico fienile ricostruito, non è dato sapere. In questa sorta di cow-working, c’è tanto legno, del verde, dei vecchi teli di juta. Lo spazio non è grande: uno stanzone con decine di tavoli allineati uno dietro l’altro, e alle due estremità due spazi comuni più piccoli, uno con piacevole gradinata (ovviamente di legno) che si affaccia su un tratto incasinato di Broadway. Viene offerto del caffè, acqua a volontà, ma niente fieno. I bagni sono di legno, il wi-fi funziona, tutti sono relativamente contenti anche per via delle tariffe molto buone: 25$ al giorno con un pratico daily pass, attivabile anche senza prenotazione lì per lì. Se invece volete uno spazio/ufficio tutto per voi e per i vostri partner, sono circa 500$ per persona al mese.
Raccontando a cena a un amico newyorkese di questo mio tour nei coworking spaces della città, lui mi illumina con un consiglio finale.

“Ma perché non te ne vai alla splendida New York Public Library? È gratis, bellissima e silenziosissima. Non sarà hipster, ma in fin dei conti non è anche questo un punto a favore?”. Come ho fatto a non pensarci prima. Ci vado il mattino dopo e non me ne pento. Certo, non avrò l’acqua al limone o le foto dello Standard Hotel alle pareti, ma l’immensa Rose Main Reading Room fa davvero stare in silenzio tutti gli altri posti con la sua bellezza imponente, le sue vetrate da cui fanno capolino alcuni dei più bei palazzi della città. Le postazioni sono quasi tutte occupate, ma il posto è talmente grande che è sempre possibile sedersi a una scrivania in cui con ogni probabilità si sono accomodati prima di te premi Pulitzer, inventori, premi Nobel, storici, giornalisti. Il tutto 100 anni prima che la parola coworking esistesse.
Chissà cosa avrebbero potuto creare, se qualcuno ci avesse pensato.
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