Una storia di eccellenze, innovazione, che copre circa tre secoli. Una storia innanzitutto italiana, quella di Pirelli, che affonda le sue radici nel 1872, anno in cui a Milano venne fondato il primo stabilimento. Nei successivi 300 anni, tanti altri ne sarebbero stati aperti, e non solo in Italia. Perché oggi il marchio Pirelli è noto in tutto il mondo, al punto che ad ospitare la presentazione del libro “Pirelli. Tecnologia & Passione 1872-2017”, è stato proprio il Consolato Generale d’Italia a New York. Non a caso l’evento, presentato dal giornalista Gianni Riotta e introdotto dall’ambasciatore italiano negli USA Armando Varricchio, non si rivolgeva esclusivamente a una platea italiana: è stato infatti l’inglese la lingua prescelta per parlare di un’eccellenza del made in Italy, che pure, come molte altre con lei, da due anni a questa parte è in mano ai cinesi.
A parlarne, Marco Tronchetti Provera, ad e vicepresidente del gruppo Pirelli; Carlo Bellavite, autore del volume e docente di Corporate Finance presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; il giornalista del Financial Times James Fontanella-Khan, e il columnist di The Economist Patrick Folius. L’ambasciatore Varricchio ha sottolineato la forte espansione internazionale dell’azienda, presente a livello commerciale in 160 Paesi del mondo e in 13 altri con 19 stabilimenti. Nonostante ciò, la compagnia nata dalla coraggiosa e lungimirante visione di Giovanni Battista Pirelli è rimasta italiana per brand, qualità e attenzione ai dettagli.

Una storia attentamente ricostruita dall’autore del volume, Carlo Bellavite, che a buon diritto ha definito il proprio lavoro una “archeological explanation”. Una storia che, secondo quanto emerso dalla serata, si potrebbe riassumere con la parola chiave “innovazione”. Perché l’elemento che più ha contribuito al successo dell’azienda, ha spiegato Bellavite, è stata la costante attenzione alle attività di ricerca, innovazione e sviluppo, oltre a un’attenta politica di corporate social responsability, di branding e di corporate governance.

Nonostante l’accordo firmato con i cinesi della China National Chemical Corporation, tutti i relatori hanno sottolineato dunque la persistente italianità dell’azienda – che in Italia ha mantenuto il suo quartier generale – e la sua costante attenzione a mantenere una forte connessione con i luoghi dove sorgono i propri stabilimenti. Altra partnership importante oltre a quella cinese, quella con Telecom Italia, che risale al 2001 quando il Gruppo Pirelli, affiancato dalla famiglia Benetton e da due banche italiane (Intesa e Unicredito), ne acquisì da Bell, attraverso la società Olimpia, una quota di circa il 23%.
Pirelli è certamente un esempio di quanto la Cina si stia internazionalizzando (nonostante Donald Trump) e acquisendo asset strategici e tecnologici in tutto il mondo, ha poi spiegato il columnist di The Economist, che ha riconosciuto tuttavia al modello Pirelli la capacità di preservare la propria tradizione nonostante tutto. Una mission, questa, emersa anche dalle parole di Tronchetti Provera, che ha esplicitato il suo impegno a mantenere saldo il legame con il Belpaese, patria, innanzitutto, della creatività. Secondo l’imprenditore, l’Italia ha di fronte a sé una grande opportunità, “se diventiamo consapevoli delle occasioni che ci aprono le nuove tecnologie”. L’azienda, ha osservato, è cambiata più rapidamente negli ultimi tre anni che nei suoi tre secoli di storia proprio grazie alle nuove tecnologie.
Per il giornalista del Financial Times, la grande sfida per Pirelli in particolare e per l’Italia in generale è quella della “vision”: è il modo di pensare a rendere grande un’azienda. “L’Italia dovrebbe puntare sull’enorme capitale umano, presente anche qui tra gli italiani a New York”, ha osservato. Ma il segreto del successo duraturo di Pirelli, che prosegue nonostante le indubbie difficoltà, per Tronchetti Provera è la capacità di lavorare su un brand che è più di un semplice marchio: è una comunità. “Siamo sempre più vicini ai nostri consumatori”, ha spiegato, puntualizzando che “oggi l’industria che vende solo prodotti e non offre servizi è perdente”. Infine, ha chiosato: “Dobbiamo conoscere bene ciascuno dei nostri clienti”. E, secondo i relatori, è proprio questo costante tentativo di interpretare le esigenze dei consumatori, oltre all’amore per la tradizione italiana, l’attenzione ai dettagli e l’apertura all’internazionalizzazione, ad aver fatto grande il nome di Pirelli da tre secoli a questa parte.