Al World Trade Center, le voci si confondono con il rumore dell’acqua che, da anni, osserva ciò che non c’è più. Due enormi cavità seguono il perimetro dove sorgevano le Torri Gemelle. In molti, a New York, le chiamano semplicemente “vasche”. E da anni accolgono chiunque passi di lì: turisti, familiari, amici. Ci passano tutti, almeno una volta. Lì accanto, un museo sotterraneo raccoglie i frammenti di una mattina di settembre che cambiò ogni cosa. La percezione, lo spazio, il tempo. Incisi sul marmo scuro, i nomi e i cognomi di tutte le persone che non ci sono più, che da sedici anni sono rimaste lì, in quel quadrilatero di Manhattan. Tra la confusione del traffico e le voci di chi, incuriosito, si avvicina a quel luogo. E che non sono mai più tornate a casa. Appoggiati sui nomi, dei fiori e qualche oggetto. Pupazzi, cioccolatini, biglietti.
È il monumento che onora le vittime dell’11 settembre. Ed è un luogo tranquillo, pieno di verde. Migliaia di persone, ogni giorno, frequentano quel posto. In molti scattano foto. Dall’ultimo attentato che ha colpito il cuore di New York, il 31 ottobre 2017, sono passati pochi giorni. Non molto lontano dal World Trade Center, un pick-up bianco, guidato da Sayfullo Saipov (il 29enne uzebeko che ha dichiarato di aver agito in nome di Daesh), ha travolto e ucciso otto persone su una pista ciclabile nel quartiere di Tribeca. È stato il primo attacco dopo l’11 settembre.
“Sono molto spaventato da quanto accaduto. Che sensazioni provo? Tristezza e delusione”. A rispondere, un turista, probabilmente russo, che non parla inglese. È lì con una parente, che traduce le domande per lui. Scandisce le parole sorridendo, probabilmente per timidezza. È a New York in vacanza e osserva le due vasche incuriosito. A poche ore dalla Maratona di New York, La Voce ha chiesto ad alcuni turisti le loro sensazioni dopo gli attacchi di Tribeca.
Uno di loro è americano, viene dalla Pennsylvania, e ad Halloween non si trovava ancora nella Grande Mela. Nonostante ciò, quanto accaduto il 31 ottobre scorso non l’ha distolto dall’intenzione di partire: “Volevo venire qui e vedere questo bellissimo monumento e onorare le persone che hanno perso la vita in quel ridicolo, folle atto” che l’11 settembre 2001 ha cambiato il mondo. Non si legge paura nei suoi occhi: più che altro “consapevolezza”, che poi è l’esatto termina che utilizza lui per descrivere il proprio stato d’animo: consapevolezza che ogni giorno, da un momento all’altro, qualcosa di terribile potrebbe accadere, e che ognuno di noi potrebbe esserne vittima. Ma quando gli chiediamo se ritenga che la gente abbia ormai fatto l’abitudine ad eventi di questo genere, e se per questo siamo ormai tutti “anestetizzata” e meno soggetti alla paura, ci risponde che, al contrario, oggi si ha molta più paura di un tempo, proprio perché si ha la percezione che qualcosa di tragico possa accaderci in qualunque momento.
Tra le persone incontrate, anche due donne francesi, originarie di Nizza – la cui meravigliosa promenade è stata teatro del primo scenografico attacco con un pick-up il 14 luglio 2016 –, giunte a New York per correre la maratona. Le donne ci raccontano di aver rivalutato con attenzione la propria partecipazione alla gara dopo l’attentato del 31 ottobre, ma di aver poi “cercato di non pensarci e di focalizzarci sullo sport”. “Penso che ad essere preoccupate siano soprattutto le nostre famiglie rimaste in Francia, che si saranno fatte delle domande sulla reale sicurezza della competizione”, hanno spiegato. Raccontandoci peraltro di essere state direttamente toccate, proprio sulla promenade di Nizza, da questa nuova forma di terrorismo “frattale”. Quelle immagini sono ancora stampate nella loro memoria: “E’ successo nel momento in cui c’erano i fuochi d’artificio, durante la nostra Festa nazionale, quindi è stato duro sapere che persone che conoscevamo sono rimaste uccise in quell’attacco”. Sì, dopo eventi di questo genere il tuo stile di vita cambia, raccontano. Ma puntualizzano: “Difficile smettere di vivere per qualcosa che non si può prevedere”. Anzi: “Dobbiamo continuare a godere della vita ancora di più”, Nonostante attacchi di questo tipo non guardino in faccia nessuno: né donne, né bambini. “Non si tratta più di un combattimento militare: è diretto contro i civili”.
A pochi passi da loro, due turiste belghe, anche loro giunte nella Grande Mela per partecipare alla sua celebre 42 km. Non erano qui quando Tribeca, e con lei tutta New York, è stata sconvolta dall’attacco: l’hanno saputo dalla CNN, proprio mentre si preparavano a prendere il loro volo. Non hanno cambiato idea: “Siamo venute con un gruppo organizzato per la Maratona”, racconta una di loro. “Ci sentiamo sicure, ci sono forze di sicurezza ovunque; purtroppo può capitare in ogni città”, osserva. Per loro, la polizia newyorkese, a vedere le barricate che si stagliano per le strade di New York, sta facendo “quello che può”. In fondo, “nessuna città è mai completamente al sicuro: c’è sempre la possibilità che qualcosa capiti”, osserva la donna con una stupefacente naturalezza. Nonostante abbia vissuto sulla propria pelle anche l’attacco a Bruxelles dello scorso marzo: “Ero appena arrivata all’aeroporto”, racconta. “Conosco molte persone che sono state coinvolte”. Eppure, la donna è risoluta nel sostenere che non dovremmo cambiare il nostro modo di vita a causa della paura di questi eventi. Anche se, alla fine, osserva realisticamente: “Facile, forse, a dirsi…”.