L’11 settembre 2001, le scuole avevano riaperto da poco e, in cielo, non c’era una nuvola. Molti di quelli che l’11 settembre 2017 affollano Ground Zero, quel giorno, erano ancora dei bambini. Poche ore prima dell’attentato qualcuno li aveva accompagnati a scuola o li aveva salutati a colazione. Alcuni, per colpa del traffico, erano arrivati tardi. Altri ancora erano riusciti a entrare presto. La vita scorreva veloce, perché a Manhattan non c’è mai stato tempo di fermarsi.
Sedici anni dopo, molti di questi bambini sfilano su un piccolo palco. Sobrio, non troppo grande. Ai microfoni, leggono gli elenchi di chi non c’è più e che al World Trade Center ha lasciato ogni cosa. Scandiscono i nomi e i cognomi dei loro zii, per la maggior parte. Ma ci sono anche genitori e nonni, in quelle liste. Alcuni non ricordano nemmeno i volti dei propri familiari, ma dedicano loro una preghiera o un pensiero. Senza quei volti hanno imparato a diventare grandi e nel giorno delle celebrazioni che commemorano le vittime dell’11 settembre, al 9 11 Memorial, dove sorgevano le Torri Gemelle, ci sono solo loro, insieme ad altri parenti, amici e qualche collega di lavoro. Che, per un destino totalmente diverso, quel giorno è riuscito a salvarsi.
La mattina dell’11 settembre, a nessun altro è permesso stare lì, vicino alle vasche. Nessun turista può entrare. Nessuno si scatta foto davanti al monumento che li ricorda, né sotto la One World Trade Center, che tutti, negli Stati Uniti ora conoscono come Freedom Tower.
“Ogni anno, purtroppo, nel giorno del ricordo, ci sono sempre meno persone qui”, spiega un familiare, avvicinandosi alle vasche. “Molti genitori, che magari qui hanno perso i propri figli, sono diventati anziani. Oppure sono morti. Per tanti, poi, stare qui, significa ricordare; è molto doloroso e non è facile da sopportare. La città, però, forse, sente meno questa ricorrenza. Prima tutti si fermavano, ora lo fanno in pochi”, conclude tenendo in braccio la sua bambina.