Il 21 gennaio 2017, il giorno della Women’s March, lascerà un marchio indelebile nella storia degli Stati Uniti e non solo. Milioni di donne e non solo donne, sabato hanno sfilato a Washington, New York, Boston, Los Angeles, Chicago, Seattle e tante altre città degli Stati Uniti, ma anche a Londra, Parigi, in Australia, in Africa, in Sud America… Un movimento nato il giorno dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, su un impulso a catena ideato da una nonna e avvocato in pensione trasferitasi alle Hawaii. “Che cosa succederebbe se le donne marciassero in massa a Washington il giorno dell’inaugurazione?”, era stata la domanda con cui Teresa Shook si era rivolta a una quarantina di amici su Facebook, creando un evento per l’occasione. Il giorno dopo, al suo risveglio, condivisione dopo condivisione, le adesioni erano sorprendentemente diventate decine di migliaia. Di certo, Teresa non immaginava minimamente che la sua proposta potesse avere così tanto seguito come invece è successo il 21 gennaio.
La marcia su Washington, in cui gli organizzatori si aspettavano circa 200 mila manifestanti e alla fine ieri ne sono arrivati il triplo, aveva infatti ispirato più di 300 manifestazioni intorno al mondo soprannominate sister marches, ovvero marce consorelle. New York ha fatto sentire la propria voce, e oltre 400 mila cittadine e cittadini si sono riversati fin dalla mattinata per le sue strade di Midtown Manhattan protestando contro l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, a sostegno dell’uguaglianza e a difesa dei diritti civili delle donne e di ogni essere umano.
Alle 10.45, a One Dag Hammarskjold Plaza, proprio vicino il Palazzo di Vetro dell’ONU, il fermento nell’aria era palpabile, essendo già a quell’ora gremita di gente di ogni età, provenienza e orientamento sessuale: all’evento hanno infatti partecipato non solo le donne, ma anche i loro mariti, i loro padri, i loro fratelli e i loro figli. Tutti uniti per manifestare contro, come si leggeva in numerosi cartelli, un “misogino, razzista e anti-gay” dal quale non si sentono assolutamente rappresentati.
“Trump è un mostro e la sua anima non è per niente buona. Non possiamo permettere che ci divida. Dobbiamo fare qualcosa immediatamente”, ha commentato Léonie, sessantenne del New Jersey.
Tra i manifestanti era presente anche il vice direttore della New York Civil Liberties Union (NYCLU) Ruthie Esptein, la quale ci ha dichiarato: “Marciamo oggi in solidarietà con tutte le altre comunità del paese terrorizzate da ciò che accadrà con la nuova amministrazione. Vogliamo dimostrare all’America che restiamo unite per far valere i nostri diritti e che faremo di tutto pur di difenderli”.
A spiccare tra la folla, un mare di pussyhat rosa, i cappelli fatti a maglia con riferimento a una registrazione emersa durante la campagna elettorale, in cui Trump sosteneva che essendo ricco poteva fare “qualunque cosa alle donne”, persino “afferrarle per la pussy…”. Ecco che lo indossano tre giovani donne sulla ventina: Juliana di Warwick, del Rhode Island; Kayte di Phoenix, Arizona; Thimothiana di New York. “Oggi siamo qui per dimostrare a tutti che è ancora possibile sperare”, hanno spiegato.
“La gente pensa – afferma Sneha, trent’anni, di New York – che tutti abbiamo gli stessi diritti, ma la realtà è ben diversa. Siamo ancora costrette ad affrontare ogni giorno mille difficoltà. A partire dai controlli sugli acquisti di prodotti sanitari, cosmetici e altro ancora. Siamo trattate come cittadine di seconda classe, per non parlare del modo in cui veniamo trattate sul posto di lavoro. Ed è importante per tutte le donne e tutti gli uomini essere qui oggi. Abbiamo bisogno di femminismo”.
La gente accorsa a manifestare a New York, come del resto a Washington, era ben al di là del numero che le organizzatrici si aspettavano. City Hall ha quantificato la presenza dei manifestanti in 400 mila, ma dalla lunga attesa sulla Seconda Avenue prima che il serpentone, si capiva che il numero potrebbe essere stato anche più alto. Infatti quando sulla Seconda Avenue, tra la 52 fino alla 42 strada, migliaia di manifestanti sono rimasti bloccati dal cominciare la marcia per ore, già migliaia di altri manifestanti avevano sfilato attraverso la 42 passando per Grand Central fino ad arrivare alla Quinta Avenue, passando poi davanti alla cattedrale di St. Patrick e per terminare la marcia sulla Quinta e la 55 St, due isolati dalla Trump Tower, inavvicinabile e “difesa” dal cordone di poliziotti.
Tanti gli slogan gridati durante la marcia, con il più diffuso “This is what democracy looks like”. Nelle scritte dei cartelli alzati dalle manifestanti, tanta rabbia mista al sarcasmo scatenato dalla elezione di Donald Trump. Questa manifestazione contro Trump a sole 24 ore dal suo insediamento alla Casa Bianca, per l’affermazione dei diritti delle donne, degli immigrati, per i diritti sanitari di tutti i cittadini, probabilmente passerà alla storia come la prima di una lunga serie.