Personalmente trovo gli andirivieni tra New York e l’Italia sempre un po’ drammatici, anche se si tratta di partire solo per un paio di settimane.
Infatti, quando si lascia New York è come scendere da un treno in corsa: vivendo qui ci si deve per forza di cose assuefare alla vita frenetica che questa città ti impone, quindi dopo un po’ l’andamento da express train di miss NY diventa il tuo quotidiano e non ci si fa più caso. Ma quando si va in vacanza in Italia… ahi ahi ahi! Si scende dal treno e ci si riadegua estremamente in fretta all’andamento italian style, alla famiglia, al cibo… quindi poi approdare al JFK e risaltare immediatamente sull’express train del ritmo newyorchese, è sempre un tantino traumatico.
Se poi a tutte queste sensazioni di sfasamento, si aggiunge tutta una serie di problemi di sopravvivenza pratici, come ad esempio assicurarsi un tetto sulla testa e qualcosa di cui nutrirsi, ecco che il rientro a casa può non essere tanto rilassante.
Quest’ultimo mio ritorno a New York dopo le due settimane natalizie, è ad esempio iniziato con un viaggio notturno e solitario dal JFK ad Harlem in airtrain e metropolitana, carica come un mulo da soma, per poi proseguire con una serie di silenziosi improperi ritrovandomi sotto la neve con il portone di casa chiuso (non ho mai avuto le chiavi, perché il mister Portorico al quale pago l’affitto ha sempre preferito scassinare la serratura, piuttosto che farmi una copia della scheda). Una volta nel palazzo ho dovuto arrancare su per le scale fino al quinto piano (l’ascensore è sempre bloccato altrove o rotto), con tanto di mega trolley a seguito, per poi trovare un barbaro latino delle dimensioni di un armadio a due ante sulla porta che mi inizia a chiedere l’affitto con una settimana di anticipo. Welcome back!
A quel punto ho dovuto respirare, varcare la porta di casa, perché a gennaio a New York fa freddo, ricordarmi perché voglio vivere qui, e dire al caro mister Portorico che si dia una calmata perché tanto i soldi non ce li ho.
Ma i problemi seri iniziano quando scopro che i soldi non li avrò neanche la settimana successiva. Già, perché il caro mister Portorico del deep Harlem, non è tanto gentile se non incassa, e per quanto io cerchi di temporeggiare e non incrociarlo in corridoio, non è piacevole essere svegliati all’alba con urli e minacce, senza contare che il chiavistello che chiude la porta non è poi tanto solido. Infine, quando vedo il gradasso troglodita mettere al muro l’altro coinquilino perché era in ritardo di un giorno coi pagamenti, ecco che realizzo che è ora di traslocare.
A quel punto sicuramente le meningi sono già in sovraccarico di attività per cercare di: incassare denaro, trovare altro lavoro e traslocare altrove.
Ora, come già vi ho detto, trovare casa a New York a un prezzo ragionevole è un’impresa titanica, ma quando non si ha un soldo, ci vuole un vero miracolo.
Il miracolo, o meglio i miracoli, si sono fortunatamente manifestati sotto forma umana con nome e cognome, permettendo a chi scrive di accamparsi in casa loro. A questo punto si doveva fuggire da Portoricoland, possibilmente senza farsi notare dal soggetto. Certo può sembrare semplice rispetto a tutto il resto, ma vi assicuro che per quanto cerchiate di ridurre la roba che vi trascinate dietro, se ne accumula sempre abbastanza, e se siete una femminuccia di 55 chili che ha a disposizione solamente le proprie gambe e braccia, coadiuvate da una metrocard unlimited, la cosa può risultare parecchio complicata. Anche in questo caso devo ringraziare una buon anima che ha aspettato il mio segnale di via libera per aiutarmi a spostare valigie and Co dalla tana del simpatico locatario fino alla nuova dimora temporanea. Il tutto sotto un nevischio gelido, usufruendo di metropolitana, braccia e gambe.
Vi ho già raccontato di quanto siano rare e preziose le amicizie in questa città?