La Sicilia d’agosto è un po’ meno isola. È terra di ritorno e di passaggio: per generazioni di giovani inghiottiti dal Continente, vacanzieri della prima o dell’ennesima estate, venditori di cappelli di paglia e chincaglieria, star di Hollywood e persino big del Pianeta. Sotto il solleone, ogni contrasto – sua quintessenza – pare rilucere meglio, e bruciare come acqua di mare sulle ferite infette.
La politica, dicono, l’ha tradita. E quando i Comuni non dichiarano fallimento, i pochi amministratori “illuminati” riescono a fare ben poco per chi l’isola la vive tutto l’anno e vede i problemi moltiplicarsi, insieme agli stessi di sempre. Il lavoro che non c’è, “l’emergenza” rifiuti, il randagismo. La precarietà o mancanza d’infrastrutture, collegamenti, piani integrati di sviluppo.
L’area archeologica di Selinunte è la più grande d’Europa. Antica città greca che “si getta” sul mare, i suoi templi si stagliano mastodontici fra l’azzurro del cielo, il senape dei canneti e il blu intenso delle acque che lambiscono il grazioso borgo marinaro su cui l’antica acropoli domina.

Cornice di eventi esclusivi, il parco archeologico ha recentemente ospitato il Google Camp, cui hanno preso parte star e personaggi tra i più influenti del pianeta, dal fondatore del colosso di Mountain View, Larry Page, a Mark Zuckerberg, passando per George e Amal Clooney. A impreziosire l’evento, il concerto di Sting, che ha cantato per soli 200 ospiti fra i templi E e G dedicati a Era e Apollo. E ancora, performance in grado di calamitare folle di giovani da ogni parte d’Europa, come quelle del dj Martin Garrix e del rapper Sean Paul. Parterre d’eccezione, momenti musicali di richiamo, luci stroboscopiche tra le colonne. Ma che ne è del parco il resto dell’anno? E della stessa Selinunte?

Nessuna brochure a spiegarne la storia, né indicazioni sufficienti a narrarne la grandezza e a saziare la curiosità dei tanti turisti, molti quelli d’Oltralpe, che nondimeno si avventurano in visita, stregati dalla bellezza senza tempo delle sue rovine: l’ultima campagna di scavi condotta da New York University e Statale di Milano ha portato alla luce resti che rivelano come la presenza dell’uomo a Selinunte sia più antica, e di diversi millenni (8000-6500 a.C.), di quanto finora ipotizzato.

Un tesoro (in parte ancora inesplorato) che potrebbe fare la fortuna del territorio. E che invece non viene valorizzato come un sito di tale importanza imporrebbe. Danneggiato, non di rado, persino dai piromani. La cittadina stessa è invasa di rifiuti, mentre mucchi di alghe maleodoranti si accumulano puntualmente ogni stagione lungo la spiaggia del porto (abusivo), senza che una soluzione definitiva venga trovata.
Selinunte è una borgata del comune di Castelvetrano, commissariato per mafia nel 2017, che non riesce come pure dovrebbe – per vocazione e grandezza – a trainare lo sviluppo della Valle del Belice, area tra le più povere del Mezzogiorno, nonostante le sue ricchezze naturali e paesaggistiche. Con un olio, quello della Nocellara, tra i più apprezzati al mondo, e beni archeologici e naturalistici di rara bellezza. Un’area in cui il tasso di disoccupazione e di emigrazione giovanile ha toccato quote drammatiche: un silenzioso grido d’allarme in una valle prossima a un punto di non ritorno.


Li vedi tutti i giorni, quelli che restano. E vedi le generazioni che “saltano”. Comitive che non superano i 18 anni e persone over 50. Aspetti i giorni e le settimane “clou” dell’estate per rivedere le piazze piene. Ma ogni anno la delusione aumenta. Perché anche quelli che prima tornavano per il tempo di un saluto ai propri cari e di un drink con gli amici rimasti a casa ad arrangiarsi fra mille e più ostacoli, sempre più spesso scelgono altre mete o tornano in periodi differenti, magari quando il biglietto per “scendere” non porta via loro la metà dello stipendio.
L’agognato arrivo, però, è sempre impagabile. La sabbia fina tra le mani, il mare che sbrilluccica, la spiaggia in grado di rimettere in sesto corpo e spirito. Il governo ha deciso di renderla un luogo ancora più “sicuro”. E così bisogna stare attenti. Che un braccialetto da due euro, preso dal venditore ambulante che, carico come un ciuco, macina chilometri avanti e indietro lungo il litorale, può arrivare a costare fino a 7 mila euro di multa.
È la legalità, bellezza! Quella che qui non è di casa e che bisogna ristabilire. Cominciando proprio da loro, gli “extra”. Quelli che le tasse non le pagano. E che arrivano nelle terre di Messina Denaro e fiancheggiatori “per rubarti il lavoro”. Gli stessi che, furtivi e minacciosi, si aggirano per le stradine del tuo paesino semideserto, rigorosamente muniti di cuffie per ascoltare la musica, o forse per non sentire il silenzio assordante in sottofondo. Li vedi, scaltri, chiedere l’elemosina davanti all’ultimo centro commerciale aperto per riciclare i soldi della mafia, o lungo la statale, sfrecciare su biciclette mal assemblate, forse diretti anche loro verso il mare.
Se vai in vacanza in località come Lampedusa, può capitare di trovare qualche turista che tra il serio e il faceto dice all’amico: “Salvini li avrà fatti sparire tutti!”, riferendosi a quei migranti che popolano le cronache, ma che in paese “non si vedono mica!”. Poche le tracce del loro passaggio nei luoghi turistici. Anche l’hotspot dove fino a qualche mese fa venivano portati una volta sbarcati è stato chiuso, perché in condizioni invivibili.

Nel tragitto verso Capo Ponente, da dove consigliano di ammirare il tramonto sull’isola, tuttavia può capitare di imbattersi in un mucchio di quei relitti su cui degli “extra” stipati hanno cercato scampo, non sempre trovandolo. Dal lato sud di Lampedusa, invece, hanno messo una porta. La “porta d’Europa”, a simboleggiare quell’ingresso in un mondo più promettente e “civile”. Dove la ricetta adesso, di fronte “all’assedio” da ogni parte, è “farli sparire tutti”. O almeno quanti più possibile.

Far finta che il problema non esista e che riguardi altri. Altri stati, altre città, altri alloggi o campi di tortura, altre vite. “Perché di problemi, noi, ne abbiamo già troppi”, ripetono stancamente in tanti fra i vecchi e più giovani residenti.
“Il mio cruccio è di non essere uscito un’ora prima, come di solito, e di non averne potuti salvare di più”, dice uno dei pescatori lampedusani che nel 2013, suo malgrado, divenne eroe per qualche giorno nei Tg che raccontavano del naufragio in persero la vita 368 persone. Lui era tra quanti prestarono soccorso. Quest’estate l’hanno chiamato sul palco del festival di giornalismo intitolato a Cristiana Matano. Lui, e un altro pescatore “eroe”. Che però ha detto di non sentirsi speciale per quanto ha fatto. A bordo della sua piccola imbarcazione, era uscito come sempre, in cerca di quello che il mare aveva da offrirgli e che quel giorno gli ha restituito corpi, braccia, mani, occhi terrorizzati.
Lampedusa, isola nell’isola, Sicilia. Dove agosto dura il tempo di un “che meraviglia, peccato manchi il lavoro!” e di una “guantera” di cannoli da incartare e da portar via, su un aereo diretto altrove. Dove è tutto un “la politica non ci aiuta”, “la burocrazia ci stronca sul nascere”, “le aziende se ne vanno o non ci sono mai state”. E un periodico annuncio, quello del “metteremo a punto nuove misure per risollevare il Mezzogiorno”.

Intanto, il tramonto continua ad arrivare un po’ più in anticipo, la folla nelle piazze a diradarsi, i falò si consumano e sul finire del giorno il mare si calma fino a diventar tavola: tra poche settimane sarà bazzicato da qualche solitario frequentatore di spiagge settembrino. Mentre le cose continuano ad accadere, o a non accadere. Anche quando si smette di parlarne.