Si sveglia alle 3 e va a letto alle 18. Ha 82 anni e non li dimostra. È il Dalai Lama in visita a Palermo nel suo viaggio in Sicilia. In piena forma, sorridente e con il carisma di “Sua Santità”, il capo spirituale e politico del popolo tibetano, dopo 21 anni ritorna a Palermo, che lo accoglie nuovamente con tutti gli onori, così come quando gli fu assegnata la cittadinanza 20 anni fa. Misure di sicurezza degne di un Papa e un Teatro Massimo gremito fin su in piccionaia. Una giornata particolare. Una cronaca mista a fatti e sensazioni, perché vuoi o non vuoi, chi ha parlato oggi è qualcuno che hai ascoltato, visto, letto, studiato. Trovarsi di fronte, senza voler peccare in alcun modo di narcisismo, beh è stato davvero forte. La cosa più strana è stata l’atmosfera, si respirava un senso di pace. Ma non ero certo calma mentre mi affrettavo per arrivare puntuale alla conferenza.
Quando raggiungo la conferenza stampa alle 8:24 sono in ritardo di tre minuti, faccio ammenda con me stessa, e il Dalai Lama, puntuale come un orologio svizzero, già sta parlando. Di corsa mi catapulto sul primo posto libero nella sala dell’Hotel Borsa di Palermo, ed eccomi seduta accanto a un monaco buddista. Da lontano certo non ho assolutamente messo a fuoco, presbite come sono… figuriamoci! Strano caso del destino. Sarà ma la sensazione di trovarmi accanto a un monaco gentile e con il suo inglese “simpatico” mittle orientale, ha dato un segnale chiaro alla giornata: l’educazione alla gioia. Gentili sono i suoi modi, semplici e cordiali, insomma una persona normale che certo non si sente un dio sceso in terra per l’abito che indossa. Il suo nome è Choe. Nei suoi occhi lo sguardo del popolo del Premio Nobel della Pace, oramai perseguitato dalla notte dei tempi. Anche Richard Gere, suo discepolo e attivista per i diritti del popolo tibetano, lotta con fervore e impegno sociale. Un Dalai riconosciuto anche nel mondo di Hollywood.

La platea a questo punto è totalmente immersa nelle parole che scorrono nella voce calma e serena del Dalai Lama seduto accanto al Sindaco Leoluca Orlando. È come se tutti i presenti percepissero quella sensazione che il Dalai infonde da sempre per chi ha la fortuna di incontrarlo. Risponde serenamente alle domande e mette al centro il tema della gioia che da il titolo alla giornata del Dalai, che qualche ora dopo si è tenuta al Teatro Massimo. Emigrazione, accoglienza, terrorismo, religione, pace. La necessità della pace, l’importanza dell’accoglienza, l’integrazione dei diversi credi, il terrorismo e il dolore. Questi i punti forti dove il Dalai si è ampiamente soffermato osservando la condizione umana che attanaglia il terzo millennio. “Bisogna conoscere il dolore per saperlo controllare. Solo così è possibile trasformare la gioia da fugace emozione a costante della vita. La rabbia – spiega il Dalai Lama – la paura, la diffidenza possono rovinare il nostro sistema immunitario e quindi, fisicamente possono fare male. Noi siamo vivi perché abbiamo ricevuto tanto affetto: trasformiamolo condividendolo con gli altri”.
Parole semplici, parole forti in questa epoca nella quale i sentimenti, l’amore e la compassione stentano a lottare contro il male. E la paura, quella che ci colpisce ogni giorno: “Avere paura è svantaggioso – continua il Dalai Lama – ma è anche facile perché il nostro cervello è dominato da emozioni distruttive. Dobbiamo invece esercitarci ad indirizzare i nostri sentimenti della gioia. Ho visto delle persone tranquille e gioiose, capaci di abbracciare i tanti migranti che in questi minuti arrivano dall’Africa. Impariamo anche noi ad avere un animo compassionevole, perché solo così saremo in grado di aspirare all’unione del mondo e a siglare nelle nostre coscienze la parola pace per sempre”. Compassione e pace. Compassione per chi è oppresso, rifugiato. Come i nostri immigrati che il Dalai vorrebbe abbracciare uno ad uno in sintonia con il Sindaco Orlando, che dona al grande Monaco Buddista la Carta di Palermo: la dichiarazione sul diritto della mobilità internazionale e all’abolizione del permesso di soggiorno.

La conferenza sta per finire, il mio collega di sedia, Cheo mi saluta con un arrivederci. Chissà, il mondo è piccolo e si potrebbe pensare a un viaggio in Tibet. Al Teatro Massimo il bagno di folla e un Dalai scatenato, simpatico che tiene una vera e autentica “Lectio sulla Gioia”. Il Dalai e il terrorismo: “Un vero musulmano mai uccide, nel momento in cui accade non è più un musulmano ma solo un vero terrorista. Bisogna capire perché questa rabbia chiama rabbia”. Rievoca le guerre e parla di Bush, di cui ha apprezzato soltanto il progetto politico, cioè quello di ripristinare l’ordine democratico nei paesi che hanno partecipato all’attacco dell’11 Settembre. “La violenza chiama solo violenza” spiega il Dalai e si commuove quando parla dei popoli in fuga dalla guerra ricordando il concetto sull’importanza dell’accoglienza e dell’integrazione, sottolineando con forza la necessità della ricostruzione di quei Paesi e di quelle vite distrutti dalla guerra. Il Dalai saluta il pubblico tra applausi scroscianti e tanta commozione. Le sue mani giunte in preghiera, noi tutti in piedi, i suoi occhi chiusi e quel pensiero collettivo sui mali del mondo e la bandiera issata per il Tibet libero. Una cosa è certa: Sua Santità ha lasciato la scia della gioia.