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May 31, 2017
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Mediterraneo, così l’uomo ne ha rovinato l’ecosistema

Un recente studio parla chiaro: la flora ittica è allo stremo per la pesca selvaggia

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Mediterraneo ecosistema

Lo Stretto di Messina, nel cuore del Mediterraneo

Time: 5 mins read

Secondo il WWF nel report “Cambiamenti climatici e sesta estinzione di massa”, sono 700 le specie di animali a rischio estinzione nel mondo (diciassette in modo grave, cinque delle quali in Italia). Si tratta di dati confermati anche dall’International Union for Conservation of Nature  che parla della necessità di monitorare il 47 per cento delle specie di mammiferi e il 24,4 per cento degli uccelli. Ma se si scende sotto il livello del mare la situazione peggiora: in molti considerano il 2016 l’ “anno orribile” dei coralli: in tutti gli oceani stanno morendo a causa del fenomeno del bleaching (sbiancamento) dovuto alla scomparsa delle zooxantelle, alghe unicellulari capaci di fotosintesi che forniscono il colore ai polipi dei coralli. Gli incrementi della temperature del mare oltre un certo limite uccidono le alghe e sbiancano il corallo. La barriera australiana è stata danneggiata al 67 per cento e settecento chilometri su duemilatrecento del reef sono considerati irrimediabilmente perduti. Gravi danni sono stati constatati anche nella barriera giapponese, la Sekisei Shoko. In questo scenario a subire i danni maggiori forse è il Mar Mediterraneo. Qui, secondo il Wwf, è in corso un vero e proprio processo di tropicalizzazione legato all’aumento delle temperature e all’invasione dell’habitat da parte di specie “aliene” attraverso il Canale di Suez. Non è un caso se Parlamento europeo e Consiglio europeo, con la collaborazione dalla Commissione europea, hanno siglato l’accordo per la creazione dell’Agenzia per l’attuazione del programma Prima, Partnership for research and innovation in the Mediterranean area.

Per l’Italia partecipa il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur). “Dopo 5 intensi anni di lavoro è stato raggiunto un traguardo prezioso per il rafforzamento della cooperazione euro-mediterranea, con il contributo determinante del Miur che, come leader del programma, ha sempre creduto nell’importanza strategica dell’iniziativa ai fini di uno sviluppo sostenibile dell’area del Mediterraneo” ha detto Angelo Riccaboni dell’Università degli Studi di Siena.

Prima verrà finanziato con oltre mezzo miliardo di euro, 220 milioni arriveranno dalla Commissione europea nell’ambito del programma quadro per la ricerca Horizon 2020, oltre 300 milioni invece dai 18 Paesi partecipanti (11 dell’UE, Cipro, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna, e 7 non Ue, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Tunisia, Turchia). Fondi che serviranno a realizzare progetti sui temi dell’innovazione nei sistemi alimentari, delle tecnologie per la sostenibilità e la sicurezza in agricoltura, dell’uso efficiente delle risorse idriche.

Il programma appena lanciato è un tentativo in extremis per cercare di porre un freno anche al depauperamento delle risorse del Mar Mediterraneo. Che la situazione è grave lo conferma uno studio dell’Ue dal titolo “Historical changes of the Mediterranean Sea ecosystem: modelling the role and impact of primary productivity and fisheries changes over time”, pubblicato sulla rivista Nature.

Da anni scienziati ed esperti monitorano la situazione e segnalano un preoccupante calo degli stock ittici. Un’analisi effettuata dallo Scientific technical economic committee for fisheries (Stecf), organo scientifico consultivo della Commissione europea, in collaborazione con il Jrc, ha concluso che “il 93% degli stock ittici valutati nel Mar Mediterraneo sono attualmente sovra sfruttati”. Già nel 2016, la Commissione europea aveva sottolineato la necessità di agire lanciando l’iniziativa MedFish4Ever per sensibilizzare tutti gli operatori del settore, fornendo al tempo stesso una leadership politica “per ricostruire un settore della pesca sostenibile e per assicurare il forte impegno di tutte le parti interessate a contribuire alla sostenibilità a lungo termine degli stock ittici e del  settore della pesca”.

“Gli stock ittici nel Mar Mediterraneo si stanno deteriorando ad un ritmo allarmante. Una recente analisi mostra che il 93% degli stock ittici valutati è sovrasfruttato, e alcuni di loro sono sul punto di esaurimento”. Il Mediterraneo infatti è un ecosistema particolarmente delicato: lo scambio con le correnti oceaniche avviene quasi esclusivamente attraverso lo stretto di Gibilterra con un ciclo completo che dura circa 70 anni (l’acqua entra a temperature relativamente più basse – rispetto a quelle interne – e poi, scorrendo lungo le coste africane, scende in profondità. Mano a mano che le correnti attraversano il bacino del Mediterraneo da Ovest verso Est, le acque si raffreddano, diminuisce la loro salinità ma soprattutto si ossigenano i fondali più bassi. Tutto questo rende il Mediterraneo un mare estremamente delicato e sensibile ai cambiamenti si climatici che della qualità delle acque.

Piccoli cambiamenti di questo ecosistema mettono a rischio la vita degli organismi che vi abitano. Delle specie marine che vivono nel Mediterraneo (tra 10mila e 12mila) molte sono seriamente in pericolo a causa dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici e della pesca eccessiva. I ricercatori hanno analizzato i dati storici dal 1950 al 2011 di diversi ecosistemi o specie del Mar Mediterraneo e hanno monitorato l’impatto delle attività umane e soprattutto l’impatto cumulativo di diversi fattori di stress. “Ulteriori ritardi in un’azione concertata potrebbe causare danni irreversibili e un crollo degli stock chiave che sono essenziali per il settore della pesca”, si legge nel rapporto frutto della collaborazione di diversi ricercatori (Chiara Piroddi, Marta Coll, Camino Liquete, Diego Macias, Krista Greer, Joe Buszowski, Jeroen Steenbeek,  Roberto Danovaro e Villy Christensen).

Sono stati adottati metodi di approccio innovativi basati sulle dinamiche degli ecosistemi, invece che sulla valutazione delle singole risorse o delle singole minacce. Uno studio sull’Ecopath (approccio Ecosim) ha analizzato i cambiamenti in termini quantitativi di numerose specie: il Mar Mediterraneo ospita tra il 7 e il 10% della biodiversità marina di tutto il mondo. Un patrimonio che i ricercatori definiscono “sotto assedio” a causa di molteplici fattori di stress. Il modello utilizzato dai ricercatori si basa su 103 “gruppi funzionali”, dal fitoplancton e invertebrati fino ai predatori in quattro aree principali che presentano tra loro differenze in termini delle caratteristiche ambientali dell’ecosistema: Ovest Mediterraneo; Adriatico; Ionio e Mar Mediterraneo Centrale; Mar Egeo e Mar Levantino.

Lo studio ha evidenziato che la pesca è uno dei fattori che influenza maggiormente la dinamica delle popolazioni di pesci e invertebrati nell’ecosistema del Mediterraneo. Il dato “pesca” è stata poi suddivisa in sette sottogruppi: pesca a traino, draghe, navi adibite alla pesca d’altura, navi con reti a circuizione, pesca con palangari, pesca artigianale e pesca ricreativa. Sia le variazioni della biomassa che gli indicatori ecologici hanno rivelato che l’effetto combinato di una eccessiva pressione della pesca e i cambiamenti dovuti alle mutazioni ambientali alterano l’ecosistema marino mediterraneo riducendo le proporzioni di predatori e pesci di grandi dimensioni (come pinnipedi e grandi pesci pelagici) e aumentando l’abbondanza di gruppi a più bassi livelli trofici (ad esempio, invertebrati). Lo studio ha confermato inoltre che la pesca e la mancanza di selettività sono la causa della riduzione per l’85% degli stock demersali valutati (compresi squali, razze demersali e pattini).

Il Mediterraneo è stato sfruttato troppo e per troppo tempo. Per questo, oggi, soffre dell’impatto delle continue e molteplici pressioni antropiche (ad esempio, acquacoltura, specie invasive, il riscaldamento dell’acqua, l’acidificazione, inquinamento, degrado dell’habitat). Gli effetti sono la perdita, negli ultimi 50 anni, del 41% del numero di mammiferi marini e il 34% della quantità totale di pesce. I danni maggiori si sono verificati nel Mediterraneo occidentale e nel Mar Adriatico (- 50%), mentre la riduzione nel Mar Ionio è stata “solo” dell’8%. Come ha evidenziato Jann Martinsohn, leader del gruppo di ricerca sulla pesca del Jrc: “Queste caratteristiche rendono il Mar Mediterraneo altamente vulnerabile agli impatti quali i cambiamenti climatici, ai rifiuti marini e alle specie aliene invasive ed è molto facile che ci sia sovrappesca sugli stock esistenti. Quando gli stock ittici vengono pescati intensamente, non hanno il tempo di riprodursi per mantenere i livelli della popolazione”.

Per colmare le lacune della conoscenza, il Jrc ha sviluppato un database pubblico per aiutare a monitorare lo stato degli stock ittici nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Per la prima volta, i dati raccolti verranno inclusi nel prossimo RAM Legacy Stock Assessment Database che servirà per la valutazione degli stock delle popolazioni marine di tutto il mondo utilizzate a fini commerciali.

Agire sulla modellazione dell’ecosistema del Mar Mediterraneo è un compito estremamente impegnativo, non solo a causa delle complesse dinamiche che caratterizzano questo grande ecosistema marino (per esempio, le differenze nelle caratteristiche ambientali e biologici), ma anche a causa delle difficoltà di raccolta e integrare i dati regionali. Tuttavia è indispensabile prima che per molte specie si oltrepassi il “punto di non ritorno”, con conseguenze disastrose per la biodiversità marina e per le economie che dipendono dal Mar Mediterraneo.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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