A lanciare l’allarme era stata l’Unione Africana nel 2011: “Se farete cadere Gheddafi la Libia diventerà un’altra Somalia”. Il monito chiaro e privo di mezzi termini ma inascoltato da NATO e Occidente, era riferito al problema derivante dalla pirateria. Un problema che con la necessità per lo Stato Islamico e il consolidarsi dei trafficanti di esserti umani dalla Libia legati ai jihadisti, è già una realtà. A confermarlo è stato un rapporto dell’intelligence militare italiana che parla di una Mediterraneo “somalizzato”.
Le origini della pirateria nel Mar Mediterraneo risalgono al VII secolo, in un’area estesa dal Marocco alla Tripolitania (l’attuale Libia). Nel ’500 e nel ’600 le incursioni musulmane, provenienti dai paesi rivieraschi dell’Africa Settentrionale, aumentarono fino a cessare quasi del tutto nel 1830 dopo la presa di Algeri da parte dei francesi. In questo lasso di tempo, però, furono molti i vascelli in navigazione tra la Sicilia e la Spagna ad essere vittime di incursioni e azioni di pirateria. Azioni che spesso si estendevano fino alla terra ferma come quella del 1526 che portò alla distruzione della “Torre Fano” in Sicilia.
I pirati agivano di sorpresa, attaccando navi mercantili e non solo: i sopravvissuti e i prigionieri venivano venduti come schiavi nei mercati arabi del Mediterraneo. Le merci diventavano bottino da vendere su tutti i mercati africani (e non solo).
Poi, dopo la distruzione del porto di Algeri nel 1816 per opera della la marina militare britannica (e con l’invasione dell’Algeria da parte dei francesi), il problema venne considerato risolto.
Ma il timore che la pirateria potesse manifestarsi di nuovo non è mai del tutto svanito: il Ministero della Difesa italiano ne parla in un documento del 2010, (ovvero ben prima della primavere arabe sulle coste del nord Africa) a proposito dell’esercitazione multinazionale ed interforze denominata “Canale 10” o “Canale 2010”.
Tra gli obiettivi delle forze armate del gruppo “5+5” (Italia, Malta, Francia, Spagna e Portogallo con Marocco, Tunisia, Mauritania, Algeria e Libia) prepararsi a scenari di assalto da parte di pirati nei confronti di navi mercantili.
I peggiori timori sono divenuti realtà dopo l’invasione del Nord Africa da parte dei guerriglieri dell’Isis: lo scorso anno, un giornale inglese, ha riferito fonti interne all’intelligence italiana che parlavano di terroristi che, proprio attraverso il controllo capillare di alcuni porti, sarebbero stati pronti ad effettuare atti di pirateria nelle acque europee per finanziarsi, attraverso attacchi mirati con piccole barche di velocità contro pescherecci o navi da crociera. Uno dei pericoli che veniva paventato era la cattura di ostaggi al fine di chiedere riscatti alle famiglie e agli Stati di provenienza.
Rispetto alla pirateria in Somalia, ormai quasi debellata grazie all’intervento militare internazionale (tra cui quello italiano che ha aderito a Euronavfor), come ha detto l’ammiraglio Chris Parry i “nuovi pirati” sono maggiormente armati rispetto ai loro “colleghi somali”. Hanno missili terra-aria, pericolosi per gli elicotteri, e altri tipi di ordigni che rendono intervenire maggiormente complesso.
A questo si aggiunge che, nel Mediterraneo, il traffico marittimo è sicuramente diverso a quello lungo le coste africane. Questo rende molto più difficile proteggere il mare nostrum (anche a causa dei tagli ai bilanci delle Difese e della riduzione delle misure internazionali congiunte).
Dopo un lungo periodo di calma apparente, lo scorso anno si sono registrati i primi casi di pirateria: alcuni pescherecci italiani sono stati affiancati da motovedette di miliziani partiti da Tripoli che hanno tentato di sequestrare l’imbarcazione. La notizia, diffusa da Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto per la pesca Cosvap, è rilevante in quanto è ben diversa dalle azioni svolte dall’allora dittatore libico Gheddafi: in quel caso si trattava di una rivendicazione territoriale (irrisolta nonostante anni e anni di trattative e missioni diplomatiche); questa è stata un’azione mirate ad appropriarsi dell’imbarcazione e di tutto il suo contenuto, umano e materiale. Solo l’intervento di una nave della Marina Militare italiana è riuscito a scongiurare il peggio.