Ogni giorno nel Mediterraneo vengono riversate 731 tonnellate di rifiuti (principalmente plastica). A denunciarlo è il rapporto sul “marine littering” dal titolo “Valutazione della spazzatura marina nel Mediterraneo” che è stato presentato da UNEP/Map all’Assemblea delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEA) che si è tenuta a Nairobi, in Kenya, lo scorso mese.
Una situazione particolarmente grave e insostenibile: nelle zone costiere di questo mare (entro i 50 km dalla costa) vivono oltre duecento milioni di persone che producono ben 361mila tonnellate di spazzatura ogni giorno. Di queste il dieci per cento è costituito da oggetti in plastica. Il problema è che il 2per cento di tutti i rifiuti prodotti finisce in mare. Si tratta di una situazione che è resa ancora più grave dal limitato scambio idrologico del bacino con gli altri oceani, e dal fatto che il 30per cento dei traffici marittimi totali si svolge nel Mediterraneo.
Il rapporto (che prende spunto da una prima valutazione effettuata nel 2008) riporta informazioni su tipologie di rifiuti e sulle plastiche per ogni paese del Mediterraneo. Vengono anche indicate quali sono le maggiori fonti di marine litter, e quali sono i paesi maggiormente responsabili.
Dopo Turchia e Spagna il terzo maggior responsabile di questo scempio è l’Italia. Secondo l’agenzia ambientale delle Nazioni Unite, UNEP, il problema dei rifiuti la quantità di plastica dispersa nel Mediterraneo potrebbe raddoppiare nei prossimi dieci anni: “I ricercatori – si legge nel rapporto UNEP – prevedono che, senza misure di contrasto, la quantità di plastica scaricata aumenterà di 2,17 volte fra il 2010 e il 2025 nel Mar Mediterraneo”.
Una situazione grave confermata anche dai dati delle ricerche condotte dalla Goletta Verde di Legambiente che, tra l’estate 2014 e il 2015, ha monitorato 2600 km di coste. Sono stati rilevati 2597 rifiuti galleggianti dei quali il 95per cento è costituito da plastica: teli (39per cento) e buste di plastica, intere e frammentante (17per cento), concentrate soprattutto nel Mar Adriatico (dove se ne contano 5 ogni kmq). Ma anche cassette di polistirolo (spesso adoperate nella pesca), frammenti (7per cento), bottiglie di plastica (6per cento), reti e lenze (5per cento), stoviglie di plastica (2per cento). Il restante 5per cento dei rifiuti marini è costituito da carta, legno manufatto, metalli, gomma, tessili e vetro.
“Ridurre l’impatto del marine litter sull’ecosistema marino e costiero non solo gioverebbe all’ambiente ma anche ai costi che questo fenomeno comporta per la collettività – ha detto Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente – 500 milioni di euro l’anno è la stima dei costi del marine litter per l’Unione Europea, considerando solo i settori del turismo e della pesca”.
Secondo uno studio commissionato dall’Unione Europea, la marine litter costa ai paesi dell’Unione europea quasi mezzo miliardo (476,8 milioni) di euro ogni anno la gran parte dei quali destinata alla pulizia delle spiagge (411,75 milioni di Euro).
Ma la situazione potrebbe essere molto più grave di quella denunciata da Legambiente: l’indagine condotta, infatti, riguardava solo i rifiuti galleggianti di dimensioni maggiori di 2,5 cm e ricadenti nelle categorie Ospar, rimodulate secondo le indicazioni del JRC e del programma Defishgear.
Se si dovesse tenere conto dei rifiuti di dimensioni minori (la stragrande maggioranza e soprattutto i più pericolosi per l’ecosistema e per la sopravvivenza della fauna marittima) la situazione sarebbe ben peggiore. Specie considerando che, per una volta, non esistono dubbi sulle cause. Il 94per cento dei detriti e dei rifiuti superficiali sono di origine antropogenica (solo il 6per cento di origine naturale). La causa di questo stato di cose è il comportamento sconsiderato delle persone. Per questo la situazione non cambierà fino a quando non saranno loro a cambiare il loro modi di rispettare l’ambiente.