Nei giorni scorsi, il porto di Venezia ha ricevuto il premio quale miglior homeport del Mediterraneo, un premio assegnato da una giuria specializzata di operatori del settore ai migliori porti crocieristici del mondo per l’eccellenza nelle operazioni di sbarco e imbarco dei passeggeri.
Un riconoscimento che non sorprende: da sempre gli italiani sono un popolo di “santi, poeti e navigatori”. Eppure, Sandro Trevisanato, presidente di Venezia Terminal Passeggeri, la società che gestisce il traffico crocieristico nello scalo lagunare, seppur felice del riconoscimento non ha potuto fare a meno di lanciare un allarme sulle navi che attraccano a Venezia: è necessaria “la sostituzione da parte di molte compagnie, per non perdere la destinazione Venezia, di navi all’avanguardia, dotate di tecnologia di ultima generazione e a basso impatto ambientale, che rimpiazzino unità più piccole, ma allo stesso tempo più vecchie e di conseguenza meno manovrabili e più inquinanti”. “Se non si trova una soluzione – ha aggiunto – Venezia perderà lo status non solo di primo homeport del Mediterraneo, ma persino il ruolo di porto-capolinea a scapito di scali stranieri”.
Un primato che, nel settore commerciale, molti porti italiani hanno già dimenticato da tempo. “L’Italia dei porti”, a parte alcune eccezioni, mostra infatti un momento di stallo se non di vera e propria crisi. Ad affermarlo è stata Assoporti, l’associazione che riunisce gli scali italiani. In una recente classifica sulle banchine italiane relativa ai porti europei basata sui dati relativi al traffico merci, se non sorprende trovare al primo posto Rotterdam, per trovare il primo scalo italiano bisogna scendere fino alla nona posizione dove si trova Gioia Tauro. Stranamente assente da questa classifica Trieste, che stando agli scambi (57milioni di tonnellate di merci ogni anno) dovrebbe occupare il primo posto tra i porti italiani (dati Assoporti). Stesso destino per Genova seconda, con 50 milioni di tonnellate.
Se la situazione di alcuni porti è preoccupante, appare drammatica la condizione di quelli che da sempre sono punto di riferimento del Mediterraneo. Nella top list non ne compare nessuno. Palermo, che pure deve il suo nome proprio al ruolo di centro dei commerci marittimi di un tempo (il nome vuol dire infatti “intero porto”), non è in nessuna graduatoria che riporta le eccellenze portuali. Per trovare il primo porto commerciale siciliano bisogna scorrere la graduatoria fino al sesto posto di Augusta e all’ottavo posto di Messina.
La causa? Certamente è degli amministratori locali che non hanno saputo valorizzare il proprio patrimonio storico e le proprie peculiarità geografiche. Praticamente assenti gli interventi a Palermo. E in grave ritardo a Catania la decisione del sindaco Bianco di migliorare l’offerta del porto anche se il commissario Indaco ha dichiarato a questo proposito: “Ho in previsione un viaggio, in Florida, per stringere nuovi accordi che portino a 80-100 le navi da crociera che arriveranno a Catania quest’anno”. A fargli eco il sindaco di Catania Bianco che ha anche detto dove il comune reperirà le risorse per realizzare le opere che saranno coperte in parte con fondi comunali “e per la restante parte con finanziamenti nazionali che saranno richiesti nel Patto per Catania, che l’amministrazione dovrebbe riuscire a sottoscrivere entro aprile”.
Ma se è pur vero che una parte rilevante delle responsabilità di questo degrado ricade sulle spalle delle amministrazioni locali, sono innegabili anche le colpe del governo centrale e, soprattutto, dell’Unione Europea. Nonostante la Sicilia sia stata inserita nel programma Ten-T, il cui obiettivo avrebbe dovuto essere lo sviluppo delle reti di trasporto trans-europee, la regione è stata inspiegabilmente tagliata fuori dai finanziamenti. Per ciò che riguarda i porti, ad essere coinvolte sono molte città italiane (Ravenna, Trieste, Venezia, Vado Ligure, Livorno, Civitavecchia, Cagliari), ma nessuna delle città portuali siciliane.
Secondo i progettisti, l’Italia dovrebbe essere attraversata da quattro corridoi: lo Scandinavo-mediterraneo, un asse nord-sud cruciale che attraversa il Mar Baltico dalla Finlandia e dalla Svezia e passando attraverso la Germania, le Alpi e l’Italia; il Baltico-adriatico, che collega il Mar Baltico al Mare Adriatico attraversando zone industrializzate che vanno dalla Polonia meridionale a Vienna e Bratislava, alla Regione delle Alpi orientali e all’Italia settentrionale; il Reno-alpino che collega i porti del Mare del Nord di Rotterdam e Anversa con il Mar Mediterraneo a Genova attraversando la Svizzera; infine il Mediterraneo, quello della Torino-Lione, che collega la Penisola iberica con il confine ungro-ucraino costeggiando il litorale mediterraneo della Spagna e della Francia per poi attraversare le Alpi nell’Italia settentrionale in direzione est, toccando la costa adriatica in Slovenia e Croazia, e proseguire verso l’Ungheria.
E la Sicilia? Ancora una volta, la Sicilia, famosa per essere al centro del Mare Nostrum, il cui capoluogo, secondo il sindaco di Palermo (nel corso dello scorso mandato) avrebbe dovuto essere la “capitale dell’Euromediterraneo”, è stata lasciata fuori. Dimenticata dall’Italia e dall’Europa. I finanziamenti comunitari necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati triplicheranno nel periodo dal 2014 al 2020. Ma questi soldi, che dovrebbero servire da capitale di avviamento per stimolare altri investimenti destinati a completare collegamenti trans-frontalieri difficili (fino a 250 miliardi secondo le stime di Bruxelles), non arriveranno in Sicilia. “I trasporti sono cruciali per l’economia europea e l’Europa non potrà crescere e prosperare senza buone connessioni” ha detto Siim Kallas, vicepresidente della Commissione Europea, responsabile dei Trasporti, “la nostra nuova politica infrastrutturale consentirà di realizzare nei 28 Stati membri una rete europea dei trasporti robusta e capace di promuovere la crescita e la competitività, che collegherà l’est all’ovest e sostituirà il puzzle attuale con una rete autenticamente europea”.
È innegabile. Così come è indiscutibile che, mentre la carenza di risorse e di politiche di sviluppo sta peggiorando la situazione dei porti siciliani, altri porti che si affacciano sul Mediterraneo sono in rapida crescita: A cominciare da quelli mediorientali (il traffico commerciale di Abu Dhabi è cresciuto di quasi il 40 per cento). Ma anche quelli di altri paesi europei: Fiume ha visto i propri traffici aumentare del 24 per cento, Capodistria del 18,8 e Valencia di quasi il 15 per cento.
E sono molte le compagnie di trasporti navali che stanno creando nuove rotte che fanno scalo in questi porti. La United Arab Shipping Company (UASC), ad esempio, ha appena inaugurato una nuova rotta di trasporto merci che collega il subcontinente Indiano con il Golfo Persico, Mar Rosso e il Mediterraneo Occidentale. Una linea che si chiamerà Indian Subcontinent Mediterranean Express Service (IMEX) e che partendo dal Medio Oriente, toccherà anche l’Italia, ma solo nei porti di Genova e La Spezia.
E i porti della Sicilia e delle regioni del Sud? Continuano ad illudersi che il raddoppio del canale di Suez, inaugurato lo scorso agosto, possa avere effetti positivi. Una speranza che per alcuni scali potrebbe trasformarsi in disperazione: secondo i dati Assotrasporti, gli scambi commerciali di Palermo (che include anche il porto di Termini Imerese) dal 2013 al 2014 sono diminuiti di oltre il 30 per cento (in TEU). Un numero che dovrebbe far capire che, a causa delle scelte politiche adottate, in Sicilia i porti sono “a mare”….