Può sembrare un anacronismo, ripartire dal passato per uno sviluppo futuro, ma una probabile soluzione o ipotesi di sviluppoper Pantelleria passa proprio da questa sintesi.
Per capirlo bisogna fare due passi indietro e uno avanti. Il primo dei passi indietro porta agli anni 40, quando la superfice coltivata a vigneti occupava il 70 % della superfice coltivabile del suo territorio, il resto era occupato da capperi, ulivi ed il non molto commercializzato origano.
Tutta l’isola era un immenso giardino. Si lavorava l’uva fresca e uva passa, nel periodo dei primi di settembre, decine di motovelieri partivano per mercati del mediterraneo carichi di cassette di dorato zibibbo. Il tanto rinomato passito in effetti arriva, come produzione a se stante, negli anni 70, è diventa immediatamente un prodotto di punta, richiesto e ricercato. Ricercato perché in effetti ben poche sono le aziende isolane attrezzate per produzioni tali da soddisfare le forti richieste. Non a caso in seguito apriranno cantine come; Cantine Pellegrino, Donnafugata, De Bartoli, sia per ampliare il proprio bouquet sia per commercializzare il prodotto.
I capperi, che sull’isola venivano coltivati in modo intensivo, non avevano mai giacenza. Tutta la produzione veniva accaparrata da grossisti che, senza le tecnologie moderne, li vendevano in tutti mercati italiani. Si vendevano tutti, con un ottimo prezzo, anche perché nel mercato italiano non si trovavano capperi di altri paesi o piazze commerciali.
Il secondo passo indietro, ci porta negli anni 90 e nei decenni dopo, in quella che è stata una vera e propria rivoluzione che ha cambiato radicalmente l’economia, la società e la cultura isolana. Sono i decenni in cui Pantelleria viene scoperta dal turismo di massa, e sono gli anni in cui la quasi totalità dei dammusi sulla costa vengono venduti. Tutto è in vendita e tutto viene comprato, dammusi, magazzini, sarduna, piccole costruzioni in campagna. In poco tempo arriva un fiume di denaro mai visto prima nella storia economica di Pantelleria.
Il cambiamento è stato tumultuoso e confuso, l’isola dopo decenni di silenzi e abbandono, da parte della politica provinciale, entra di forza tra le mete turistiche più richieste. Nonostante, l’isola non sia preparata a questa nuova realtà, sono anni di grande sviluppo economico, trainata principalmente dall’edilizia, ristrutturazione e costruzione di dammusi, e dalle attività ad essa connesse.
E’ una costante corsa ad adeguarsi a tutte le esigenze e servizi che il turismo necessita, ma si ha la sensazione di essere sempre un passo indietro mai avanti. Il perché di questo sta anche nel dover capire da parte di tutti, privati e non, cosa significa fare turismo, nel senso più ampio del concetto. Un’armonizzazione di tutti gli strumenti che una realtà turistica deve avere, ricettività, strutture, servizi di supporto, trasporti, valorizzazione delle peculiarità naturali e produttive del territorio, che stenta ad essere capita.
Tutto questo cambia profondamente la società pantesca. Le nuove e diversificate opportunità di lavoro, le forti entrate di danaro, hanno portato un’accelerazione nell’abbandono dei terreni e della agricoltura. Pantelleria conserva ancora il suo aspetto agricolo ma le produzioni di zibibbo di Pantelleria e di capperi crollano, nonostante negli anni arrivi per lo zibibbo un riconoscimento che lo certifica come DOC ed il cappero ottiene il marchi IGP. Il guadagno, per certi versi, facile, legato al turismo, si lascia alle spalle, con superficialità e incoscienza, la vera ricchezza dell’isola, i prodotti per cui è riconosciuta ovunque.
E’ pur vero che a questo stato di cose collaborano anche storie tristi e criminali come il fallimento voluto di una cooperativa di agricoltori ma questa è un’altra storia.
Il passo in avanti è la storia attuale, legata fortemente alla crisi globale che ha costretto, tutti, a fare un forte reset, nel modo di vivere, nelle aspettative o prospettive di futuro e lavoro. Più che dimezzato il turismo, tante attività chiuse o in forte sofferenza, edilizia totalmente crollata. I tempi delle vacche grasse è passato e non si ha idea di quando pascoleranno ancora da queste parti.
Ma ora, adesso, qualcosa è cambiato nella percezione generale. L’esperienza, sappiamo, è grande maestra di vita e accorta consigliera. Si sta facendo spazio la consapevolezza che bisogna dare sostanza e qualità a qualsivoglia iniziativa. Si capisce che Pantelleria deve diventare e fare “sistema”, come un solo corpo, come un solo organismo.
L’immenso patrimonio culturale, naturale ed agricolo possono e devono essere gli strumenti da cui ripartire. In fondo qui abbiamo tutto quello che le nuove tendenze di mercato di qualità e di nicchia vuole, lo abbiamo sempre avuto. Nuove tecnologie, maggiore informazione ed il mercato senza fine che offre il web, non possono essere che uno strumento in più da utilizzare. A parte le difficoltà oggettive di operare in un’isola come Pantelleria, tante le aziende che fanno agricoltura sostenibile, come pure quelle di conserve e confetture dei prodotti tipici locali. Il sistema di piccole e medie cantine, dopo difficoltà e fallimenti, comincia funzionare, diventando non solo luoghi di degustazioni ma di intrattenimento e cultura.
I servizi al turismo, dopo un’impietosa ma necessaria scrematura, sono solo di qualità. Se il concetto e ripartire dal passato Pantelleria può aggiungere un passato di culture e civiltà che l’hanno abitata, mi riferisco al grande patrimonio archeologico, dei vari siti, finalmente in fase di sistemazione, sia di musealizzazione dei reperti sia di fruibilità. Senza dimenticare il contesto naturale architettonico unico che è l’anima, l’ampio respiro, di Pantelleria, ci si rende conto di come questo insieme, sia la sola e sana via di sviluppo futuro.