Nelle scorse settimane sono circolate voci circa un possibile intervento militare in Libia. In molti hanno avanzato proposte ridicole per risolvere il problema dei flussi di migranti e della gestione dei disperati che arrivano sulle coste italiane. Poi, Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e per la sicurezza, ha riferito, non senza un certo orgoglio, del risultato ottenuto: ripartire i migranti secondo “quote” in alcuni Paesi europei.
Due cose, però, entrambe molto importanti, non sono state dette. La prima è che, se è vero che si è parlato di un “possibile” accordo per ospitare i migranti in diversi Paesi europei, è anche vero che il documento parla di “richiedenti asilo” eritrei e siriani. Secondo i dati diffusi dall’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a richiedere asilo sono in molti, ma ad ottenere questo riconoscimento è una minima percentuale dei migranti.
Giusto per capire di che numeri si parla, secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, a sbarcare sulle coste italiane sono state circa 157 mila persone. Di queste, solo poco più di trentamila (dati del Viminale relativi al 2013/2014) hanno richiesto qualche tipo di “protezione internazionale”. E, di questi, a poco più di 3.000 è stato concesso l’asilo politico. I “richiedenti asilo” che arrivano nei centri di accoglienza italiani e che potrebbero essere suddivisi nei vari Paesi europei sarebbero una parte infinitesima di quelli che sbarcano in Italia. Tutti gli altri resterebbero in Italia e continuerebbero ad essere semplici “immigrati clandestini”, come hanno fatto fino ad ora.
Ma non basta. In questi giorni sul sito di Julian Assange, Wikileaks, è stato diffuso un documento, relativo ad una riunione dei ministri della Difesa dei Paesi dell’Unione europea, svoltasi l’11 maggio scorso a Bruxelles. In questo documento si legge che “l'Unione Europea schiererà la forza militare contro infrastrutture civili in Libia per fermare il flusso di migranti. Dati i passati attacchi in Libia da parte di vari Paesi europei appartenenti alla Nato e date le provate riserve di petrolio della Libia, il piano può portare ad altro impegno militare in Libia”.
Un intervento militare in piena regola di cui, però, nessuno ha parlato e che nessuno ha approvato: né nei vari Paesi dell’Unione, né in Commissione europea, né al Parlamento europeo. Una scelta che, secondo il documento, sarebbe giustificata dalla “potenziale presenza di forze ostili, estremisti o terroristi quali quelli dell'Isis, e la minaccia posta dalla sola gestione di grandi numeri di migranti".
"Un'operazione militare di (almeno) un anno contro le reti e le infrastrutture di trasporto dei profughi nel Mediterraneo, comprendente la distruzione di imbarcazioni ancorate e di operazioni dentro i confini territoriali libici". Nel documento si parla anche di una prima fase che dovrebbe portare a "una sufficiente comprensione dei modelli di business di traffico degli esseri umani, dei finanziamenti, delle rotte, dei punti di imbarco, delle capacità e delle identità, in modo che le operazioni di interdizione possano avere inizio con la più alta probabilità di successo e il minimo rischio".
“L'EUMC [il Comitato Militare dell'Unione Europea, n.d.r.] riconosce che non c'è abbastanza tempo per sviluppare ed ottenere l'approvazione del Consiglio di opzioni militari strategiche. Pertanto, l'EUMC determina che un robusto IMD è necessaria per affrontare ulteriormente le questioni individuate nel presente parere militare”.
E mentre in Italia i vari leader di partito giocavano a fare previsioni sui metodi di intervento, a Bruxelles c’era chi, senza dire una sola parola, aveva già pensato a cosa fare e a come farlo e aveva deciso l’adozione di "regole di ingaggio robuste e riconosciute”, in particolare per “la neutralizzazione delle navi e dei beni dei trafficanti”, ma anche per situazioni specifiche quali il soccorso di ostaggi e la detenzione temporanea di quanti rappresentano una minaccia alla missione o sono sospettati di crimini.
Ancora più sconvolgente è che il documento sottoscritto a Bruxelles prevede anche una strategia da adottare nel campo dell'informazione, dato "il rischio per la reputazione dell'Ue in caso di qualsiasi trasgressione percepita dall'opinione pubblica a causa di eventuali incomprensioni riguardanti compiti e obiettivi" della missione, o nel caso di eventuali "perdite di vite umane attribuite, correttamente o meno, all'intervento o all'inazione della forza europea" (punti 38 e 39 del documento).
Nei giorni scorsi, a Bruxelles, qualcuno ha deciso di scendere in guerra (come al solito, chiamarla azione di pace o forza di polizia internazionale, non cambia l’essenza delle cose) senza che ciò sia stato deciso né dagli organi politici preposti né tanto meno dagli europei… Sempre che, ovviamente, i documenti resi pubblici da Assange siano autentici (ma finora nessuno ha pubblicato alcuna smentita)…
Da qui una domanda: in questa possibile guerra che ruolo dovrebbe giocare la Sicilia? Sarà in prima fila con le proprie basi militari – e i propri aeroporti civili – come avvenuto con la guerra che ha portato all’eliminazione di Gheddafi?
Foto tratta da obiettivonews.it