Nei giorni scorsi tutti i media si sono preoccupati di diffondere la notizia che la Grecia, molto probabilmente, non sarebbe riuscita a saldare la sua rata del prestito ricevuto dal Fmi, il Fondo monetario internazionale, e che sarebbe “fallita”. Addirittura c’è stato chi ha dato la notizia del commissariamento del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis (poi smentita).
Invece, un giorno prima della data di scadenza prevista per il pagamento della rata, la Grecia ha versato al Fmi la sua rata di oltre 700 milioni di euro. Nuovo scatenarsi dei giornali per dire che la Grecia è riuscita a onorare i propri impegni.
Nessuno si è preso la briga di domandarsi dove la Grecia avesse trovato i soldi. Un dubbio più che legittimo dato che, non più tardi di qualche settimana fa, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici e le pensioni, il governo Tsipras aveva dovuto fare ricorso a due miliardi di euro prelevati dalle riserve di liquidità rimaste nelle aziende pubbliche, nelle ‘casse’ previdenziali e presso le amministrazioni regionali. Il “fondo del barile” lo ha chiamato l’agenzia Reuters. Un “fondo” appena sufficiente alle necessità correnti e che, già si sapeva, non sarebbe stato sufficiente per saldare la rata del prestito del Fmi in scadenza il 12 maggio.
Oggi l’arcano mistero è stato svelato: la Grecia ha pagato la rata del suo debito al Fmi utilizzando i soldi dello stesso Fondo monetario internazionale. Sembrerebbe un’assurdità e, invece, è proprio ciò che è successo. La Grecia ha restituito 760 milioni di euro di debito al Fondo monetario internazionale prelevando 660 milioni di euro dal proprio “conto d’emergenza” aperto presso lo stesso Fmi. I Paesi che aderiscono all’Fmi, infatti, hanno accesso a due conti: uno in cui sono depositate le quote annuali di partecipazione, l’altro che può essere usato per le emergenze. Ebbene, il governo di Atene ha prelevato 660 milioni di euro dal conto per le emergenze (altri 100 milioni sono stati prelevati dalle ‘casse’ della Banca centrale ellenica).
Sorge spontanea una domanda: ma se è vero come dicono tutti (dalla Bce al Fmi all’Unione europea) che la situazione della Grecia è così grave, perché ci si ostina a prolungare la sua agonia? Il ricorso al fondo per le emergenze non risolverà i problemi di questo Paese. Servirà solo a rendere la spada di Damocle finanziaria che pende sulla sua testa ancora più affilata, se è vero quanto riportato da un funzionario greco, secondo il quale i soldi prelevati dal conto corrente della Grecia presso il Fmi dovranno essere restituiti entro qualche settimana.
Da anni ormai non si fa altro che sentire dire che la Grecia “non può uscire dall’Ue”, che “deve restare nell’area euro”. Cosa impedirebbe ad uno Stato sovrano di cambiare idea e di decidere, una volta per tutte, di smettere di subire il dominio della Troika, il trio costituito da Banca centrale europea (Bce), Commissione europea e Fmi? La verità, contrariamente a come cercano di contrabbandare le informazioni di regime, è che la Germania, la Troika e tutti quelli che governano l’Unione europea sono terrorizzati dalla possibilità che la Grecia possa prendere la decisione di lasciare l’Unione europea e rivolgere i propri orizzonti e la propria economia altrove. Magari verso est, verso la Russia che da tempo ha dimostrato di voler aiutare la Grecia stipulando accordi di collaborazione internazionale e commerciale (in barba all’embargo stabilito dall’Ue). Accordi che, a breve, potrebbero essere basati non sull’euro, ma su altre monete: già oggi gli scambi commerciali dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) avvengono non in dollari, ma utilizzando la moneta nazionale cinese; ed è di qualche giorno fa la notizia che la Russia avrebbe allo studio la possibilità di utilizzare una nuova moneta unica internazionale per gestire gli scambi con questi e con molti altri Paesi del mondo.
Chi controlla l’Ue è terrorizzato da questa possibilità: una Grecia che si riappropria della propria sovranità nazionale sarebbe un esempio per molti altri Paesi europei, specie quelli stanchi di subire i diktat della Germania, della Gran Bretagna (che, pur non avendo voluto sottomettersi all’euro, possiede una percentuale rilevante delle azioni della Banca centrale europea), della Bce e della Troika. È per questo motivo che i vertici europei stanno facendo di tutto per costringere la Grecia a restare in Europa e nell’euro. Anche a costo di concederle un prestito che non potrà mai onorare.
Anzi, proprio la mannaia del nuovo debito nei confronti del Fmi potrebbe servire allo scopo. Non è difficile capire cosa succederà quando finirà la straziante agonia della Grecia. A meno che Tsipras non sia in grado di dimostrare ai suoi elettori e al mondo intero che le promesse fatte in campagna elettorale non sono solo fumo e che il suo governo è davvero in grado di staccare la Grecia dalla mannaia finanziaria dell’Ue, prima o poi la stessa Grecia sarà costretta a cedere parte della propria sovranità nazionale a Bruxelles e a Francoforte. Sono anni che quanti si sono succeduti (senza mai essere stati eletti) alla gestione della cosa comune lo predicano e lo predicono: molte, troppe volte sono state ripetute parole come “cessione di parte della sovranità nazionale dei singoli stati all’Ue”. Costringere la Grecia ad essere il primo Paese dell’Ue a farlo servirebbe a far credere agli altri Stati che, in fondo, diventare schiavi di chi non è mai stato eletto (né mai lo sarà, visto che per le nomine di questi organismi non sono previste elezioni ma, per l’appunto, solo nomine) non fa poi così male. Anzi, che si tratta di una fenomeno “inevitabile”.
Dimostrare che le promesse di autonomia e di secessionismo di Tsipras (che, fino ad ora, era l’unico ad avere vinto le lezioni nel proprio Paese, gli altri – Scozia, Francia, Catalogna – sono stati battuti) non sono servite a molto, avrebbe anche un altro vantaggio: renderebbe chiaro ed evidente il potere assoluto della Troika su molti Paesi dell’Ue.
Nessuno, né in Grecia né negli altri Paesi europei, si è preso la briga di leggere i “numeri”: se i conti pubblici della Grecia sono in rosso, il vero problema non è il debito pubblico (altri Paesi come il Giappone o gli Stati Uniti vivono con un debito pubblico ben maggiore), né lo spread. Il vero problema è che negli anni passati una classe politica plagiata da chissà quali promesse ha permesso alle banche, anzi ad “alcune” banche, di appropriarsi della maggior parte del debito pubblico della Grecia. Oggi il 72% di questo debito è in mano a istituzioni pubbliche straniere: il 60% è controllato dall'Unione europea (attraverso il Fondo di stabilità europeo e il Meccanismo europeo di stabilità), mentre il restante 12%, invece, è gestito dal Fondo monetario internazionale.
Inoltre, con la decisione di aderire all’euro, una classe politica ignorante (nel senso etimologico del termine) ha privato la Grecia dell’unico strumento che avrebbe permesso al Paese di ridurre, o almeno di contrastare, la crescita del debito pubblico: il potere di emettere moneta. Aver ceduto la sovranità monetaria prima ad una banca nazionale, ma totalmente privata, e, poi, alla Bce, altro soggetto privato, ha privato la Grecia dell’unica forma di difesa di cui disponeva.
Il risultato è che, oggi, la Grecia è diventata schiava delle decisioni della Troika. E né la Bce, né la Commissione europea, né il Fmi hanno alcun interesse a che il Paese si riprenda dal proprio coma finanziario. Per la Troika è molto più utile continuare a imporre ai greci norme e direttive dannose per la loro economia, per le loro finanze e per gli abitanti di questo Paese. Prima di sottomettersi all’euro e all’Ue, la Grecia era un Paese libero. La sua economia, nonostante qualche difficoltà, riusciva a vivere e a gestire un patrimonio immenso fatto di risorse naturali, di storia, di cultura e di produzione. Da quando i politici hanno permesso all’Ue e all’euro di appropriarsi dell’economia greca, il Paese è nelle mani delle banche e delle multinazionali che hanno fatto incetta di ogni bene.
Un baratro dal quale la Grecia (e gli altri Paesi dell’Unione assoggettati ai diktat della Troika) non riuscirà certo ad uscire attingendo al fondo per le emergenze del Fmi. Per risorgere dovrà riappropriarsi della propria sovranità nazionale e monetaria e smettere di obbedire ai dettami della Troika. Ma questo, almeno fino ad ora, Tsipras non sembra essere stato capace di farlo.
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