“Il male non ha bisogno di motivi, basta un pretesto”. La citazione di Goethe viene da un insospettabile difensore d’ufficio di Sinner nell’affare doping: Tony Nadal, per un ventennio coprotagonista – come coach – delle gesta del nipote Rafa el campeon. La sorpresa è duplice. Prima di tutto perché il suo intervento è stato pubblicato da El Pais, mentre il resto della stampa spagnola ha picchiato duro sul fuoriclasse italiano insinuando il sospetto di un grande imbroglio. E poi per il dito puntato sul pianeta tennis che, tranne poche eccezioni, non si è distinto per solidarietà (eufemismo) con il numero uno del mondo.
La posizione di zio Tony, invece, è forte e chiara: “Conosco abbastanza bene Jannik da poter affermare senza esitazione che è uno dei più corretti ed educati del circuito. Per me è impensabile che possa agire subdolamente sapendo di farlo”. E poi, ancora più drastico: “Ci sono persone o media che, senza conoscere a fondo il caso, sono sempre disposti a esprimere un’opinione, giudicare e condannare. Ma mi stupisce che sia stato proprio il circuito tennistico, in particolare certi giocatori, a schierarsi contro. Alcuni suoi colleghi si sono allenati con lui o lo hanno affrontato: sono perfettamente consapevoli dei controlli incessanti dell’Agenzia antidoping eppure sono proprio loro che seminano dubbi sulla sua innocenza o invocano una punizione che sanno essere sproporzionata”.
“I haven’t done anything wrong”, “nulla di sbagliato”, ha risposto due giorni fa in sala stampa Sinner. È qualcosa di diverso rispetto al “nulla di male” della traduzione italiana. Il ragazzo rosso non ha dato un giudizio morale su se stesso: ha spiegato di aver tecnicamente usato le misure necessarie a evitare l’assunzione di sostanze proibite, per vie dirette o contaminazione esterna. Però, è impossibile controllare ogni cosa, e lui lo sa. Per questo in sala stampa non si è sottratto alle domande scomode – il moderatore aveva avvertito che si sarebbe parlato soltanto degli US Open scattati oggi – raccontando la sua verità. A partire dalla concentrazione di Clostebol trovata nelle urine: “È dello 0.000000001, ci sono tanti zeri prima di arrivare all’uno. La mia coscienza è sempre stata tranquilla perché metto molta attenzione, ma ero comunque preoccupato”. Tutto vero, tutto testato dai luminari che hanno esaminato le analisi emettendo il verdetto di non colpevolezza. Peccato che ci sia la frase di Goethe da mettere in conto.
“È il momento in cui capisco chi sono gli amici e chi i nemici”, ha tuonato con gentilezza (ossimoro) Il fenomeno di San Candido. L’amico ritrovato, ben oltre gli aculei della rivalità sportiva, si chiama Sasha Zverev, numero quattro del ranking. In una intervista alla Bild il tedesco ha detto: “Jannik è un ragazzo eccezionale, che conosco bene anche fuori dal campo. Nel suo caso tutto è stato chiarito in un giorno solo. Ho sempre avuto un buon rapporto con lui, di sicuro questo non cambierà”. Un alleato che non ti aspetti pesa quanto il compagno di squadra che sta dalla tua parte. Un nome su tutti: Matteo Berrettini, campione di lealtà. “Penso che siamo stati mesi durissimi. Non gli ho detto nulla anche se lo vedevo diverso: nel tour siamo amici-nemici, ti senti sempre che non vuoi andare a disturbare il lavoro degli altri. Però aveva meno gioia del solito nel gioco. Quando è uscita la notizia dell’inchiesta e del proscioglimento ho capito”. Il seguito è un elogio incondizionato: “Abbiamo parlato negli spogliatoi. Guardandoci negli occhi ho capito le difficoltà affrontate, è impressionante come alla sua età abbia saputo gestire la situazione. Lo conosco bene, sono sicuro che sia stato un errore”.
C’è ancora uno spiacevole commento alla vicenda che a Sinner non è proprio andato giù: il presunto trattamento di favore ricevuto dall’Itia, l’Internazional tennis integrity agency. Due pesi e due misure, ha evocato Djokovic oscillando tra il dico e non dico. Intervistato da ESPN, emittente televisiva americana, Jannik ha replicato togliendosi un macigno dalla scarpa: “Non sono stato trattato diversamente da qualsiasi altro giocatore. Malgrado la positività ho potuto continuare a giocare perché sapevamo esattamente da dove proveniva la sostanza incriminata e com’era entrata nel mio organismo: l’abbiamo spiegato alle autorità immediatamente. Il processo è durato a lungo, non è stato un periodo semplice. Capisco che la posizione in cui sono mi ha permesso di poter avere i migliori avvocati, un ottimo team legale, ma questo non significa che sia stato privilegiato rispetto agli altri”.
È un bene che gli US Open siano partiti, relegando in un cassetto le polemiche. Un bene per Sinner, per il torneo, per gli spettatori e per il tennis che è sì il gioco del diavolo, ma a tutto c’è un limite. Finalmente si gioca. “Spero di riuscire a voltare pagina, spero di tornare a essere felice però ci vorrà tempo. Qui a New York non ho grandi aspettative”, sottolinea Sinner rifiutando il ruolo di favorito che la classifica gli attribuisce. Djoko il cannibale pare allora il pretendente più autorevole: è a digiuno di partite preparatorie sul cemento, di contro arriva riposato e fresco dell’oro olimpico. In più ha un doppio obiettivo, ovvero il centesimo titolo Atp e lo Slam numero 25 in singolare, superando l’australiana Margaret Court Smith che ha dettato legge tra le donne a cavallo degli anni ’60 e ’70. Alcaraz resta molto gettonato dai bookmaker, ha già trionfato a Parigi e Wimbledon, il tris lo isserebbe a numero uno virtuale nella corsa alle Finals di fine anno. Ai blocchi Zverev, Medvedev e Rublev sono un po’ più indietro. Improbabile ma non impossibile che spunti una sorpresa: il tennis tre set su cinque è una guerra di logoramento e chiunque può scoprire nello zaino il bastone di generale. Che la festa cominci, e soprattutto che sia una festa.