“Ora posso buttarmi alle spalle un periodo davvero molto difficile e profondamente triste. Continuerò a fare il possibile per attenermi al programma antidoping dell’Itia, e sono circondato da un team molto attento e meticoloso”. Non sarà tanto facile. Il calvario è stato lungo, durissimo, sofferto in silenzio. E le nuvole scure non si allontaneranno così in fretta dall’orizzonte di Sinner, mentre il vento cattivo spira forte con conseguenze tutte da capire. Se la vendetta è un piatto che si consuma freddo, la regola non vale evidentemente per il pianeta tennis.
Sembra quasi che qualcuno non vedesse l’ora di mettere in croce il numero uno del ranking, il ragazzo della Val Pusteria entrato nel cuore dei tifosi per il talento e la faccia pulita e gentile con cui si è affermato. Ai vincitori si perdona tutto, non il successo: i commenti al veleno di alcuni protagonisti, più o meno famosi, alla notizia della sua positività al Clostebol lasciano presagire una reazione acuminata dell’ambiente. Per non parlare dei social, con i fustigatori da divano all’arrembaggio con il pollice verso. Anche gli sponsor sono un’incognita. E questo malgrado il verdetto di totale assoluzione stilato dalla International Tennis Integrity Agency, l’organismo indipendente che si occupa del doping nel gioco della racchetta. Doping, sì, perché è di questo che si discute.
Facciamo un passo indietro. La sentenza di 33 pagine spiega che Sinner è risultato positivo a due prelievi: il primo effettuato il 10 marzo, durante il torneo di Indian Wells, il secondo otto giorni dopo. In entrambe le occasioni sono emerse tracce infinitesimali — meno di un miliardesimo di grammo — di Clostebol, steroide anabolizzante che ha la stessa composizione chimica del testosterone, usato per curare abrasioni e scottature della pelle. Impiegato in maniera lecita, ha un effetto antisettico e cicatrizzante: si compra in farmacia senza bisogno di ricetta medica ed è molto diffuso fra i comuni mortali. Nel bugiardino viene però specificato che si tratta di una sostanza dai possibili effetti dopanti, se presa da chi fa sport con continuità e in dosi significative. In tale eventualità, il tribunale del tennis non pedona. Una volta accertata l’intenzionalità dell’uso fraudolento, la pena è una squalifica di quattro anni. Che scendono a due se l’assunzione è stata accidentale, però determinata da colpa o negligenza. Ma se il giocatore dimostra di aver fatto tutto il possibile per rispettare le regole, scatta l’assoluzione. È stato questo il motivo per cui, qualche anno fa, fu scagionata Maria Sharapova. Ed è lo stesso per Jannik, secondo il documento reso pubblico oggi e datato 19 agosto.
Come sono andate le cose? La versione della difesa, accolta dai giudici, racconta di uno sciagurato incidente che vede per protagonisti negativi due figure fondamentali nel clan del campione: il preparatore atletico Umberto Ferrara e il fisioterapista Giacomo Naldi, professionisti bolognesi altamente qualificati e a conoscenza dei rigidi protocolli antidoping. Il primo è l’uomo che crea i muscoli in palestra ed è laureato in Chimica e tecnologie farmaceutiche; il secondo è quello che i muscoli accarezza ed è stato per sei anni alla Virtus Basket. Per quanto assurdo sembri, sono loro i responsabili di una catena di leggerezze che poteva costare carissima a Sinner, ma che comunque avrà un prezzo elevatissimo in termini d’immagine e reputazione. La cronologia è importante quanto gli eventi. Il 12 febbraio Ferrara acquista nella farmacia Santissima Trinità a Bologna una confezione del cicatrizzante Trofodermin, come dimostrano lo scontrino e la ricevuta del bancomat. Passano venti giorni, il team vola a Indian Wells: Jannik perde il match di semifinale contro Alcaraz, ma questo si rivelerà l’ultimo dei problemi. Durante il torneo Naldi si ferisce a un dito con uno dei bisturi che adopera per estirpare i calli dai piedi di Sinner, che soffre di vesciche: Ferrara fruga nella valigetta e gli presta lo spray che contiene il Clostebol, la sostanza proibita. Raccomanda di spruzzarlo sul taglio una volta tolto il cerotto, forse avvisa o forse no — qui le versioni divergono — che si tratta di un prodotto da trattare con cautela. Fatto sta che il tubetto è privo della scatolina e delle istruzioni: è la premessa al patatrac.
Prima e dopo ogni partita, Naldi massaggia più volte il fuoriclasse altoatesino che soffre di dermatite. Si dedica in particolare alla schiena e ai piedi. Senza usare i guanti. È qui che avviene la contaminazione, con successiva positività a due test. Per i giudici Jannik non sapeva né poteva sapere. Spiegherà anche di aver chiesto a Naldi: “hai messo qualcosa su quel dito?”, ottenendo una risposta rassicurante. Emerge dai verbali che in un’altra occasione l’altoatesino avesse rimproverato il collaboratore per non aver controllato le confezioni d’acqua fornite dagli organizzatori: scrupoloso e preciso, in campo e fuori. Si apprende anche che Sinner aveva ricevuto due sospensioni provvisorie il 4 e il 17 aprile dopo i test falliti, annullate su ricorso urgente del legale Jamie Singer: solo all’ultimo istante aveva potuto partecipare al torneo di Madrid, dove peraltro si ritirò per il dolore all’anca. Evidentemente c’era il cosiddetto fumus boni iuris, termine giuridico che si può tradurre con odore d’innocenza. “Jan si è trovato in una situazione sfortunata, la verità è venuta fuori e spero che dimenticherà presto”, ha commentato saggiamente il coach Darren Cahill.
La verità. Innocenza piena, dicono i tre esperti incaricati dall’Itia: “nessuna colpa o negligenza” è la formula dell’archiviazione, molto più netta rispetto al “nessuna significativa colpa o negligenza” che era l’altra possibilità. Tutti hanno concordato sulla verosimiglianza che il Clostebol sia stato assunto per contaminazione, visti i bassissimi livelli rintracciati, superflui ad alterare le prestazioni in campo. I luminari sono il professor Naud del laboratorio Wada di Montreal, il dottor De la Torre della Wada di Roma e il professor Cowan, docente emerito al King’s College ed ex capo della Wada a Londra: due su tre non conoscevano l’identità dell’atleta. La sentenza è appellabile alla Corte di Losanna entro tre settimane da parte di Wada e Nado, ovvero l’organizzazione mondiale e quella italiana antidoping: è improbabile che presentino ricorso, visti i nomi e la provenienza di chi ha emesso la sentenza. Sinner risponde soltanto di responsabilità oggettiva, perché la squadra dipende da lui: deve perciò restituire i 320.000 dollari del premio e 400 punti in classifica. Punizione che sa tanto sollievo, viste le premesse.
Ma una frangia di giocatori picchia duro. Ha aperto il tiro al bersaglio l’australiano Kyrgios: “È ridicolo, sia che si tratti di una assunzione accidentale o pianificata. Vieni testato due volte e risulti positivo a uno steroide. Jannik, dovresti restare fermo due anni, la tua prestazione è stata migliorata. Una crema per massaggi? Sì, chi ci crede”. Stessa linea colpevolista dal canadese Shapovalov: “Penso a chi è stato squalificato per sostanze contaminate, ci sono regole diverse per giocatori diversi”. E ancora il francese Pouille: “Non siamo dei coglioni. Dovremmo smetterla di prenderci in giro, giusto?”. Il test vero per Sinner saranno gli Us Open a New York, la settimana prossima: gli spifferi dagli spogliatoi e le reazioni sugli spalti diranno chi sta con chi. I bookmaker accettano scommesse.