Sul campo centrale erano in molti a crederci. Fino a mezzanotte l’Artur Ashe, che aveva fedelmente aspettato l’arrivo di Novak Djokovic (dopo la vittoria in rimonta di Coco Gauff), pensava che l’uomo dei record potesse inciampare.
Sul tabellone il punteggio recitava 6-4 6-4 per Laslo Djere, ma i più saggi tiravano già fuori qualche numero sulle rimonte impossibili compiute da Nole in carriera. L’ultima volta che aveva ribaltato una partita con due set di svantaggio era lo scorso anno, a Wimbledon, contro Jannik Sinner. Ma guardando solo agli Us Open, era impossibile non ricordare la semifinale del 2011 contro Roger Federer. Fu quello uno dei match che contribuì alla nascita del mito di Novak Djokovic, capace nella stagione di sfiorare il Grande Slam negato solo dal solito Nadal al Roland Garros.
Le premesse per il ribaltone, dunque, c’erano tutte. E così è stato.
Dopo l’inizio fulminante dell’avversario, Djokovic è entrato in spogliatoio. “Mi sono guardato allo specchio – ha detto a fine incontro – ero un po’ agitato, ho provato a cambiare qualcosa ed è andata bene”. Un piccolo pep talk, lo ha definito lui, e tutto è tornato come prima. Quando sul campo tra due giocatori ci sono 23 titoli Slam di distacco, la differenza si vede.
All’una e mezza di notte, l’arbitro chiama il game set and match e il pubblico imbocca la via d’uscita. 4-6, 4-6, 6-1, 6-1, 6-3: un punteggio che vale a Nole l’accesso agli ottavi di finale. “È bellissimo che molti di voi siano rimasti in piedi fino a tardi per vedere un match del genere. Per me non è stato facile, è stata una delle partite più dure che ho giocato qui, Laslo è stato bravissimo, gli faccio tanti complimenti. Nel quinto set forse lui era più stanco di me, ma ha continuato a servire bene”.
Per Djokovic, il suo inizio traballante è anche dovuto alle caratteristiche di gioco. Le condizioni, tra la sessione diurna e quella serale, cambiano: quando il sole scende dietro l’Artur Ashe tutto diventa più lento.
Ma nonostante la fatica, a partita finita il serbo entra nella zona riservata ai giocatori e parla da leader del circuito. È stanco e provato dalla sfida, ma trova comunque il tempo per due battute. “Molto semplice: vincere una partita è sempre meglio che perderla. Stasera penso di aver mandato un messaggio al resto dei giocatori. Gli anni passano per tutti, anche per me (oggi Djokovic ne ha 36), ma ho dimostrato di essere ancora in grado di giocare cinque set di notte. Rimontare in questo modo è un segnale forte per tutti i tuoi futuri avversari”.