Dai commenti sulle sorprendenti traiettorie della Coppa in Qatar si apprende che la lettera dominante è la M. M nel senso di mondiale, naturalmente. Ma M anche come Messi, Mbappé, Modric: gli alfieri di Argentina, Francia e Croazia, le squadre più accreditate per la conquista del titolo. E M, infine, è pure l’iniziale di Marocco: l’outsider in semifinale, il primo team africano (e arabo) che è riuscito a tagliare questo storico traguardo.
Rispetto a 4 anni fa in Russia, quando alla stretta finale rimasero in lizza solo squadre europee (la Francia che poi vinse battendo la Croazia, il Belgio e l’Inghilterra), in Qatar sono ancora in corsa tre continenti. E’ un mondiale decisamente più universale, inclusivo di più realtà planetarie, che registra l’emergere di nuovi equilibri.
Fra le grandissime favorite le più pronosticate per la finale di domenica 18 sono Francia e Argentina, entrambe vincitrici di due Coppe. La Francia, se dovesse vincere, realizzerebbe un bis che non si verifica esattamente da 60 anni (il Brasile replicò in Cile nel ‘62 il successo in Svezia del ’58). L’unico precedente risale a tempi molto remoti: l’Italia che prima della seconda guerra mondiale trionfò nel ’34 e nel ’38. All’Argentina il titolo manca dall’86 (Messico), propiziato soprattutto da uno straripante Maradona (e dalla sua “mano de Dios” che contribuì a piegare nei quarti di finale l’Inghilterra con un gol truffaldino).
Francia e Argentina, indubbiamente due superpotenze che pure a differenza di Croazia e Marocco non sono imbattute, darebbero vita a una finale inedita. A parte le amichevoli, nei mondiali si sono incrociate solo un paio di volte nei gironi preliminari. Ma la sfida per aggiudicarsi la Coppa potrebbe anche essere fra Francia e Croazia, ripetizione proprio del confronto che quattro anni fa spianò il trionfo dei transalpini. O fra Argentina e Marocco che cancellerebbero l’Europa dalla geografia dei vertici calcistici.
O addirittura – l’ipotesi meno gettonata ma rivoluzionaria e di alta suggestione – fra Croazia e Marocco (la cui vittoria finale era quotata prima della competizione 250 volte la posta). Le due squadre si sono già affrontate all’esordio di questo mondiale (0-0). Se si rincontrassero rinverdirebbero il singolare intreccio del ’54 in Svizzera: quando la mitica Ungheria di Puskas crollò in finale (3-2) contro la Germania Ovest dopo averla strapazzata (8-3) nella fase a gironi.

In un mondiale poco propositivo (molta difesa, scarsa innovazione), dove finora ha latitato lo spettacolo (troppi pochi campioni e perlopiù al tramonto), proprio all’ultima curva si è tornato a parlare delle mazzette che la dinastia Al Thani – al potere nell’emirato del Qatar – avrebbe distribuito a una lobby prevalentemente italiana insediata nell’Europarlamento. Per ripulire una reputazione compromessa dall’opaca assegnazione e dalla violazione dei diritti civili a danno della manovalanza asiatica reclutata per la costruzione degli stadi.
È un tema scottante, destinato a riemergere con ancor maggior clamore quando si saranno spente le emozioni delle sfide finali. L’atmosfera a Doha è oggi più intossicata dal nervosismo a fior di pelle che è deflagrato durante e dopo Argentina-Olanda. Quando per poco non è scoppiata una rissa collettiva per una pallonata scagliata da Paredes contro la panchina di Van Gaal. E per gli sberleffi unanimemente condannati degli argentini vincitori ai rigori contro gli olandesi a causa di nuove e vecchie ruggini. Risalenti in parte alle provocazioni olandesi durante i rigori, in parte alla finale vinta in maniera controversa dai sudamericani a Buenos Aires nel ’78, in piena dittatura, in cui l’Olanda si rifiutò di presenziare alla premiazione.
Ai margini sono affiorate anche le proteste del Brasile eliminato ai rigori dalla Croazia contro l’arbitro inglese Oliver. E quelle ancor più veementi del Portogallo dopo la sconfitta col Marocco contro l’arbitro argentino Tello (con la squadra del suo paese ancora in corsa). “Non perdiamo più tempo, consegniamo subito la Coppa a Messi”, ha reagito con sarcasmo Pepe (il capitano della Nazionale lusitana quando non gioca Ronaldo). Ma l’Argentina, intanto, corre seri rischi di squalifiche per le scene da Far West che hanno macchiato l’epilogo della sua qualificazione.

Nella semifinale di martedì con la Croazia gli argentini, che pure non hanno ancora espresso un gioco convincente, appaiono in ogni caso leggermente avvantaggiati. Analogamente al Marocco sentono di avere la spinta di tutto un popolo alle spalle. Per gli osservatori politici solo la conquista della Coppa potrebbe risollevare il morale sotto i tacchi di un paese messo di nuovo in ginocchio dall’iperinflazione e dallo spaventoso debito finanziario.
In più c’è la determinazione di Messi, il fuoriclasse che a livello di club si è tolto ogni soddisfazione, ma che con l’Argentina ha vinto solo una Coppa America e mai un mondiale. A 35 anni il sette volte pallone d’oro (contro i cinque di Cristiano Ronaldo) vuole sfruttare l’ultima occasione per arricchire con il trofeo più prestigioso il suo straordinario palmares avvicinando il mito impareggiabile di Maradona. Per centrare l’impresa Messi si è scrollato pure di dosso la naturale mitezza. Si è incattivito, qualcuno suggerisce “maradonizzato”, trasformandosi in un trascinatore grintoso.
La stessa aspirazione è condivisa dal 37enne Modric, il metronomo croato, l’unico campione che è riuscito a interrompere la ultradecennale leadership di Messi e Ronaldo aggiudicandosi un pallone d’oro. Ma la Croazia, che ha altri due punti di forza in Perisic e Brozovic, manca di una punta di livello. Su cinque partite ne ha pareggiate quattro e nella fase ad eliminazione diretta si è fatta largo solo ai rigori.
Il Marocco, che in due partite ha liquidato l’intera penisola iberica (prima la Spagna, poi il Portogallo) che gli si staglia proprio di fronte e ostacola i suoi flussi migratori, oltre che un popolo ha un intero continente che idealmente lo sostiene. E’ stato sfiorato pure dallo scandalo delle mazzette di Bruxelles ma per una questione di diritti umani legati alla repressione nel Sahara Occidentale che non sta incidendo minimamente sul suo momento magico. Di fronte ha però stavolta un ostacolo quasi insormontabile. La Francia detentrice del titolo che ha la sua punta di diamante in Mbabbè (capocannoniere del torneo). Il vero erede di Messi e Ronaldo, spalleggiato in Qatar da un pure stratosferico Giroud.

Francia-Marocco di mercoledì è quasi un derby per via dei molti marocchini emigrarti nel paese transalpino. E perché oltre la metà dei giocatori africani sono nati o cresciuti in città europee. Due nella banlieue parigina. Come anche il responsabile tecnico Regragui, diplomato in matematica e scoperto come calciatore da Rudi Garcia, ex allenatore della Roma. Lo spirito nazionalista che soffia a Rabat, che verso Parigi cova un senso di rivalsa anche maggiore rispetto a Madrid e Lisbona, fa già parlare di decolonizzazione del football.
Le due squadre si sono incontrate undici volte, perlopiù in amichevole. L’ultima nel 2007 a Parigi (fini 2-2). Il punto di forza del Marocco è soprattutto la difesa incentrata sul talento di Hakimi (ha subito un solo gol, per una sfortunata autorete, contro il Canada). Ma nel corso del torneo sono emerse anche le qualità di giocatori finora sottovalutati: come Ambarat, centrocampista della Fiorentina, dal rendimento nel nostro campionato altalenante. Basterà per arginare il ciclone Mbappé che nella fantasia popolare è riuscito a modificare perfino il motto della rivoluzione francese? “Liberté, egalité, fraternité”, nelle piazze francesi durante questi mondiali, è stato “rivoluzionato” in “Liberté, egalité, Mbappé”.