Lunedì ci saranno gli scatti a Melbourne Park o sulla spiaggia con la grande coppa d’argento, Jannik sarà sorridente, finalmente rilassato e con un po’ d’imbarazzo perché è diventato suo malgrado un ragazzo-copertina. Bravissimo a bere una certa tazzina di caffè e gustare quel tal piatto di pasta, così come a usare la fibra del futuro. Avrà attorno uno stuolo di piccoletti alti un metro meno di lui, che sognano di diventare campioni e si ispirano a questo numero uno del mondo con i capelli rossi. Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno del tennis: Sinner è sempre affabile, firma valanghe di autografi, si mette in posa per le foto, asseconda ogni richiesta, risponde volentieri a domande ingenue perché faceva lo stesso lui con i suoi idoli, quando aveva la medesima età.
Poi salirà in aereo per il lungo viaggio di ritorno dal continente australe verso casa, tre-quattro giorni di riposo e non di più. Incombono gli allenamenti per preparare i tornei sul cemento di Rotterdam, Doha e il double sunshine – lo swing americano tra Indian Wells e Miami. Il circuito non si ferma e non c’è pace per gli eroi. La partita più rischiosa, infida e incerta è però già cominciata da tempo. Avrà il culmine il 16 e 17 aprile a Losanna, sede del Tribunale dello Sport dove Sinner si difenderà dall’ipotesi di negligenza per la positività al Clostebol – una delle sostanze nella lista proibita agli atleti. Rischia da uno a due anni di squalifica. Attenzione, non si parla affatto di doping: è stato dimostrato che il fuoriclasse italiano è stato vittima di contaminazione infinitesimale, indiretta e involontaria. Meno di un miliardesimo di grammo. Difficile misurarlo, perfino immaginarlo. Tesi accettata dal Tribunale indipendente del tennis (che l’ha scagionato con formula piena) e perfino dal pubblico accusatore: la Wada, l’agenzia che ha presentato ricorso contro l’assoluzione. L’organizzazione mondiale antidoping al centro di molte polemiche per l’opacità del suo operato.
Tutto questo sarebbe inspiegabile secondo le regole del buonsenso. Ma esistono avversari che prescindono da giustizia e verità: si chiamano terrore, malafede, disinformazione. Perché il nostro Pel di carota è il volto gentile di un mondo spietato, dove i colpi bassi sono più violenti di quelli in campo. Il terrore è la conseguenza di regole assurde, che anziché colpire chi imbroglia davvero prendono di mira i bersagli grossi. Utili a creare clamore, dare un senso al proprio ruolo e usufruire dei finanziamenti statali che sostengono il baraccone. Sono così spuntati i casi Sinner, Swiatek e chissà quanti ancora domani. Il fatto è che le maglie del setaccio sono diventate strettissime: le analisi chimiche ipersofisticate su un prelievo di sangue o di urina possono evidenziare contaminazioni chiaramente innocue – in quanto inadatte ad alterare fraudolentemente la prestazione – ma che accendono il pulsante rosso dell’inchiesta. Capita così che il tennista riceva una mail e scopra di essere sotto accusa senza sapere né come né perché.
È accaduto alla polacca Iga Swiatek, numero due della classifica, fermata per un mese e costretta a restituire punti e premi. Colpevole d’aver preso melatonina contro il jet lag, comprata in farmacia su consiglio medico. Pillole contaminate in origine, nei laboratori della ditta produttrice: l’elemento vietato non era indicato sulla scatola e nel bugiardino. La vicenda è un teatrino dell’assurdo. La polacca avrebbe dovuto spendere migliaia di euro sottoponendo preventivamente quel prodotto, garantito, ad analisi privata per evitare rischi. Figuriamoci. Meglio patteggiare una pena minima e togliersi dai guai, dopo aver passato settimane infernali nella più totale incertezza. Dice il greco Tsitsipas: “Noi atleti abbiamo costantemente paura. Al bar, al ristorante, durante una convention pubblicitaria può accadere di ritrovarsi contaminati”. Ecco perché la Wada sta studiando nuove norme, molto meno restrittive, che considerino la positività solo al di sopra di una certa soglia. Giusto. Peccato però che Sinner sia da quasi un anno sulla graticola per colpa delle ottuse regole attuali.

Poi c’è la malafede. Quella della Bild, che sabato ha sparato in prima pagina un brutale atto d’accusa a Sinner. “Che sia in finale in Australia è uno scandalo, il caso è stato nascosto sotto il tappeto. In altri sport non sarebbe possibile: il vero numero uno è Zverev”, ha scritto l’inviato a Melbourne. Fango nel ventilatore. Il tabloid tedesco parteggia per il campione tedesco, che peraltro è amico sincero di Jannik e ne sostiene l’innocenza. Ma ancora peggiore è la disinformazione, condita al venticello della calunnia che arriva dai social e dagli spogliatoi. Molti colleghi del fuoriclasse azzurro sostengono la tesi dei due pesi e due misure e del non c’è fumo senza fuoco senza aver letto una riga della sentenza di archiviazione stilata dall’Itia.
Visto il polverone, l’Agenzia internazionale per l’integrità del tennis ha organizzato durante gli Australian Open due sessioni d’approfondimento per spiegare i casi in questione e le relative procedure. Ai corsi s’è presentato soltanto Christopher Eubanks, numero 102 del ranking e membro del consiglio dei giocatori. Ecco il suo commento finale: “Ho letto tutte le 33 pagine della sentenza per avere una buona comprensione dei fatti e non farmi condizionare dai social. È stato scoraggiante capire che le cose dette pubblicamente dai miei colleghi non erano basate sui fatti, ma falsità. Nella procedura relativa a Sinner e Swiatek niente è stato discrezionale”. Così è se vi pare, che piaccia o meno. E allora forza Jannik, c’è un’altra finale da vincere. Per poter pensare finalmente solo al tennis.