Erano tutti lì per lui. Anche papà Hanspeter, mamma Sieglinde e il fratello Mark scesi eccezionalmente dalle montagne dell’Alto Adige per stargli accanto, la famiglia che non si vede mai nelle arene del tennis. Sinner non li ha delusi nella prima uscita alle Finals di Torino. Il match d’esordio è andato come doveva andare: ha regolato 6-3, 6-4 una delle sue vittime predilette, ovvero Alex De Minaur, l’australiano che nei sette faccia a faccia precedenti aveva rimediato soltanto sconfitte. La striscia si è allungata stasera con due set veloci, un’ora e venticinque minuti. L’incontro è durato sostanzialmente quattro game, il tempo necessario per recuperare il break concesso al rivale quasi in apertura. Poi il numero uno del mondo è filato via liscio scansando la trappola che ogni favoritissimo trova sulla sua strada: il troppo amore che può far male. Perché quel palasport stracolmo di felicità, carote e parrucche arancioni malgrado i biglietti salati — si va dai 180 euro per un posto in seconda galleria fino ai 489,50 del parterre — è il sintomo di un contagio più potente dell’influenza stagionale: la Jannik-mania, una febbre che si trasmette fra adulti, adolescenti e bambini senza che all’orizzonte appaia un antidoto efficace.
Wonder Boy è oggi l’amico geniale che con i suoi colpi, uniti a uno stile fatto di gentilezza e normalità disarmante, incanta gli appassionati e fa proseliti ovunque. Gli allibratori puntano compatti su di lui, ma attenzione: giocare in casa non è sempre un vantaggio, le aspettative caricano di pressione e responsabilità. Il campione sa che la folla e il pronostico sono dalla sua parte, però non basta. Dovrà mirare dritto (e rovescio, s’intende) all’obiettivo. Che, inutile dirlo, è la vittoria e nient’altro. Sembra facile, vista da fuori: in campo non è proprio così. Le Finals sono un evento cruciale, mettono di fronte gli otto migliori nell’appuntamento che sigilla l’intera annata. E pazienza se dopo ventitré anni nessuno dei Big Three sarà in gara: Federer è diventato l’uomo immagine di sé stesso, Nadal ha chiuso definitivamente il negozio per malattia, Djokovic pur qualificandosi ha preferito portare moglie e figli in vacanza alle Maldive. È il momento del ricambio generazionale, con Sinner in pole position. La volpe inseguita dai cacciatori.
Sarà dura. Già martedì sera lo aspetta una sfida che sa di spareggio per il primo posto nel girone intitolato a Ilie Nastase: lo attende Taylor Fritz, battuto due mesi fa a New York nella finale degli US Open, che nel pomeriggio è molto piaciuto regolando Medvedev quasi in scioltezza. “Serve molto bene, dovrò essere bravo in risposta”, ha anticipato il ragazzo italiano al microfono al termine del proprio match. Aggiungendo critico: “Sono stato discontinuo nei turni di battuta e ho fatto errori in avanzamento che non potrò permettermi”. Cautela giustificata. Tanto solido e concentrato è stato l’americano, quanto scarico e litigioso il russo arrivato a fine stagione con zero titoli, nervi a pezzi e molti dubbi nello zaino. Perso il primo set per tre sciagurati doppi falli consecutivi, il moscovita ha prima spaccato la racchetta e poi ne ha maltrattata ripetutamente un’altra, beccandosi l’ammonizione e il penalty point dall’arbitro e i fischi degli spalti. Insomma ha perso la testa, di conseguenza l’incontro: tranne recuperi imprevisti, pare tagliato fuori dalla corsa alla bacchetta di Maestro. Lo sguardo va quindi all’altra poule, che porta il nome di John Newcombe: il programma del lunedì propone dopo pranzo Alcaraz contro Ruud e Zverev opposto a Rublev all’ora di cena. Lo spagnolo (che non ha mai vinto le Finals) e il tedesco (che le ha vinte due volte) sono i rivali più accreditati del nostro eroe per talento, classifica e stato di forma attuale. A proposito: come sta Sinner?
La volpe rossa, fresca di un nuovo contratto pubblicitario firmato con Nike, ha ricaricato le energie approfittando di un virus intestinale che gli ha evitato l’inutile strapazzata del Master 1000 di Bercy. Nell’ultima settimana s’è allenato con profitto, ha provato nuove cose con i coach Simone Vagnozzi e Darren Cahill, è entrato in maggior sintonia con i due recenti innesti in squadra: il preparatore atletico Panichi e il fisioterapista argentino Badio, a lungo punti fissi nel team di Djokovic. Si gioca sul cemento indoor, l’ambiente che Jan preferisce, anche se “il campo è più lento dell’anno scorso”, ha detto, mentre lui dà il meglio sulle superfici veloci. La partita con De Minaur gli ha consentito di riprendere confidenza con la battaglia dopo venti giorni senza competizioni ufficiali. E sperimentare nuove armi: in particolare back di rovescio e serve and volley, giocati con continuità e buon rendimento. Ma comunque vada a Torino e nella Coppa Davis dal 19 prossimo a Malaga, il suo 2024 resterà eccezionale: due Slam, altri cinque grandi tornei, un record di 66 successi e 6 sconfitte (senza contare le tre sfide vinte nella ricchissima esibizione in Arabia Saudita), più di diecimila punti Atp, un vantaggio abissale sul resto del plotone. Tutto questo nonostante il meteorite che gli è caduto addosso.
Resiste infatti un’ombra su tanta bellezza: il giudizio per il caso Clostebol, che pende davanti al Tribunale sportivo di Losanna. Perfino la Wada, l’agenzia mondiale antidoping che ha contestato a sorpresa il verdetto di piena assoluzione, ha riconosciuto che l’assunzione infinitesimale del farmaco vietato è derivata da una contaminazione indiretta e involontaria. Eppure c’è il rischio di una sospensione da uno a due anni, per quanto ingiusta, se il collegio arbitrale ravviserà una pur lieve negligenza di Sinner nel prendere tutte le precauzioni necessarie. Impossibile non pensarci. “Sappiamo che la squalifica è una possibilità — riassume Cahill, il vecchio saggio — ma non possiamo cambiare questa situazione. Quindi ci concentriamo sul lavoro quotidiano. Il tennis per lui è il posto sicuro, la sua bolla: Jannik in campo si diverte, sente che lì non può accadergli niente di male e noi faremo di tutto per proteggerlo. Qualsiasi cosa dovesse succedere, l’affronterà con la solita maturità e compostezza”. Avanti sempre a testa alta, da fenomeno unico qual è.