Quando il gladiatore esce dal Colosseo, sanguinante e coperto di polvere eppure ancora vivo mentre saluta i romani che l’applaudono dagli spalti. Quando il tenore vede calare il sipario, al termine dell’ultima replica e le luci del teatro si spengono irrimediabilmente. Così appare l’addio al gioco più complicato del mondo di Rafael Nadal Parera, 38 anni, per tutti semplicemente Rafa o il mancino di Manacor, paesone sull’isola di Maiorca dov’è nato e cresciuto sognando di diventare quel che è riuscito a essere. Non si tratta semplicemente di una porta che si chiude, nel suo caso. Perché Nadal è fatto di carne, sangue, ossa e tennis: un miscuglio inestricabile di forza, passione e sconfinata ambizione. La voglia di vincere sopra ogni altra cosa. Nessuno è stato come lui, su quel campo dove sei solo con te stesso davanti a un rivale che darebbe l’anima per batterti. Rafa la sua l’avrebbe scambiata per un minuto in più di adrenalina, per l’ennesima sfida da appuntare sul palmares, per il brivido che corre sulla pelle nel momento del match point, per attraversare ancora una volta — una otra vez — il tunnel silenzioso che si spalanca nel boato dell’arena. In quell’istante è una pura questione di vita o di morte, e soltanto uno spagnolo può comprenderlo appieno.
Nadal è stato un ibrido, una creatura mitologica metà toro e metà torero. Della bestia ansimante ha avuto la potenza e l’immagine terrificante, del matador il lucido cinismo per infilzare le banderillas nella schiena dell’avversario ferito. Al di là del sorriso a mezza bocca, degli occhi commossi, dei mille ringraziamenti, delle parole morbide pronunciate nel video dell’annuncio, oggi si è celebrata la resa crudele del guerriero. “It ain’t over ’til it’s over”, non è finita finché non è finita: la frase di Yogi Berra, grande coach del baseball Usa, è la verità che Rafa ha dovuto ingoiare. Stavolta è proprio finita, non ci saranno tempi supplementari. E’ il colpo di grazia. La sconfitta affrontata con un senso di stupore, l’incredulità che lo rende più uomo e meno eroe invincibile: fino all’ultimo ha creduto di poter ricacciare indietro, tirando il suo dritto arrotato, le leggi di natura. Ha provato a ribellarsi, ha tentato di oltrepassare il dolore e gli infortuni. Non è bastato. Persino il suo cuore d’acciaio ha dovuto ammettere che il corpo martoriato non resiste più alle sollecitazioni. Fasciature, cerotti, infiltrazioni, antinfiammatori. Il ginocchio, il costato, il piede sinistro deformato dal suo tennis esasperato: è normale che un atleta così straordinario soffra di una patologica cronica — la sindrome di Mueller-Weiss — che colpisce per solito le donne e gli anziani?

Malinconicamente è arrivata l’ora di dire basta. Goccia dopo goccia, passo dopo passo, gli anni della giovinezza sportiva sono passati: inutile combattere oltre. Come accade ai capitani di ventura e ai comandanti di mille battaglie, Nadal ha raccolto l’omaggio unanime degli aficionados, dei rivali storici, dei giovani talenti che l’hanno deposto dal trono. “E’ stato un onore assoluto”, ha postato Roger Federer. E tutti hanno ripensato al pianto dirotto del campionissimo svizzero, due anni fa, nella Laver Cup capolinea della sua carriera irripetibile: un doppio vissuto in coppia con l’eterno rivale spagnolo, anch’egli stravolto dalla lacrime e consapevole che la meravigliosa avventura era ormai al tramonto per entrambi. Dei favolosi big three ne resta uno: Nole Djokovic, il vecchio zio highlander che non è ancora stanco di sfidare i nipotini terribili. “La tua tenacia, dedizione e spirito combattivo verranno insegnati per decenni”, è stato il messaggio del serbo. L’onore delle armi. Anche l’allievo ed erede legittimo Sinner ha celebrato il suo modello: “Ci hai insegnato a rimanere umili — ha scritto Jannik —, a non cambiare quando raggiungi il successo, a scegliere le persone giuste intorno a te e ad avere una grande famiglia a fianco. Come hai detto tu stesso, tutto ha un inizio e una fine”.
Sarà dura ma è così, adesso c’è una vita da inventare. Difficile immaginare Nadal nel ruolo di commentatore televisivo o allenatore, potrebbe essere invece un magnifico istruttore per i bambini che cominciano, lì al sole della Baleari. In campo come sempre, con la racchetta in mano, sulla terra rossa che resta la sua vera casa. Gioco, partita, incontro. E grazie di tutte le emozioni, campeon.