Un anno fa nessuno l’avrebbe immaginato. È successo così, quasi per caso, quando Sara Errani – la veterana del tennis azzurro – ha bussato a casa Paolini con una proposta inattesa: “Jasmine, che dici se facciamo il doppio assieme e proviamo ad arrivare alle Olimpiadi?”. La ragazza toscana è rimasta stupita: “Io il doppio non volevo più giocarlo per concentrarmi sul singolare, figuriamoci se pensavo a Parigi. Renzo Furlan, il mio coach, mi ha convinto e ho risposto sì”.

Attente a quelle due. In dodici mesi hanno costruito un team straordinario, tappa dopo tappa, stringendo un patto di ferro impostato sull’amicizia fuori e sull’affiatamento in campo. Hanno vinto gli Internazionali di Roma e sono arrivate in finale al Roland Garros. Finché oggi, proprio sul Philippe Chatrier, hanno disegnato il loro capolavoro: medaglia d’oro, superando in rimonta le bomber Andreeva e Shnaider, russe senza bandiera a senza inno (atlete individuali neutrali, le definisce il Comitato olimpico). Festeggiamo il lieto fine giusto un secolo dopo il bronzo del barone Uberto de Morpurgo (eguagliato ieri da Lorenzo Musetti bronzo nel singolare maschile), ma è stata durissima.

Primo set in salita, perso male 2-6 con un piccolo tentativo di risalita abortito in un amen. “Ero tesissima, non riuscivo a centrare i colpi, poi un po’ alla volta mi sono sciolta”, ha spiegato Paolini. Per di più la capitana Errani ha accusato un dolore alla coscia sinistra, che l’ha costretta all’intervento del fisioterapista negli spogliatoi. Il ritorno in campo ha rovesciato la situazione. Reattive, rifocillate di energia, tatticamente avvedute – perché accettare un braccio di ferro con due giocatrici che hanno nella potenza la loro arma? – hanno risalito la corrente prendendo il timone della partita. Paolini 163 centimetri più Errani 164 hanno ridefinito le strategie, strappato tre volte il servizio alle rivali dell’Est e stampato sul tabellone un perentorio 6-1 che le ha issate al super tiebreak: meccanismo spietato che premia chi arriva a 10. Lì ci volevano testa e nervi, le nostre l’avevano.

È stata la trama di un thriller, con la Professoressa Sara e Molletta Jasmine padrone o quasi del gioco. Subito avanti, hanno azzannato una coppia che tale non era incidendo con il bisturi nei loro punti deboli. Gelsomina da dietro apparecchiava la tavola, Errani a rete murava i tentativi di riposta delle russe: 7-3 in un lampo. Ma altrettanto in fretta, accidenti, le altre sono risalite a 5. Poteva cambiare tutto, minare le certezze, innestare la paura di vedersi sfuggire il sogno. Ma l’ottavo punto delle nostre ha rotto le acque: è stato il più bello, il più incerto, il più emozionante dell’intero incontro. Ne servivano ancora a due e sono arrivati consecutivamente: 10-7 lo score che vale oro. Un oro moltiplicato per due.
“Siamo troppo felici”, hanno riso dopo l’inno in mezzo alla ressa tricolore. Errani è approdata a 37 anni all’apice di una carriera infinita: è stata numero 5 del ranking, ha vinto 39 tornei e quasi 400 match nel circuito maggiore, ha conquistato tre volte la Fed Cup (che è la Davis femminile), ha fatto il Grande Slam della Carriera assieme a Roberta Vinci. Gelsomina, 28 anni, garfagnina, simbolo della bella Italia multietnica è arrivata al numero 5 del mondo in una stagione che definire magica è poco. Adesso possono fregiarsi anche del titolo olimpico: mai due italiane e erano arrivate tanto in alto. Giù il cappello.