Abbiamo tirato la cinghia per decenni, vivendo nel ricordo di Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta e una Coppa Davis conquistata nel ’76 a Santiago del Cile. Con qualche sporadico exploit, legato in particolare all’estro di Fabio Fognini, anello di congiunzione tra le vecchie glorie e le nuove generazioni. Almeno per i maschi, è andata così. Nell’era delle vacche magre, a tenere su lo stellone tricolore hanno provveduto le ragazze d’oro: Francesca Schiavone, un successo e una finale al Roland Garros negli anni di grazia 2010-2011, poi Flavia Pennetta e Roberta Vinci che nel 2015 si giocarono gli US Open in una indimenticabile finale made in Italy, quindi Sara Errani, che ha messo in cassaforte 39 titoli nel circuito maggiore fra singolare e doppio ed è ancora sulla breccia con vista sulle Olimpiadi. Ora però la latitanza degli uomini è ufficialmente finita. Ci siamo ritrovati all’improvviso ricchi, ricchi sfondati, più ricchi degli emiri con i petrodollari, ricchi come Paperone mentre nuota nel deposito dei megastrabilioni di dollari.
Il cielo plumbeo di Londra scarica pioggia e vittorie a ripetizione, certificando quel che nessun tifoso osava neppure immaginare: l’Italtennis è diventata la nazione guida. Il miracolo a Wimbledon, tempio del tennis, porta ogni giorno notizie elettrizzanti agli azzurri. L’ultima è arrivata più o meno all’ora di pranzo nel Belpaese, mentre sull’erba di Church Road si celebrava il rito delle fragole con panna: Lorenzo Musetti ha annichilito il bombardiere francese Perricard – primo set sott’acqua, poi una galleria di capolavori che si sostanziano in 15 palle break e otto errori soltanto in tutto il match, chiuso 4-6, 6-3, 6-3, 6-2. Così ha emulato Sinner nei quarti di finale del torneo più antico della storia. Un record. Nell’abbondanza rientra l’ennesima prodezza firmata Jasmine Paolini, anche lei entrata tra le magnifiche otto, eccezionale nel viaggio strabiliante sull’onda della finalissima disputata a Parigi. A questo punto diventano lecite un paio di domande. La prima: com’è successo? La seconda: ci meritiamo questi ragazzi?
Le risposte partono da lontano. Va detto innanzitutto che la programmazione ha pagato. Il fuoriclasse te lo regala il destino, i buoni giocatori escono dalle scuole: ne abbiamo sfornati tanti, mettendo in connessione i tecnici del centro federale di Tirrenia (creato mezzo secolo fa) con i maestri dei circoli sparsi ovunque sul territorio. Insegnando ai talenti e accompagnandoli nel percorso di crescita, instaurando una collaborazione costante e partecipata. Per una volta nessun egoismo e niente ansia di primeggiare: si vince insieme, insieme si riflette sulle sconfitte per migliorare. Non era mai accaduto che il numero uno del mondo fosse italiano, ma dietro il fenomeno dai capelli rossi sono spuntati Arnaldi, Cobolli, Darderi, Nardi. Che si sono aggiunti al campione ritrovato Berrettini, al lottatore Sonego, al veterano dal braccio d’oro Fognini. E poi naturalmente c’è Musetti, che è davvero un mondo a parte.
Il carrarino ha da poco compiuto 22 anni ed è foderato di classe purissima. Accelerazioni, gioco di volo, smorzata, tocco, fantasia, colpi in slice e top spin, servizio e dritto di buona efficacia: ha tutto. In più possiede un’arma di folgorante bellezza, ovvero il rovescio a una mano, patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco. Sono in pochissimi a giocarlo oggi: Musetti aveva in camera il poster di Federer, e ha provato a essere all’altezza della sua magia. Il sogno e l’incubo. Figlio di un’impiegata e di un cavatore di marmo, ha iniziato a far qualcosa con la racchetta a cinque anni. Mica male quel bambino: i genitori l’hanno portato alla Spezia, affidandolo alle cure del maestro Simone Tartarini che è tuttora il suo coach. L’uomo che deve affrontare l’impresa più ardua: far uscire l’allievo prediletto dai labirinti mentali nei quali si caccia durante i match. Musetti indulge nell’autocommiserazione, si flagella davanti agli errori perché vorrebbe essere perfetto, sacramenta quando l’avversario prende il nastro o una riga. “Se nascevo Sinner ero quadrato”, è la battuta più azzeccata di Fognini. Avrebbe potuta farla anche Lorenzo, visto che Jannik dice di lui: “Gioca a tennis meglio di me”. La differenza sta nella testa in campo, che spesso diventa il vero avversario.
Malgrado quel punto debole, il Muso ha fatto grandi cose. È stato numero uno fra gli juniores, trionfando a neppure 17 anni negli Australian Open. Ha vinto due titoli ATP, battendo in finale ad Amburgo nel 2022 il coetaneo Alcaraz. Il suo best ranking è 15, attualmente è al 25° posto in classifica. Ma crescerà alla svelta perché in questa stagione ha scoperto di essere un erbivoro senza saperlo: semifinale a Stoccarda, finale al Queens e ora i quarti a Wimbledon dove troverà l’americano Fritz. È la svolta che tutti pronosticavano, fra cadute e risalite? Lorenzo è andato a vivere pochi mesi fa con la compagna Veronica, a marzo è diventato padre di Ludovico. Era obbligatorio maturare senza più tentennamenti. “Ho affrontato i grandi cambiamenti della mia vita cercando un bilanciamento tra la famiglia e il lavoro”, ha spiegato emozionatissimo al microfono dopo la partita. E ha aggiunto: “Sono contento e orgoglioso, questa è una giornata fenomenale che sognavo da quando ero piccolo”. Il nuovo inizio non poteva essere più luminoso.
Aspettando le prossime puntate, resta una risposta da dare: ci meritiamo questa ricchezza? Forse no. Come non ci meritiamo l’atletica multirazziale dei nuovi azzurri, la meglio gioventù del nuoto e della pallanuoto, della scherma, della pallavolo e di tutti gli sport che seguiamo unicamente alle Olimpiadi. Potremo meritarceli mettendo parte il tifo becero delle curve del calcio e le cattiverie di quelli che sentenziano da casa, campioni nel Torneo Poltrone e Sofà. Proviamo a essere all’altezza di chi insegue il sogno di diventare un campione vero.