Chiamarlo fulmine a ciel sereno è eccessivo, per quello che si è venuto a sapere poi, ma l’Italia ha un nuovo ct. A cavallo di Ferragosto, Roberto Mancini ha consegnato le sue dimissioni dal ruolo di commissario tecnico della nazionale italiana, proprio pochi giorni dopo la scelta della Figc di assegnargli un ruolo da coordinatore delle varie rappresentative, giovanili comprese. E il suo posto, pur con la concreta possibilità di discuterne con il Napoli nei tribunali, lo prenderà Luciano Spalletti: l’allenatore campione d’Italia in carica e la scelta migliore possibile.
Partiamo da chi saluta: la decisione di Roberto Mancini arriva probabilmente con un annetto buono di ritardo. Qualsiasi cosa si possa pensare e qualunque sia il debito di riconoscenza per un europeo vinto in modo meraviglioso – ci arriveremo – una mancata qualificazione a un Mondiale deve portare a dimissioni. Del ct e del presidente federale. Valse, ai tempi, per Ventura e Tavecchio. Doveva valere anche per Mancini e Gravina, incapaci di arrivare al Mondiale per mano della Svizzera e della Macedonia del Nord, non esattamente corazzate del calcio continentale. Detto ciò, da quel giorno in avanti evidentemente qualcosa si era rotto a Coverciano e dintorni: la fiducia tra federazione e ct, probabilmente. E a quel punto sarebbe stato meglio salutarsi, preso atto della situazione. Invece ci si è trascinati per un anno tra mezzi tentativi di svecchiamento della rosa, convinzione minima, casting di Mancini su qualsiasi giocatore appetibile con un bisnonno italiano.
E, da quello che si è saputo negli ultimi giorni con le parole di Mancini ai giornali italiani (e pure con il caso-Evani, emerso poco prima), con un goffo tentativo di restyling dello staff da parte della Figc: il senso di tenere un ct per cambiargli lo staff, magari inserendo figure di cui il Mancio si fidava il giusto, qualcuno un giorno forse lo spiegherà. Un compito che spetta a Gabriele Gravina, che dall’Europeo in avanti non ne ha più azzeccata una: come spesso accade, in Italia il successo è qualcosa su cui si pensa di vivere di rendita per anni, invece di prenderlo come una base per continuare a lavorare e, magari, colmare il gap esistente col calcio di altri Paesi. A livello di strutture (stadi), settori giovanili e risultati, fatto salvo per il buon percorso nelle coppe dell’ultima stagione favorito anche da qualche sorteggione benevolo.
Detto dei problemi atavici della Figc, veniamo al nuovo ct: Luciano Spalletti. Come detto, difficile pensare a un profilo migliore. Il tecnico toscano arriva da una stagione meravigliosa culminata con l’impresa di aver vinto il terzo scudetto della storia del Napoli – il primo senza Maradona – e con tanti dubbi sull’andamento di quel quarto di finale di Champions contro il Milan e di una fischiata (il mancato rigore Leao-Lozano) che avrebbe potuto cambiare tutto il corso del doppio confronto. A fine anno, dopo i dovuti festeggiamenti, si è detto (anno sabbatico) e scritto tanto, fino alla separazione e alla firma di Rudi Garcia con il Napoli. E con quella clausola di non concorrenza firmata quando Spalletti chiese di essere lasciato libero di cui ora si discuterà in tribunale. Sembra che dagli avvocati del tecnico e della Figc emerga fiducia su una “vittoria” in giudizio e se il senso era quello della non concorrenza, evidentemente allenare una nazionale non si vede come possa interferire con un club, anzi. Le questioni legali se le vedranno De Laurentiis e Spalletti, nel caso, ma intanto l’Italia ha un allenatore importante, un ct che meritava senza alcun dubbio quest’occasione e che può lavorare nel solco tecnico precedente sull’onda del 4-3-3.
I problemi rimangono (poco talento, carenza di centravanti, squadre anche in A ormai quasi totalmente straniere) ma sarà interessante vedere il lavoro in azzurro di Luciano Spalletti: da Certaldo a Coverciano, poco meno di 50 chilometri di distanza per indossare una giacca azzurra che vale come un premio alla carriera. Di fronte Spalletti avrà traguardi importanti: l’Europeo e la qualificazione al Mondiale nordamericano del 2026, da non fallire dopo due dolorose assenze, magari con convocazioni molto più centrate di quelle del recente passato di Mancini. A Spalletti il compito di provare a risollevare il calcio italiano, quasi illuso da quel trionfo europeo che consegnerà per sempre agli annali l’abbraccio degli amici Mancini e Vialli, gonfio di gioia per l’ultima avventura vissuta insieme dopo le tante affrontare sul campo. Una diapositiva di sport, di vita, di successo che resterà indelebile. Ora si apre il capitolo di Luciano da Certaldo a cui l’Italia chiede solo una cosa: tornare a divertirsi e, soprattutto, non vedere un altro mondiale solamente dalla tv.