“Premetto che non sono un farmacologo. Quindi non so dire nulla della nocività di certe pillole. Il punto però a me sembra un altro. I medicinali servono a guarire gli ammalati. Mentre chi fa sport dovrebbe essere sano….E chissà, quei farmaci magari non provocano alcun guasto. Ma chi può escludere che i danni si manifestino a distanza di anni?”.
Agosto 1998. L’allenatore boemo Zdenek Zeman pronunciava queste parole nel ritiro della Roma a Predazzo. Fu un’intervista rilasciata a chi scrive a far scoppiare il caso del calcio potenzialmente condizionato dalle farmacie. Un colloquio che era stato richiesto allo scopo di commentare il travolgente trionfo della Francia multietnica nei mondiali del ’98. E che, per alcune anticipazioni di Zeman sull’eccesso di farmaci – non ancora proibiti ma ai margini del lecito – che circolavano fra i professionisti del pallone, virò subito sulle insidie di un doping mascherato. Il tecnico rivelava di aver ricevuto lui stesso molti depliant illustrativi di medicinali in grado di garantire agli atleti miglioramenti di condizione del 50 per cento.
Zeman prendeva di mira soprattutto la Juventus, senza peraltro escludere responsabilità di altri club. Dichiarandosi in particolare sbalordito, a titolo esemplificativo, dalle esplosioni muscolari di Vialli e Del Piero. “Io che ho praticato diversi sport”, specificava, “pensavo che certi risultati si potessero ottenere solo con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico. Sono convinto che il calcio sia tutto un altro tipo di attività”.
Ne scaturì un polverone di querele e di polemiche. Che sfociò in un’inchiesta giudiziaria e in un processo in cui i dirigenti imputati della Juventus furono condannati in primo grado e assolti in appello. Nel 2007 la Cassazione, infine, decretò la prescrizione che mise la parola fine al lunghissimo processo.

A distanza di 25 anni i decessi quasi contemporanei di Mihajlovic e Vialli hanno riportato di attualità e reso quasi profetici i sospetti di Zeman. Scatenando una sorta di psicosi fra i calciatori degli anni Novanta per i timori sulla nocività a scoppio ritardato di alcuni integratori. Hanno esplicitamente dichiarato la loro perplessità l’ex centrocampista Dino Baggio, l’ex attaccante Raduciou e l’ex difensore Brambati. Un minimo di apprensione ha confessato anche un totem come Tardelli, campione del mondo in Spagna nell’82. E dopo la morte di Vialli il presidente della Lazio Claudio Lotito ha invocato approfondimenti per le troppe malattie fra i giocatori. Un’indagine promossa dal giudice Guariniello presso l’Istituto Superiore di Sanità su un campione di 24 mila calciatori in attività fra il 1960 e il 1996 rivelò nel 2005 che fra i 350 atleti deceduti i casi di tumori al pancreas (la malattia per cui è morto Vialli), di carcinomi al fegato e di leucemia (causa del decesso di Mihajlovic) erano il doppio di quelli preventivati. Senza contare le sindromi di Sla che falcidiarono molti ex giocatori della Fiorentina.
Interpellato su un possibile legame fra le recenti morti e i farmaci che all’epoca venivano distribuiti come caramelle Alfonso De Nicola, medico storico del Napoli e del Bari, ha chiarito in un’intervista, “che allora, per lavorare bene, si dovevano prendere certe sostanze che all’epoca non erano dopanti”. E che in ogni caso il medico “proprio perché è il suo mestiere, tutela la salute dei giocatori senza badare al rendimento”. Quelle sostanze solo in seguito sono state proibite. Un ritardo che in qualche modo tiene in piedi le ipotesi di Zeman? “Dico che Zeman”, ha specificato De Nicola, “non ha mai parlato tanto per dare aria alla bocca. Se ha detto qualcosa dovete chiederlo a lui”.
Ma Zeman, che per quella coraggiosa intervista ha pagato duri prezzi nella sua carriera, sulle recenti circostanze non si pronuncia. Si trincera dietro quella filosofia del distacco che per amor di battuta potrebbe essere definita buddismo Zeman.