Il Napoli è sempre lassù, la Juve è sempre laggiù, mentre Milano aspetta di capire chi, tra Milan e Inter, sia in grado di lottare per lo scudetto. Il tema della stagione è questo da quindici giornate e difficilmente cambierà.
Le romane non tengono il passo delle più forti e l’Atalanta, per il terzo campionato di fila, si conferma pronta a prendersi un posto in Champions, alla faccia di chi spende centinaia di milioni.
Tutto ciò che fa da contorno al campionato, come spesso capita in Italia, fa discutere più delle partite.
Da giorni tengono banco le plusvalenze fasulle, ovvero quegli scambi tra giocatori poco più che anonimi valutati come campioni, in modo che il trasferimento contribuisca a rendere decenti i bilanci. Perché gli aumenti di capitale non bastano ad arginare la valanga dei debiti (due miliardi complessivi) che tiene a debita distanza dalla serie A i grandi investitori.
E’ un caso, questo, che fa sorridere chi abbia un minimo di memoria. Nel 2000 fu Giuseppe Gazzoni, allora presidente del Bologna, il primo a denunciare il malcostume. Diceva l’uomo delle ‘Dietorelle’ (scomparso nell’aprile del 2020) che non è giusto né facile competere con chi bara. Gliela fecero pagare nel 2005 con una scandalosa retrocessione.
Molti aspetti di quelle nefandezze chiamate ‘Calciopoli’ sono stati risolti, quello delle plusvalenze fasulle ovviamente no. Ora che l’inchiesta della giustizia ordinaria si è conclusa con l’accertamento di 42 operazioni sospette, la maggior parte delle quali effettuate dalla Juventus, la palla è di nuovo nelle mani della giustizia sportiva. Che, al solito, tende a minimizzare. Altrimenti non sarebbe semplice spiegare come mai la Covisoc, che nel calcio è l’equivalente della Consob per le società quotate in Borsa, di queste plusvalenze fasulle non ne ‘becca’ mai una.
Dice Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio: “A questo aspetto stiamo lavorando da due o tre anni, quindi evitiamo processi sommari”. Hanno lavorato con tanta discrezione, che la magistratura è dovuta intervenire a gamba tesa, altrimenti chissà per quanto tempo sarebbero rimasti nel pensatoio a decidere di non decidere.
Non solo la Juve: sono coinvolte anche Napoli, Genoa, Samp ed Empoli. La pena prevista per i colpevoli varia dall’ammenda fino alla retrocessione, passando per la penalizzazione. Va detto che se la pentola doveva essere scoperchiata, per la Juve che a detta del suo allenatore ‘vale il centro classifica che occupa’, questo è il momento migliore. Male che le vada, la sua brutta stagione diventerà bruttissima.

Ma spesso, quasi sempre, i problemi della Juve o quelli che la Juve crea, sono lo specchio della salute in cui versa il nostro sport nazionale. Pessimo. Rocco Commisso, il presidente italo americano della Fiorentina, dopo due anni di vita a stretto contatto con questo folle mondo, ha sbottato: “Pare di essere nel Far West”, ha detto a proposito del calciomercato che lo vede protagonista per via di quel Dusan Vlahovic, attaccante serbo che sta guidando la nuova ascesa dei viola verso l’alta classifica. Che l’attaccante sia destinato ad una grande, non c’è dubbio. Ma Commisso non ne può più degli agenti che ronzano intorno a lui e al giocatore perché l’affare (probabilmente con Manchester City) si faccia già a gennaio, togliendo così ai fiorentini ogni speranza di riscatto. “Sono come gli avvoltoi”, ha aggiunto il presidente “e non ti lasciano un attimo di tregua”.
Nulla di nuovo da queste parti. Non fu per caso che in un film del 1962 Totò ‘vendeva’ la Fontana di Trevi ad uno sprovveduto turista. Poteva succedere perché in Italia tutto è vendita. La compagnia telefonica, le industrie e i marchi più famosi, la compagnia aerea di bandiera, i palazzi dello Stato: l’importante è che il prezzo sia giusto e tutto il resto (orgoglio, ambizioni, progetti) passa in secondo piano.
Con il Covid sotto controllo, tutti i settori hanno ricominciato a correre, compreso il nostro calcio che però lo fa puntando il baratro. Il dubbio che sotto la cenere della serie A covasse ancora il progetto della Superlega, ha indotto la Uefa a chiudere definitivamente il capitolo, chiedendo e ottenendo dal parlamento europeo che si pronunciasse in materia, cosa che è avvenuta nelle ore appena trascorse: nessuno può ‘blindare’ un campionato ad inviti, perché lo sport non può che fondarsi sul principio che a chiunque sia consentito di vincere.
Adesso anche le big sono definitivamente prigioniere di un campionato sempre più ammalato. E le big dovrebbero avere il doppio ruolo di ammalato e di medico. Che ne esca in fretta qualcosa di buono è assai improbabile.