Che Shuai Peng sia scomparsa a lungo è ormai cosa nota. La notizia è stata ripresa da ogni media internazionale e la WTA, associazione che raggruppa tutte le tenniste presenti nel circuito mondiale, si è mobilitata per avere sue notizie. Serena Williams e Naomi Osaka, stelle luminose del tennis in gonnella, si sono spese in prima persona per cercare di fare luce sulla misteriosa sparizione, durata alcune settimane, dell’atleta colpevole di aver denunciato molestie sessuale presumibilmente subite da Zhang Gaoli, ex vicepremier cinese considerato uno degli uomini più potenti del Paese.
Da quando i riflettori si sono puntati su quel cono d’ombra che spesso risulta essere la Cina, Shuai Peng è riapparsa. Prima una lettera in cui dichiarava di essere libera e in buona salute, poi una serie di video che la ritraevano in pubblico. Infine, una videochiamata con il presidente del Comitato Olimpico Internazionale.

Nulla di tutto questo, però, è bastato per rassicurare il mondo sulle condizioni di salute della doppista, ex numero uno del mondo.
Il Ministero degli Esteri Cinese, dopo essere rimasto a lungo in silenzio, si è spazientito. Ha definito l’attenzione degli occidentali al caso come una “maliziosa pubblicità”, costruita con l’obiettivo di screditare il governo comunista. “L’avete vista, sta bene, non mettetevi in mezzo”, sembra essere il sottotesto di quell’intervento stranamente fuori dalle righe.
Eppure in Peng, 35 anni compiuti l’8 gennaio, dopo quel post pubblicato il 2 novembre qualcosa è cambiato.
La Women’s Tennis Association ha dichiarato pubblicamente che i recenti video “non alleviano la preoccupazione per il suo benessere”, né tantomeno certificano che la donna abbia la possibilità di comunicare senza censura o coercizione. Vederla in un filmato può confermare il fatto che sia ancora viva, ma come ci si accerta che non sia costretta a recitare?
La Human Rights Watch ha criticato il CIO durante la videochiamata, sostenendo che “la sua collaborazione con le autorità cinesi mina l’impegno messo per assicurare i diritti umani, compresi i diritti e la sicurezza degli atleti”.
Anche gli Stati Uniti non sono rimasti indifferenti. Il senatore repubblicano Ted Cruz è apparso su “Face the Nation” della CBS, dove ha chiesto un boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali di Pechino, in programma dal 4 al 20 febbraio 2022. Atleti in gara, ma funzionari lontani dalla capitale cinese. “Spero davvero che i nostri giovani vadano laggiù e prendano a calci i loro culi comunisti – ha detto Cruz senza mezze parole – dobbiamo vincere le Olimpiadi”.

Per Biden questa non è un’ipotesi da scartare. Secondo diverse fonti molto vicine alla Casa Bianca, il presidente è pronto ad annunciare che né lui, né tantomeno altri funzionari del governo, prenderanno parte ai Giochi Olimpici. Anche il senatore Tom Cotton è particolarmente deciso a boicottare i Giochi. “Se il Partito Comunista Cinese prende i propri atleti e li fa sparire così, cosa potrebbe fare ai nostri?”.
Gli Stati Uniti non sono nuovi al boicottaggio olimpico. Famoso è quello di Mosca nel 1980, in piena guerra fredda, quando decisero di non mettere piede nella capitale dei loro rivali per poi subire lo stesso trattamento ai giochi di Los Angeles quattro anni dopo.
Se la situazione di Shuai Peng dovesse rimanere così ambigua, gli Usa potrebbero replicare.
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