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Arbitri pivelli e gelosi sventolatori di rosso contro allenatori superstar della Serie A

Mourinho, Spalletti, Gasperini, Inzaghi sono le ultime vittime di arbitri ragazzini che peccano più che di poca e sperienza di troppo protagonismo

Stefano BiondibyStefano Biondi
Arbitri pivelli e gelosi sventolatori di rosso contro allenatori superstar della Serie A

L'espulsione di Luciano Spalletti (Foto Ansa)

Time: 4 mins read

Sei espulsioni nell’ultimo turno della serie A. La novità è che quattro riguardano gli allenatori e soltanto due i giocatori. Come se nel calcio di casa nostra i calciatori fossero diventati tutti angioletti e a menarsi, adesso, fossero gli allenatori.

Chi vive le partite confinato dentro l’area tecnica, è sempre stato su di giri, ha sempre sbraitato e sempre ha accentuato il proprio disappunto con una gestualità plateale. L’allenatore, per definizione, è abituato a urlare, altrimenti nessuno dei suoi, a cinquanta o cento metri di distanza, lo potrebbe sentire. Tenere i toni alti e ed essere perennemente su di giri: sono caratteristiche tipiche o, se preferite, difetti inevitabili dell’allenatore.

Fino a ieri la classe arbitrale ha quasi sempre sorvolato sulle ‘sclerate’ di chi, per un’ora e mezzo, vive come un leone in gabbia e spesso mette su la faccia di chi vorrebbe sbranare chi, come l’arbitro o l’avversario sta dall’altra parte delle sbarre.

Tutte le loro sceneggiate, fino all’inizio di questa stagione, sono state tollerate, a meno che non varcassero la soglia del buonsenso o scaldassero troppo gli animi degli spettatori.

Poi la musica è cambiata. E da domenica scorsa si è fatta assordante. In Roma-Napoli, prima è stato espulso Mourinho colpevole di aver preso a calci una bottiglietta d’acqua poi Spalletti che a fine partita ha applaudito l’arbitro. Un gesto talmente raro che al direttore di gara è ovviamente parso una presa in giro. Invece è un gesto, quello di battere le mani anche quando le cose non sono andate benissimo (la partita è finita in parità), tipico dell’allenatore toscano. E’ un modo per dire ‘va bene lo stesso’, ‘accontentiamoci’ e, rivolto all’arbitro, sembrava un’assoluzione a eventuali errori e omissioni. Era, per dirla in romanesco, un ‘volemose bene’.

Mourinho e Spalletti (Foto ANSA)

Neanche un po’. Gli arbitri hanno stabilito che il nemico numero uno della loro serenità è l’allenatore. Gasperini dell’Atalanta urlava qualcosa, chissà che cosa, e l’arbitro, durante la partita con l’Udinese, gli ha sventolato il rosso da cinquanta metri di distanza, senza neppure fare la fatica di andare di persona a spiegargli il perché del provvedimento.

Il quarto tecnico cacciato dal campo è stato Simone Inzaghi, anche lui, come i suoi colleghi allenatore di una grande squadra. La più grande quest’anno, ovvero l’Inter campione d’Italia. Inzaghi, quando l’arbitro sul finire della partita ha fischiato il rigore che ha permesso alla Juve di pareggiare, si è infuriato, scaraventando a terra una pettorina che aveva in pugno. E’ parso ai più un gesto dettato dalla rabbia per non aver vinto una partita comandata in lungo e in largo, più che una critica all’arbitro. Mariani, invece, l’ha messa sul personale e ha espulso Inzaghi. Si fa prima a dire che tra gli allenatori che lottano per lo scudetto si sia salvato il solo Pioli. Ma è abbastanza ovvio: giocava contro il Bologna che di giocatori espulsi (gli unici della giornata riservata ai tecnici) ne ha avuti due. E va da sé che nessun allenatore che gioca il primo tempo con un uomo in più e il secondo addirittura con due, se la prenda con l’arbitro.

Ora, si tratta di capire perché gli allenatori siano finiti nel mirino degli arbitri. Prima plausibile spiegazione: molti arbitri esperti, abituati al clima rovente che si crea negli stadi, sono andati in pensione e le nuove leve non hanno ancora il distacco o la saggezza che induce a voltarsi dall’altra parte e far finta di non aver sentito. Un arbitro esperto conosce anche il carattere degli allenatori e ne trae le conseguenze del caso. Il pivellino zelante è più permaloso e pensa ‘adesso ti faccio capire che non mi puoi trattare così male davanti a trentamila persone’.

Seconda spiegazione, più inquietante della prima. Protagonisti della serie A quest’anno sono gli allenatori, forse anche più dei giocatori. Molti club, a corto di denaro, hanno investito sul carisma e, perché no, sulla ‘spettacolarità’ degli allenatori, prim’attori in campo e spesso nelle sala stampa. E se i Ronaldo o i Lukaku ‘perduti’ sono diventati i tecnici, gli arbitri li seguono con la stessa attenzione che riservano ai campioni. Il dubbio, però, è che lo facciano per essere a loro volta protagonisti della partita.

Poi c’è il problema del Var, l’occhio elettronico che viviseziona l’operato dell’arbitro e che spesso ne deve correggere o ribaltare le decisioni. Per chi lo subisce è frustrante ed è abbastanza umano che, se perde credibilità su un fronte, l’arbitro trovi un modo per recuperarla su un altro. Quel modo è prendersi eccessivamente ‘cura’ degli allenatori. Il Var, in questo caso, non ha il potere di ribaltare la decisione dell’arbitro.

E così, mentre si sta giocando un turno infrasettimanale che dura per tre giorni, va in onda il film ‘allenatori alla riscossa’, protagonista Gian Piero Gasperini, il tecnico dell’Atalanta che si è ribellato al nuovo corso arbitrale: “Non sopporto – ha detto – che un ragazzino con la metà dei miei anni, assolutamente non in grado di recepire correttamente stati d’animo e di cogliere gli attimi, si permetta di censurare chi, come me, va in campo da trent’anni. Se sono così grandi ed esperti, che inizino a metterci la faccia e spieghino a noi e al pubblico il perché delle loro decisioni”.

Chiaro: gli allenatori vogliono interloquire con arbitri preparati e smaliziati e non con ragazzi alle prime armi e non ancora consapevoli del fatto che, a volte, lasciar correre significhi essere saggi, non arrendevoli e impauriti.

A monte di questo nuovo problema che sta causando una forte spaccatura nel mondo del pallone, c’è un serbatoio mezzo vuoto: a iscriversi alle scuole che formano gli arbitri sono sempre meno ragazzi e ragazze. Troppe aggressioni, minacce e insulti durante la gavetta sui campi di periferia. I giovani pensano: ma chi me lo fa fare? E in serie A si devono arrangiare con questi pochi coraggiosi che decidono di sfidare la sorte fin da ragazzi per godersi una serata a San Siro. E quella sera vogliono essere protagonisti assoluti. Probabilmente un giorno lo racconteranno ai nipotini: “Sai che una volta ho espulso Mourinho?”. Il rischio è che il bambino vada su YouTube, riguardi la scena e risponda: “Nonno, te lo potevi risparmiare”.

      

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Stefano Biondi

Stefano Biondi

Stefano Biondi è nato a Bologna nel 1958, ha lavorato dal 1979 fino al 1990 al “Corriere dello Sport-Stadio” prima di passare a Qn (Resto del Carlino) e lì rimanere fino al 2018, occupandosi di sport. Ha seguito soprattutto il calcio e il basket a grandi (ma anche piccoli) livelli. Collabora con emittenti tv e radio dell’Emilia Romagna.

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