Nono scudetto consecutivo per la Juventus, oggi guidata da Sarri, prima da Conte e Allegri. È un’egemonia che non vede la sua fine, nonostante, in quasi dieci anni, molte cose siano cambiate. Dai gol del capitano Del Piero a quelli del trascinatore Ronaldo. Tante metamorfosi in rosa, il trasferimento allo Juventus Stadium. Solo due sono state le costanti costanti: le vittorie all’interno del confine e una tifoseria sempre più isolata dalle altre.
In Italia, infatti, nulla è più agguerrito della faida interminabile tra juventini e anti-juventini. Non c’è lotta partitica che tenga, né rivalità tra città vicine. Da nord a sud, due fazioni contrapposte e acerrime nemiche si dividono lo stivale sfidandosi a colpi di provocazioni e sfottò. Da un lato i sostenitori della Vecchia Signora, dall’altro chi verso la società bianconera nutre un innato sentimento di repulsione. Nessuna via di mezzo. Tutti racchiusi in un metaforico grande stadio, gli juventini si distinguono dai secondi per un giustificato sentimento di superiorità. Si riconoscono tra loro in un attimo, bastano qualche parola e un rapido cenno di intesa. Ridono parlando delle ultime stagioni ricche di successi, elencano i trofei e fingono di non ricordare il numero esatto di scudetti conquistati. Sanno però di essere un facile bersaglio per le altre tifoserie ed è per questo che, se incontrati singolarmente, tentennano nel momento di rivelare le proprie preferenze calcistiche.
Si guardano intorno spaesati e poi, all’ennesimo “ma quindi di che squadra sei?”, accennano un timido “Juve”. Al pronunciarsi di quelle due sillabe, solitamente, segue un attonito e indignato silenzio. Lo schieramento degli “anti”, infatti, guarda con sospetto il tifoso bianconero, non riuscendo a concepire come possa parteggiare per l’incarnazione sportiva di tutto ciò che lui disprezza. Le due formazioni sono ferme sulle loro posizioni e non hanno alcun punto di contatto.

Benedict Anderson, un sociologo irlandese che per tutta la vita si è occupato della formazione delle ideologie, per descrivere questo marcato astio tra tifoserie ha coniato il termine “comunità immaginata”. I tifosi hanno infatti la percezione di essere parte di un gruppo nel quale gli individui presentano tanti punti in comune. Si sentono membri di una grande “famiglia”, pur senza conoscersi e così come viene enfatizzato il sentimento di appartenenza, si accentua in loro anche il senso di opposizione ai nemici. Ed è proprio qui che il calcio trova una delle sue fondamenta. Il sistema di alleanze e rivalità che ogni club ha con i diretti concorrenti.
A Torino, tutto è nato con il contrasto tra il Toro, i cui colori dipingevano il cuore dei cittadini nati nella grande città industriale del nord, e la Juventus, squadra degli immigrati arrivati dal meridione per motivi di lavoro. Partendo da lì, dal più classico dei campanilismi, negli anni il quadro si è allargato. Ora, la Juve e i suoi sostenitori, sono soli contro tutti. Quelli a favore e quelli contro: con due termini si catalogano tutti gli italiani che nel calcio ripongono il minimo interesse. Può apparire inspiegabile, questo tifo che a tratti sfocia nel fanatismo. D’altronde, lo dicono in tanti, è soltanto calcio. Per i tifosi, però, non esiste nulla di più sbagliato. In quel gioco non c’è soltanto tecnica, formazioni o risultati. C’è, piuttosto, una passione che non muore al triplice fischio, ma che pervade ogni istante della vita.

Lo diceva anche Paul, nel monologo contenuto in quel frammento di storia cinematografica che è “Febbre a 90°”:
“Non lo so forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro. Come fai a capire quando mancano tre minuti alla fine e stai 2-1 in una semifinale e ti guardi intorno e vedi tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient’altro nella testa. E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori”.
Ecco, è sulla sensazione di essere parte di qualcosa di speciale che si fonda tutto questo. Fate dieci domande agli juventini e agli anti-juventini. Otterrete dieci risposte diverse. Chiedetegli invece cosa li spinga a vivere ogni giorno investendo tempo ed energie per supportare una squadra di uomini con i quali non hanno alcun legame.
Lì sì che replicheranno in coro. E lo faranno proprio come ha fatto Paul.