Aveva un sogno. Di quelli che cambiano il mondo. Quasi blasfemo affiancarlo ad un evento sportivo, ma la risonanza è da sfruttare. Doveroso omaggiarlo. Martin Luther King è morto per quel sogno. E ad Atlanta, sua città natale, gli hanno reso onore prima del Super Bowl numero 53. Partita bruttina. Super balls (devo tradurre?).
Giocato in uno stadio che in Italia ci sogniamo, a proposito di onirico. Il Mercedes Benz Stadium è incredibile e pieno: 75mila persone, briciole dei 100 e passa milioni di telespettatori a Stelle e Strisce. Hanno vinto ancora i New England Patriots del 41enne Tom Brady. I Los Angeles Rams, nonostante l’augurio dei colleghi del soccer, hanno perso. Punteggio scarno: 13-3, il più basso della storia. Squadre bloccate, quarterback annebbiati, difese aggressive. In Italia abbiamo dovuto aspettare le 4 per vedere un touch down ma va bene così.
Quello che non va bene è il contorno al Superbowl tricolore. La Gazzetta dedica un numero di Sport Week all’evento. Ma il solito gruppetto di espertoni del 32 pollici rovina tutto. “Io ho vissuto anni negli Usa, voi non capite niente”. E la presentazione da “tutto il calcio minuto per minuto”, con voci impostate, studi spenti e collegamenti banali. Frasi fatte. Luoghi comuni. Il match era trasmesso su Dazn per chi si abbonava e in chiaro su Rai 2. Qui conduce Andrea Fusco, non proprio uno da ritmi notturni. Ospiti: un imbarazzato Mike Gentili (QB della Lazio), a cui chiedono la differenza tra il football americano e quello che si gioca in Italia (…). Come chiedere la differenza tra il traffico di New York e la viabilità di Soave. L’allenatrice della Nazionale italiana femminile e Guido Bagatta che a metà serata perde la voce. Telecronaca di Vezio Orazi. In collegamento dallo stadio Oiviero Bergamini, erre moscia ed esse strascicata.
Del Super Bowl ci capisce poco chiunque. In campo ci sono 11 bestioni che corrono, si tamponano e si fermano ogni 20 secondi. Poi ne entrano altri 11. E altri 11 ancora. Nessuno, nemmeno il telecronista e il commentatore che provi ad avvicinare il “curioso medio” a questo sport. Il glossario è puro e crudo e cavoli tuoi: yard, runningback, clipping, chip shot, encroachement, snap. E non è vero che se lo guardi è perché te ne intendi. Magari vuoi vederti i Maroon 5 nell’half time show (niente di che quest’anno, lo ha scritto anche il NYT). Oppure gli spot (tagliati tutti da noi, ma pare che non ci siamo persi granché: le donne, il futuro con l’intelligenza artificiale ma anche una certa nostalgia degli anni ’90 con i Backstreet Boys e Sarah Jessica Parker). O magari sentire tratti del commento originale con le voci degli speaker ufficiali (Let’s get ready to Rumble, per dire). Ti becchi solo le solite informazioni che tutti si giocano per fingersi esperti: “Gli spot costano 5 milioni di euro”. “Negli Usa sì che sanno fare business”. “Da noi il calcio è tutto una fregatura”. “Guadagnano tanto questi, però…”.
Collegamento da Roma. All’hard Rock Cafè si sono radunate 200 persone, portate lì dalla Legio 13esima, squadra della capitale. Il ds è gasato e tifa Patriots, il presidente no. Siparietto. Birra. Ahò, gli spot costano tantissimo.
Le percentuali parlano di un match povero di occasioni, tanto possesso palla “ma non si sbloccano i registi. Servirebbe il lancio giusto”, dice il presidente dell’American institute club of Rome, intervistato. La giornalista Rai Giovanna Botteri è invece a Times Square, in un pub irlandese dove le urlano oscenità alle spalle mentre sorride e annuncia che lì, sulla costa East tifano tutti per i Patriots.
Le finali Conference erano state entusiasmanti, con tanto di polemiche per errori arbitrali ed utilizzo errato del Var. Si scusò il Congressman ma i Rams sono lì e per questo un pochino odiati. Loro che adesso hanno ripreso casa a Los Angeles dopo qualche anno a Saint Louis. Già, le franchigie. Ma che glielo spiego a fare all’italiano medio. Meglio il classico paragone “come se il Milan giocasse a Roma”.
Gostkowski sbaglia un calcio e sfiora l’acca. “Big play, red zone, Hill è il migliore al mondo perché duttile come un coltellino svizzero”, sciolina Bagatta dalla cattedra. Travis Scott rappa con Adam Levin a torso nudo, mentre Big Boi ha devoluto il proprio ingaggio in beneficienza. All’Italia che filtra le emozioni d’oltreoceano piace raccontare un mondo secondo cliché, che non bisogna distruggere. Capire. Spiegare, soprattutto. “Nfl inarrivabile, perché in America sono tanti e comanda il denaro”, perché invece in Europa lo sport professionistico si regola sugli abbracci. A noi propinano studi Rai anni ’80, commentatori anni ’80, ospiti anni ’50 e quelli che potrebbero dire qualcosa relegati a telegrammi su domande banali. Di contro noi italiani vendiamo il prodotto “Il Volo” negli Usa perché a loro piace pensarci così, tutti cantanti d’opera. E pare funzioni.

Piccola nota d’orgoglio. L’architetto dell’avveniristico Mercedes stadium si è ispirato al Pantheon, in particolare all’apertura della cupola. Che ad Atlanta si muove come l’obiettivo della macchina fotografica. Passano le frecce bicolore Usa, applausi, urla, rombo e tetto che si richiude. Lo stadio precedente, troppo vecchio, aveva 25 anni. Venticinque. Fatevi un giro a San Siro, rinnovato per i Mondiali del ’90 e rattoppato mille mila volte.
Intanto lo show finisce. Il Football tornerà ad essere passione per pochi. Quelli che ci giocano, che si sudano uno scudetto tra tv private e pagine social aggiornate tardi. Fino al prossimo febbraio. Quando negli Usa sforneranno l’ennesimo esempio di business, di aziende sportive. E noi sgraneremo gli occhi per il costo degli spot. Ma i numeri iniziano a dire qualcos’altro: per la TV in chiaro RAI 2 registra quasi mezzo milione di telespettatori (472.000 per la precisione) con uno share del 7,5% per la fascia oraria di riferimento. L’anno scorso su Italia 1 il Super Bowl tra i Philadelphia Eagles ed i New England Patriots raggiunse il numero di 365.000 spettatori. L’incremento è significativo, quasi il 30% in più. I sogni a volte si avverano.