Caldo, umidità e afa opprimente: l’estate a New York si supera solo grazie a un buon frappuccino di Starbucks e a un piccolo ventilatore portatile. Nei giorni più caldi allenarsi all’aria aperta diventa impossibile e dunque, molto spesso, siamo costretti a chiuderci in una palestra.
Così mi sono chiesta quale potesse essere una valida alternativa alla corsa ad alto rischio svenimento lungo l’East River.
Ebbene, con non poca sorpresa ho scoperto l’esistenza di una prolifica ed entusiasta comunità di surf alla periferia di Manhattan. Certo, non stiamo parlando degli spot hawaiani con onde da qualche decina di metri o delle classiche “surf trip” lungo le dorate coste della California, ma la verità è che i newyorkesi possono scegliere di cavalcare qualche onda godendosi l’alba oppure allentare la pressione della giornata lavorativa sorseggiando una birra al tramonto.
Insomma, la versione “valigetta 24 ore e completo elegante” del sogno californiano.
La meta prescelta per testare le nostre abilità non può che essere Rockaway Beach, la spiaggia conosciuta anche dai Ramones, che nel 1977 cantavano “It’s not hard, not far to reach/ we can hitch a ride to Rockaway beach”.
Effettivamente, la località può essere raggiunta in circa un’oretta da Manhattan al costo di un sola corsa di metro.
Situata nel Queens, è diventata ultimamente una meta molto frequentata, soprattutto da chi cerca un po’ di evasione dai frenetici ritmi della vita cittadina. Negli ultimi due anni, giornali e riviste del settore si sono dedicate all’espansione della comunità del surf in questo sobborgo cittadino.
Certo, non immaginatevi i tramonti del Costa Rica o le albe scintillanti di Bali: siamo lontani dalle pacifiche oasi dell’America Centrale o dell’Indonesia. Ma la volontà dei surfisti newyorkesi riesce ad andare oltre lo scenario da periferia: d’altronde stiamo parlando dei cittadini di una delle metropoli più eclettiche e coriacee del mondo.
Per avere qualche informazione in più sulla storia di Rockaway, ci siamo affidati a Frank Cullen, uno dei primi ad aprire una scuola su questa spiaggia, la New York Surf School. Frank è l’emblema di quanto variegato possa essere il gruppo di amanti del surf: agente immobiliare della zona, i suoi ricordi di infanzia sono tutti legati alle scorribande lungo il litorale. Le sue parole ci trasportano indietro fino agli anni ’50, quando soltanto i locali conoscevano questa piccola oasi di pace. Per Frank, Rockway significa casa: “Finivamo scuola e ci dirigevamo immediatamente qua, per goderci qualche ora di libertà”
Ma è Danny, suo braccio destro, che ci racconta cosa significa surfare alle porte di una grande metropoli: “Sono nato in Colombia, ma sono cresciuto in Florida. Circa 13 anni fa mi sono trasferito a New York e quasi per caso ho iniziato a lavorare per Frank. Ogni stagione ha le sue caratteristiche: in estate le onde sono più facili, massimo un metro; in autunno ci si diverte di più: l’acqua è ancora tiepida, ma le onde sono un pelo più alte. Ma se siete veri amanti di questo sport, dovete venire in inverno: onde di diversi metri e una spiaggia ricoperta di neve. Un qualcosa di veramente incredibile”.
Secondo le leggende locali, il surf a Rockaway sarebbe nato quando Duke Kahanamoku, olimpico del nuoto hawaiano e padre del surf moderno, finì per caso sulla spiaggia newyorkese. Da quel momento, questo sport iniziò a guadagnare un largo seguito tra i giovanissimi residenti dell’aerea, e attorno al 1960 furono create le prime scuole di surf permanenti.
Purtroppo, il momento di gloria della spiaggia e di conseguenza del surf newyorchese inizia declinare intorno agli anni ’70 a causa di politiche sociali e urbanistiche scriteriate, che rendono l’area una sorta di quartiere ghetto, dove era facile procurarsi qualche grammo di eroina e trovare una compagnia per pochi dollari sui vagoni della metropolitana. E così dei surfisti un tempo di moda e della spensieratezza che li accompagnava rimaneva ben poco. Il lustro di Rockaway era dimenticato e così sarebbe rimasto per anni.
Ma se c’è qualcosa su cui possiamo solo imparare dagli americani, questa è la resilienza, ovvero la capacità di poter risollevarsi da qualsiasi situazione, indipendentemente da quanto disperata possa sembrare.
Come le onde invernali di cui vanno fieri lungo la costa, ecco che Rockaway torna a imporsi, dapprima in sordina, come i fievoli soffi di vento che lambiscono la sua costa di mattina, e poi sempre più prepotentemente, emblema della volontà di una città di riappropriarsi di un piccolo gioiello a lungo trascurato. Siamo lontani dal lusso degli Hamptons o dalla cura di alcune spiagge di Long Island, ma forse la bellezza di Rockaway si trova proprio nel suo essere un’estensione di Manhattan, una piccola acciaccata mecca per tutti coloro che voglio assaporare un po’ di libertà.
Il surf è proprio questo: è multiculturalità, è forza e delicatezza, è attesa e adrenalina; puoi essere banchiere o tassista, l’oceano non fa distinzioni. Il surf è spiritualità, sia che venga praticato in mezzo alla natura contaminata, sia che cavalcare un onda significa arrivare in metropolitana o lasciare le scarpe di vernice in macchina.
“Il surf significa entrare in contatto con sè stessi. Ti dimentichi di tutto. In qualsiasi momento puoi prender la tua tavola ed essere a tu per tu con la natura” ci racconta Danny.
Forse, per conoscere New York non basta semplicemente avventurarsi sui percorsi meno turistici. Forse, bisogna dedicare un po’ di tempo a conoscere la parte più autentica, non tanto vecchia da sembrare antica, ma non così giovane da essere solo di moda. D’altronde, quando i venti soffiano un po’ più forti, anche sulla 5th Avenue possiamo sentire il debole richiamo dell’oceano. E allora basta decidere di posare la macchina fotografica e partire per una piccola avventura.