Non era facile. Le due italiane impegnate in Champions erano attese da due confronti decisamente difficili da affrontare.Sia per i bianconeri, che in campionato hanno raccolto solo un punto in tre gare e non hanno ancora vinto, che per la AS Roma impegnata a scacciare i fantasmi dell’esordio dello scorso anno contro il Bayern, umiliata e seppellita con 7 reti. Quindi nonostante fosse appena il primo turno del girone, le italiane erano già attese alle forche caudine dei primi verdetti.
Lo stato d’animo di una squadra che affronta una partita di Champions dopo aver raccolto nelle prime tre gare di campionato un misero punticino, per qualsiasi squadra non fosse la Juventus, sarebbe stato a dir poco drammatico. Un esame impossibile da superare, considerando l’importanza dell’incontro; la forza dell’avversario e la delicatezza del momento. Un punto in tre gare in Serie A significa una falsa partenza che all’ombra della Mole non si vedeva da almeno cinquant’anni.
Allegri smentisce la sua indole da toscanaccio e durante la vigilia parla il meno possibile. La dirigenza fa ancora meglio e non trasmette nemmeno uno straccio di comunicato stampa. La partita assume un contorno dai risvolti segreti, una missione oltre le linee nemiche in cui tutto può succedere, soprattutto il contrario.
Qual è il rimedio, la ricetta perfetta per uscire fuori da questa difficile situazione? A volte durante un percorso arduo si formano i presupposti per forgiare degli eroi, dei veri eroi. Qualsiasi difficoltà genera una forza interiore che va oltre ogni previsione. Ancor prima di partire per la conquista in terra d’Albione qualcosa di magico è scattato tra i giocatori bianconeri. Hanno abbandonato l’atteggiamento mesto e negativo degli sconfitti ed hanno adottato la tattica del gruppo. La squadra si è compattata dietro il suo uomo più emblematico, il condottiero dalle 150 presenze in Nazionale, l’uomo che ha saputo attraversare lo Stige tumultuoso della Serie B, una discesa negli inferi per un eroe da psicanalisi. Un Campione del Mondo fresco di nomina che ha accettato di abbandonare la massima serie per seguire i compagni verso il tunnel oscuro delle serie minori. Un viaggio da campioni per un campione autentico che risponde al nome di Gianluigi Buffon.
Il fattore M
M come Manchester. Antico Castrum romano diventato successivamente una City importante nel cuore dell’Inghilterra, si presenta al cospetto della Premier League e della Champions con un Team quasi stellare costruito con i fior di milioni di Sterline degli sceicchi arabi, una formazione sana ed equilibrata pronta a fare la differenza in qualsiasi competizione. Kolarov, Fernandinho, Yaya Tourè, presente nella lista illustre dei 10 giocatori più pagati al mondo, la “starlette” Sterling, giovanissimo talento naturalizzato inglese e David Silva certo non producono sonni tranquilli, anzi, farebbero venire gli incubi anche a coloro che dormono senza sogni.
Ma la Juventus, al netto del cambio mette sull’altro piatto della bilancia la sua magnifica storia, la cultura calcistica di un Club che ha vinto tutto ciò che si poteva vincere in Europa e non ultima, la sua mentalità vincente. Armi necessarie per fare la differenza.
Allegri si presenta con il tradizionale 4-4-2. Linea difensiva rude con Evrà, Chiellini, Bonucci e Lichhtsteiner, centrocampo formato da Sturaro, il profeta Hernanes, Pogbà e Quadrado. In attacco la coppia Mandzukic e Morata.
La partita è apertissima, la Juve subisce inizialmente la pressione degli inglesi, dopo soli 2’ Buffon deve dimostrare di meritarsi l’appellativo di Santo compiendo due autentici prodigi, prima su David Silva e successivamente sulla ribattuta a botta sicura di Sterling, il Numero Uno bianconero supera se stesso ed intercetta la sfera che finisce in angolo tra l’incredulità che si manifesta tra il popolo dopo aver assistito ad un miracolo. Il City manovra sullo stretto ma la Juve pare reggere il confronto. La mediana è impegnata in un lavoro extra per contenere le giocate dei celesti del City, Cuadrado sembra avulso dal gioco, gli attaccanti poco riforniti attendono il loro momento di gloria. Gara accorta dei bianconeri che subisce la pressione ma non soffre più di tanto. Il City cresce verso la fine del primo tempo e mette alle corde la difesa ospite, che regge sino al fischio dell’arbitro sloveno che invita tutti ad un thè caldo ed una doccia corroborante.
La ripresa si apre sotto cattivi auspici. Corner dalla sinistra del City e palla che spiove in area. Saltano tutti, bianconeri e celesti. David Silva non può arrivarci e si inventa una furbata: si aggancia al collo del gigante buono Chiellini e lo costringe ad un colpo di fronte involontario e forzato che destina la sfera alle spalle di Buffon. Tutto regolare per i direttori di gara che non si consultano nemmeno tra di loro e fanno passare l’autogol come frutto di una dabbenaggine al posto di un fallo plateale. A questo punto il City dilaga, la Juventus passa dieci minuti d’inferno e solo l’onnipotenza di Buffon evita la capitolazione. Al 59’ Sterling da due passi colpisce a volo la sfera in piena area, dopo un azione veloce, San Gianluigi da Carrara si allunga e respinge la sfera che capita tra i piedi di Tourè, l’ivoriano calcia deciso e già si prepara ai flash dei fotografi ma Buffon gli rovina la festa e respinge con il corpo immolandosi evitando il gol e la sconfitta.
Il “Fattore M” a questo punto esce allo scoperto: Mandzukic fino a quel momento quasi estraneo dalle giocate bianconere assesta la zampata vincente, intercetta un cross dalla destra di Pogbà, spizza la sfera di piatto e pareggia il conto. Pellegrini, il Coach inglese decide alcuni cambi, sente la difficoltà dei suoi a far gioco, sostituisce Sterling con De Bruyne ed Otramendi al posto di Kompany. Ma non cambia nulla. La Juve sembra in crescita, gioca sicura ed attenta, entra Dybala per Mandzukic colpito duro dai difensori del City. A dieci dal termine la Juve passa: malinteso tra i due centrali inglesi, il pallone colpisce il braccio di uno dei due e finisce tra i piedi di Morata. Lo spagnolo carica il sinistro, la sfera compie un giro ad effetto sul palo opposto e si infila in rete con precisione chirurgica. Un regalo inaspettato del City, un esecuzione da campione per Morata, che viene letteralmente sepolto dai suoi compagni di squadra. Manca davvero poco alla fine, Massimiliano Allegri decide di non correre rischi, fa entrare in campo Barzagli al posto di Morata, pressa alto e tiene alla larga i giocatori del City dalla porta di Buffon. L’eroe della serata, il migliore in campo. “Un mattoncino tra i tanti che metteremo da qui alla finale” ha precisato l’estremo bianconero. E se continua così come possiamo non credergli?
Roma – Barcelona
Bisogna correre, soffrire ed avere coraggio. Le parole di Rudi Garcia risuonano come un anatema. A risentirle subito dopo il pareggio della Roma sugli alieni del Barcellona risultano anche più gradevoli. Una grande verità accomuna la volontà, la capacità di soffrire, il coraggio di mettere in campo una squadra con tre punte con l’abilità di fare gioco. Ovvio se non sai calciare un pallone poco importa se hai coraggio. Ma se la squadra che alleni gioca in Champions ed arriva seconda in Serie A, le qualità non possono mancare. E per affrontare il Barcellona di qualità devi averne da vendere. Nulla si improvvisa quando si arriva nella troposfera dell’Olimpo calcistico. La AS Roma a differenza della Juventus ha iniziato con il piede giusto il campionato in corso. Dopo un pareggio inaspettato alla prima contro il Verona ha sconfitto i bianconeri all’Olimpico ed ha liquidato la matricola Frosinone alla vigilia di questo scontro di Champions.
Il Barcellona non ha bisogno di presentazioni, solo a citare la formazione vengono i brividi. Ma Rudi Garcia è un professionista, lavora e mastica moduli traccia sul campo tattiche e strategie. Vive del suo lavoro. Ed ha una squadra che finalmente lo segue. Affronta questo girone di Champions come terza fascia, accetta il verdetto dell’urna che la mette di fronte al Barcellona come prima gara delle fase a gironi. Ma il dente è meglio toglierlo subito e saggiare di che pasta sono fatti i giallorossi.
4-3-3 per entrambe le squadre. Il Barca con tre attaccanti puri, Neynar Jr, Suarez e Messi. La Roma si sistema in campo con Dzeko centrale d’area, l’egiziano Salah esterno di fascia offensiva ed Iago Falque sulle piste di Jordi Alba in fase di non possesso al fine di bloccare sul nascere le intenzioni poco pacifiche del difensore spagnolo, ma con la vena di esterno d’attacco in fase di gestione giallorossa del gioco.
La festa sugli spalti dell’Olimpico è una cornice degna della civiltà del popolo romanista, che con la sua coreografia ed il suo calore non perde mai l’occasione per mostrare all’Europa ed al mondo il suo storico orgoglio. In attesa delle sentenze sui “civili” tifosi olandesi del Feyenoord, che hanno messo a ferro e fuoco la Capitale alcuni mesi fa, la compostezza del pubblico giallorosso risalta ulteriormente. La presenza di numerose famiglie con bambini al seguito dei loro beniamini è segno di una precisa volontà di celebrare l’evento calcistico come una gioia.
Parte con aria supponente il Barcellona. Aleggia sul campo, gioca stretto come da copione, scambia tra le linee avversarie con una facilità disarmante. Il primo acuto è del pluri decorato argentino del Barca. La “Pulce” si libera troppo facilmente di un avversario e calcia verso l’estremo giallorosso ma la sfera sorvola la traversa. La Roma trova il tempo per due contropiedi che si innestano tra i fraseggi ostinati e reiterati dei Blaugrana. Ma sono loro a passare in vantaggio con un gol irregolare. L’azione iniziale è viziata da un fallo, forse involontario, dello stesso Messi su Digne che precipita a terra. La palla finisce preda di Rakitic che prende la mira e serve Suarez appostato in piena area piccola. Colpisce di testa da pochi centimetri ed insacca. Dubbia la posizione dell’Uruguayano sul cross del compagno di squadra ma a l’arbitro non si avvede ed assegna il gol del vantaggio dei catalani.

Alessandro Florenzi
Tutto facile? Ma nemmeno per sogno quando lassù qualcuno ti ama. Florenzi ha sempre sugli spalti la sua famiglia che lo assiste e lo coccola come un perfetto stereotipo italico da evitare. E stavolta le preghiere hanno un seguito. Con pallone tra i piedi percorre quasi trenta metri sulla fascia destra, giunto al limite dell’out destro con una rapida occhiata traguarda il bersaglio della porta difesa da Ter Stegen che si rilassa a debita distanza dai pali della sua porta. Ciò che accade dopo ha dell’incredibile: Il centrocampista giallorosso ha un illuminazione, decide di tirare in porta da oltre 50 metri emulando il gesto tecnico di Lloyd, attaccante americana vincitrice della coppa del Mondo in Canada durante la finale di Luglio contro il Giappone. Alza gli occhi al cielo, tira e prega. Quando la palla si insacca alle spalle del colpevole estremo del Barcellona, Luis Enrique non crede ai suoi occhi, Rudi Garcia si alza di scatto incredulo ma felice, e forse nemmeno Florenzi si rende conto di quello che ha appena combinato. Un boato accompagna la sfera che si deposita in rete mentre il centrocampista si porta le mani al volto come a vergognarsi di aver fatto un gol incredibile che resterà certamente annoverato tra le gemme della storia del club capitolino. Suarez stavolta morde con i tacchetti al posto dei denti, con una rasoiata taglia di netto due dita di Szczesny , che è costretto ad uscire dal campo per De Sanctis.
Forse il Barcellona non è ancora al Top della condizione, ma il possesso palla alla fine risulterà schiacciante: 70 per cento contro i 30 della Roma. E quando l’argentino si accende sono dolori. Al 33’ della ripresa guizzo veloce di Messi che riesce a calciare il pallone in un centimetro quadrato di terra circondato dai difensori giallorossi, sinistro e palla che si stampa sulla traversa. Al 38’ De Sanctis evita il gol con una prodezza di ginocchio su incursione di Iniesta. Tra i romanisti i crampi fanno le prime vittime, non è facile tenere testa alla fitta rete di passaggi degli spagnoli. Si arrende Florenzi che esce tra un autentica Standing Ovation. Il finale è un assedio dei Blaugrana, che culmina a tempo scaduto con una palombella di Jordi Alba che Manolas riesce ad intercettare poco prima che la sfera finisca in rete. Scampato pericolo per il gol vittoria dei catalani che a quel punto avrebbe avuto il sapore di una beffa.
Il Manchester City ed il Barcellona erano amici oppure dei nemici? Forse erano solo dei semplici conoscenti, che abbiamo affrontato con il piglio giusto e con la determinazione adatta a proseguire il cammino in Champions League senza le nubi tumultuose che oscurano il passo. Ora forse anche le altre ci temono. I “piccoli mattoncini“ possono diventare una muraglia refrattaria e compatta, ma anche una strada lastricata di onori che ci porta verso la finale di maggio a Milano. Ed è certo che le due italiane faranno carte false per esserci.