Ventinove a zero per la Francia sull’Italia domenica all’Olimpico di Roma nell’àmbito della quarta e penultima giornata del torneo delle Sei Nazioni. Sia ben chiaro che nel rugby il risultato non mente mai. Il rugby è sport “nudo”. Nel rugby non ti puoi nascondere, non ti puoi defilare, né tantomeno puoi vivere di rendita, o bluffare… Non solo: qui il Caso poco incide. Il volume di gioco, l’intensità della contesa sono di tale portata da annullare, appunto, l’”intervento” dell’imponderabile. Si obietterà che, allora, senza il risultato “a sorpresa”, che gusto c’è…? C’è sempre “gusto” in una partita di Pallaovale. C’è infatti “gusto” nella vittoria della squadra X contro la squadra Y dopo che la formazione X era stata battuta, piegata, anche surclassata dalla compagine Y dieci volte di fila. Il successo della “X” è successo ‘vero’: arriva, sì, dopo numerose, e dure sconfitte contro un antagonista preparato, solido, raziocinante quanto estroso, e, perdipiù, “cattivo”. Eccome se in tutto questo c’è “gusto”.
Questa precisazione, questa prolungata precisazione, è d’obbligo quando si parla di rugby e, vale a dire, di uno sport che in Italia da una diecina d’anni fa riscontrare una prepotente, scintillante diffusione, ma che tuttora non è ben conosciuto dalla maggioranza degli italiani, sebbene anche oggi all’Olimpico si sia registrato il tutto esaurito, sebbene i nostri “vivai” per numero di praticanti e per qualità di impianti siano secondi solo a quelli inglesi e francesi (limitiamoci qui all’Europa, all’Emisfero Nord). Se ci si vuole avvicinare al rugby, occorre eseguire un grosso sforzo di fantasia, occorre mettere da parte quella pigrizia mentale che da varie generazioni appesantisce e appanna il cammino della società italiana.
Accadono “milioni” di cose in una partita di Pallaovale, sia che si tratti d’un confronto fra Inghilterra e Galles o d’una gara fra L’Aquila e il Benevento. I dettagli sono “infiniti”. Lo sono anche, e soprattutto, per la specificità dei ruoli: in questo gioco i ruoli sono quindici, tanti quanti i giocatori d’una squadra. Perciò in campo ci vanno trenta signori, e cioè trenta menti, trenta temperamenti diversi, sebbene i 30 che appunto si dànno battaglia rispettino con religiosità l’indispensabile manuale, ma lascino anche spazio all’inventiva, alla fantasia. Scalare insomma la “montagna” che si chiama “miglioramento tecnico”, è un’impresa, un’impresa assai ardua contro le asperità presentate da Nazioni “emancipate”, “evolute”, depositarie quindi della grande sagacia richiesta dal rugby se nel rugby si vuole brillare, brillare non per una stagione, bensi per più generazioni.
Oggi, sì, l’Italia ha incassato 29 punti da parte della Francia (due le mete, cinque i calci di punizione piazzati dai francesi sopra la traversa e fra i due pali). Non era, no, una Francia “bella”, anzi, una Francia così ‘modesta’ prima d’ora non l’avevamo mai vista. Ma questo pomeriggio, all’Olimpico, i transalpini in stile luminosamente, signorilmente umile, si sono affidati alla loro plurisecolare tradizione, quindi al loro immenso bagaglio tecnico, e ‘anche’ culturale. Dopo un inizio assai mediocre, hanno risalito con pazienza, con rigore, con “fede monastica” la china, e hanno finito per superarci in maniera piuttosto netta.
Gli Azzurri. Non si dica che gli Azzurri avevano bruciato tutte le loro energie nella vittoriosa, epica “battaglia” di Edimburgo contro la Scozia il 7 marzo scorso. Di “birra” i nostri ne avevano: eloquenti, a riguardo, i primi 20 minuti della partita di oggi, durante i quali la Francia ha subìto, sofferto il nostro ritmo, il nostro brio, la nostra incalzante iniziativa. Ma poi i “Bleus”, dall’alto della loro antica sapienza, del loro antico mestiere, hanno frenato, ingabbiato, infine infilato a più riprese la nostra Nazionale. Sono riusciti ad aver ragione della squadra che nelle battute iniziali aveva appunto dato la sensazione di poter travolgere e sconfiggere l’illustre avversario.
I nostri tutto hanno dato. Tutto. Hanno giocato “alla morte”, in varie occasioni sono apparsi addirittura più “sofisticati”, più eclettici dei francesi. Ma le partite di rugby durano 80 minuti – e a Edimburgo l’Italia aveva schiantato la Scozia proprio all’ottantesimo minuto. Negli 80 minuti di oggi la Francia ha ampiamente meritato il successo.
Ci si è stretto il cuore nei dieci minuti finali all’Olimpico: erano così eloquenti le espressioni degli Azzurri, così eloquente il loro ‘linguaggio del corpo’. Il ‘linguaggio del corpo’ di Sergio Parisse, il Capitano, un “monumento”; di Andrea Masi, il tre-quarti-estremo che gioca nel campionato inglese; di Joshua Furno, uno della “mischia”, l’”ariete” che anche oggi s’è battuto con slancio, coraggio, generosità; di Ugo Gori, il mediano di mischia, vale a dire uno dei ‘registi’, insieme al mediano d’apertura. Uomini mortificati per la sconfitta che subivano a opera della Francia, all’Olimpico, a Roma, in una giornata che era sembrata aprirsi sotto incoraggianti auspici: la crisi della Nazionale francese (battuta da Galles e Irlanda), le prime rondini nel cielo del Palatino, nel cielo di Monte Mario, Ponte Milvio. Uomini in stato di grossa sofferenza interiore. Un supplizio, il loro, uscire schiacciati dal confronto con la Francia, dinanzi al loro pubblico, dinanzi a decine e decine di migliaia di italiani accorsi entusiasti, trepidanti, allo stadio scodellato fra il Tevere e Monte Mario.
I tifosi italiani. I tifosi italiani sono donne e uomini impagabili. Non avvertono “cali di tensione”. Non si demoralizzano. Non fanno i delusi! Non reclamano! Seguono la nostra Nazionale con dedizione, con rispetto. Con amore. Come la seguirono nei bui giorni del 2009 (cinque secche sconfitte su cinque) e nei giorni altrettanto bui dello scorso anno – dopo lo sfolgorante 2013: nette vittorie su Francia e Irlanda. Sanno che cos’è il rugby. Hanno imparato a conoscerlo. Ne notano le complessità, le sfumature: la “grandezza”. Sono vicini al “sentire”, insindacabile, del rugbista. Del rugbista colgono, eccome, il dolore fisico e il dolore interiore. Il dolore interiore come quello di oggi, all’Olimpico; così visibile, alla fine, sissignori, nei volti degli Azzurri.
Sebbene nella sconfitta inflittaci dalla Francia, una gran bella pagina è stata scritta oggi sul rugby. Non diciamo “italiano” o “francese”. Diciamo rugby. Basta e avanza.