Il rischio, nell’era della tecnica, è di frequentare unicamente il pensiero “calcolante” a danno di quello critico, con il risultato di portare ogni situazione sul piano dell’utile senza più distinguere il bene dal male, il giusto dall’errato, il buono dal cattivo, il vero dal falso, il bello dal brutto, e di basarci unicamente sulla cieca “legge del mercato”. Del resto, è evidente quanto la politica sia sottoposta all’economia e le sue scelte siano spesso condizionate dal profitto piuttosto che dal bene sociale.
In un contesto del genere, l’essere umano perde la sua “centralità” per essere ridotto a “mero mezzo” del fine economico, e perfino l’arte (la pittura, la musica, le lettere), da fine espressione dell’intelletto, è ridotta a merce spendibile, fruibile, in grado di produrre denaro. È così che i nostri più alti fini diventano meri “obiettivi finanziari”.
Nell’era della tecnica, quindi, “il sapere inutile”, come la filosofia o la letteratura, la musica o la pittura, può costituire l’antidoto per difendersi dal pensiero calcolante e dal materialismo più bieco che svuotano di significato la vita umana. Non siamo un insieme ordinato di calcoli, ma l’espressione del pensiero che si concede delle iperboli e “crea”.
A cadere sotto i colpi della tecnica è anche l’etica che dovrebbe regolare i nostri comportamenti, e, tanto, tutte le volte in cui conta il “produrre”, il raggiungere gli obiettivi a prescindere dal “come”. Alla vita odierna, in molti casi, manca il pensiero libero e critico, “mancano i concetti fondanti e fondamentali dell’essere uomini”, e cioè le categorie del bene, del giusto, del vero, tipiche della civiltà ellenistica. Continuiamo a pensare che la tecnica sia uno “strumento” nelle mani dell’uomo, ma in realtà ne siamo “dominati”, soprattutto nei casi in cui la nostra idea di futuro non è rivolta al “bene universale”, ma al “progresso raggiunto attraverso il processo tecnologico”.
Tutto ciò è pericoloso, poiché nell’impossibilità di migliorare la tecnica, resta il vuoto, la frustrazione e l’annichilimento. Heidegger, nella sua opera “L’abbandono”, considerava “inquietante” il mondo, nelle mani della sola tecnica piuttosto che in quelle di un “pensiero meditante”, considerando la tecnica destinata a fallire miseramente. Per questo è necessario rivedere le priorità e, quindi, l’uomo, l’individuo, la sua identità, l’etica, la libertà. Al centro dell’universo, in questo momento storico, esiste soprattutto il suo essere capace di produrre, all’interno di un apparato sociale arido e capace di fagocitarne l’anima, a favore del bilancio e della produttività e della ricerca aberrante della “tecnica per la tecnica” che, da strumento per migliorare le condizioni di vita, la svuota di significato. Del resto, già Marx intuì che la tecnica, “da mezzo”, avrebbe potuto diventare “fine”, con conseguente capovolgimento dei valori sociali.
L’individuo, nell’organizzazione tecnica del mondo, entra in “collisione” con la sua natura di soggetto, perde la capacità di concepirsi e riconoscersi comunitariamente, salvando unicamente il concetto di società composta da “consumatori”. È possibile evitare questa pericolosa deriva tornando agli studi dei classici, favorendo la conoscenza anche in scuole specialistiche e votate alle competenze tecniche.
La summa della conoscenza umana deve essere finalizzata alla nascita del pensiero critico e libero, che favorisca l’etica ecologica e la sopravvivenza senza inaridire o inibire la socializzazione e la solidarietà tra gli uomini. “Il paradosso contemporaneo” conduce, invece, all’accettazione della tecnica vista “come compimento del pensiero” e alla rinuncia delle categorie del bene e del vero, in funzione dell’utile, mortificando il potenziale umano e la nostra felicità.