La Fda ha puntato su un nuovo farmaco, prodotto da Eisai e Biogen, che riduce o meglio rallenta il declino cognitivo dei pazienti colpiti da morbo di Alzheimer – sempre che non abbiano ancora raggiunto uno stadio avanzato della malattia.
Considerato che si tratta di una patologia molto invalidante per gli ammalati ed altrettanto impegnativa per le persone che se ne prendono cura l’FDA ha garantito il “via libera accelerato”, pur obbligando le due società farmaceutiche a condurre ulteriori studi. La novità riguarda il fatto che, come afferma lo stesso Billy Dunn della Food and Drug Administration, “questa opzione di trattamento prende di mira il processo sottostante non limitandosi a curare i sintomi”.
Il Leqembi, il nuovo farmaco appunto, ha mostrato risultati promettenti per la cura della malattia, che colpisce 6,5 milioni di persone nel mondo, prendendo di mira la patofisiologia fondamentale della malattia in un’ottica del tutto nuova che aspira ad “influenzare il processo patologico” in maniera determinante piuttosto che limitarsi all’indebolimento della rappresentazione dei sintomi.
Da anni si cerca di trovare una soluzione alla progressione della malattia ed il Leqembi, ha mostrato di rallentarla efficacemente. Importante è che l’assunzione del nuovo farmaco avvenga ai primi segnali della malattia per guadagnare “alcuni mesi” sul deterioramento cognitivo, ma in rapporto ad un morbo tanto aggressivo, invalidante e diffuso è già un apprezzabile risultato, che va ad impattare positivamente sulla vita delle persone coinvolte e dei familiari che le circondano.
Secondo Joy Snider, neurologo della Washington University di St.Louis, questo si traduce nel fatto, importante anche per l’autonomia e la dignità del paziente, nell’ essere in grado di “guidare” un’automobile circa 6 mesi in più. La Fda fa sapere in ogni caso che, siccome il farmaco è stato valutato in uno studio “a doppio cieco controllato con il placebo” e che i pazienti trattati sono stati 856, in cui si è valutata la presenza di placche amiloidi cerebrali, tipiche della malattia da Alzheimer, sono necessari ulteriori studi e ricerche, anche se dai primi risultati ottenuti in fase di sperimentazione risulta un farmaco valido. Riguardo all’approvazione in Europa, le aziende produttrici fanno sapere che hanno già presentato un dossier ad Ema. A quel punto bisognerà attendere, in Italia, anche la valutazione dell’Aifa.
Il farmaco Leqembi è tuttavia accolto con dubbi da una parte della comunità scientifica , in particolare il dottor Mattew Schrag, ricercatore presso la Vanderbilt University, che considera l’effetto sotto la soglia rispetto a quanto la comunità scientifica ritiene essere clinicamente significativo. Tuttavia, un rallentamento della progressione della malattia c’è e “nell’economia del decorso” i cinque o sei mesi in cui l’aggressività rallenta, di certo va a migliorare le condizioni di vita e relazionali soprattutto del paziente, che guadagna uno sprazzo di lucidità, prima del declino cognitivo. Per il futuro, si spera che questi studi ci indirizzino verso una cura definitiva, e di certo “il cambio di prospettiva”, compiuto con il Leqembi, di agire sugli esordi e le cause scatenanti e non sui meri sintomi, pare essere quello giusto.
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