Ieri, a Baltimora (Maryland), è stata compiuta una svolta epocale della storia umana: è stato trapiantato ad un uomo di 57 anni, di nome David Bennet, che soffriva di una grave patologia cardiaca; un cuore nuovo che non proviene da un altro essere umano, ma da un maiale geneticamente modificato. Il team di medici impegnato nell’intervento durato 8 ore è stato guidato da Bartley Griffith, che ne ha dato l’annuncio al New York Times: “Il nuovo organo crea battito, crea pressione, è il suo cuore”. Queste parole concitate, cariche di emozione segnano un passo rivoluzionario per la medicina e per tutta l’umanità. La cautela è d’obbligo ma, ad oggi, tutto lascia ben sperare per il futuro.
In realtà, questo intervento, svolto in modalità “compassionevole” così come si è soliti dire quando le speranze di vita sono ridottissime, ha decretato un successo insperato, raggiunto con il sacrificio e lo studio di anni da parte di ricercatori e medici.
Il paziente era ben consapevole dei rischi di rigetto nonostante la modificazione genetica del cuore dell’animale e prima dell’intervento aveva dichiarato: “Morire o fare questo trapianto. Voglio vivere. So che è un salto nel buio, ma è una mia scelta”. David Bennet ha scelto di vivere e di saltare, mentre l’equipe del prof Bartley Griffith si preparava a cambiare il corso della nostra vita, così come avvenne nel lontano 1967, in Sudafrica, grazie a Christiaan Barnard che effettuo’ il primo trapianto di cuore.
Cosa ci ha portati fino a qui? Certamente il coraggio di scegliere la vita di Bennet da una parte e del team di Griffith dall’altra, la capacità di compiere il salto nel vuoto, la caparbietà di tanti medici, scienziati che, anni prima dell’intervento, giorno dopo giorno, riga dopo riga, alacremente, hanno scritto questa pagina e che hanno svolto il proprio compito, studiando, lavorando nei laboratori, nelle sale operatorie, nelle aule universitarie o in una stanza solitaria, cercando una soluzione per avanzare anche solo di pochi metri all’anno.
Del resto, la parola coraggio deriva da “Cor-cordis”, dal latino: cuore. C’è voluto cuore ieri per regalare a tanti malati una speranza di vita e una nuova prospettiva poiché gli xenotrapianti, si chiamano così i trapianti da organi di origine animale, potranno, in un prossimo futuro, sostituire organi che la malattia ha reso inefficienti, che gli incidenti hanno demolito, o che per vecchiaia funzionano male. La storia degli xenotrapianti parte alla fine dell’ottocento, ma furono abbandonati in favore del perfezionamento degli allotrapianti, che sono poi quelli che da decenni la medicina effettua con successo.
Tuttavia, le lunghe liste di attesa e l’estrema difficoltà di reperire organi umani da poter impiantare ha reso vane le speranze di molti pazienti che, nel frattempo, sono deceduti. Il trapianto di organi da maiale ad uomo invece, non pone un limite di risorse, fatto salvo il problema etico di creare allevamenti di maiali ad hoc, geneticamente modificati per evitare il rigetto per cause immunologiche.
Un limite si pone anche rispetto al rischio di trasferimento delle patologie di origine suina al trapiantato, tuttavia il rischio/ beneficio è netto.
Tra vivere o morire, il salto è l’unica alternativa.