Nonostante il protrarsi di lockdown e restrizioni, il Covid-19 rimane ancora una malattia giovane, da studiare. Sicuramente i passi per sconfiggerla sono stati fatti, ma il virus corre quasi alla stessa velocità dei progressi con cui avanza la ricerca scientifica.
Quello che possiamo affermare con convinzione è che i vaccini contro il nuovo coronavirus, SARS-CoV-2, sono efficaci e che, come ci comunica Israele, la terza dose proteggerebbe da varianti che continuano a spaventare, come la recente “omicron”.
Ciononostante, quasi in concomitanza all’approvazione del vaccino anche per i più piccoli, è emerso un nuovo orientamento: meglio immunizzarsi ammalandosi di Covid-19 che vaccinarsi.
In quest’ottica è importante sapere che quando il nostro organismo entra in contatto con un agente patogeno per la prima volta, deve prima conoscerlo e, poi, combatterlo il che potrebbe causare effetti più o meno gravi e a breve o a lungo termine. Quando ci vacciniamo, invece, il nostro corpo è messo nelle condizioni di conoscere il nemico da combattere in modo sicuro per la nostra salute. Nei vari Paesi del mondo, l’immunizzazione dal virus è diversamente valutata: se in Israele e nel Regno Unito vaccino ed infezione rilasciano lo stesso passe-partout, negli Stati Uniti, sono considerati immunizzati solo gli americani completamente vaccinati.
Tuttavia, se a livello politico esistono divergenze sul tipo di immunità, a livello scientifico, gli esperti convergono: optare per un’infezione rispetto alla vaccinazione non è mai la mossa giusta. Sperare di ammalarsi in maniera blanda solo per ottenere l’immunizzazione è e rimane un azzardo con più rischi: tra i vari effetti collaterali dell’infezione vi è la terapia intensiva e la morte, oltre agli effetti del noto “long Covid” che si manifestano in alcuni pazienti.