Alle soglie del compimento di un biennio pandemico, si parla ancora troppo poco di terapie contro il Covid-19. Eppure, nei laboratori delle università più importanti del mondo sono febbrilmente in corso studi ed esperimenti per garantire all’umanità l’immunità da nuovi possibili attentati virali. In tema di lotta contro i virus, è italiana una delle menti più geniali del panorama scientifico mondiale, e porta il nome di Francesco Stellacci. Dopo una laurea in Ingegneria dei Materiali al Politecnico di Milano nel 1998 con una tesi sui polimeri fotocromatici, l’anno successivo si trasferisce al Dipartimento di Chimica dell’Università dell’Arizona come post-doc per approdare, nel 2002, nel Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Dopo esser stato uno dei vincitori del premio Technology Review TR35 “35 Innovator under 35” e del Popular Science Magazine “Brilliant 10”, nel 2010 si trasferisce come Professore ordinario all’Institute of Materials del Politecnico Federale di Losanna (EPFL). Lo scienziato attualmente dirige il Laboratorio di NanoMateriali e Interfacce Supramolecolari (SuNMiL). La missione di SuNMIL è scoprire le complesse interazioni che avvengono tra gli assemblaggi supramolecolari e il mondo molecolare che li circonda. Per raggiungere questo obiettivo vengono sintetizzati e caratterizzati nuovi materiali. Stellacci spiega a La Voce di New York, con parole chiare e accessibili a tutti, la sua scoperta di molecole in grado di produrre un antivirale ad ampio spettro potenzialmente in grado di sconfiggere il Coronavirus e altri futuri temibili virus.
Cominciamo col dire che lei aveva previsto la pandemia con cinque anni di anticipo. Sulla base di quali segnali aveva formulato la sua ipotesi?
“Non posso proprio dire di aver previsto la pandemia, ma da dieci anni lavoro allo sviluppo di antivirali e chiunque lavori in questo campo sa che dagli anni ’70 in poi è emerso o riemerso un virus nuovo ogni quattro anni. Io sono nato che l’AIDS non esisteva, e fino a pochi anni fa solo in pochissimi sapevano cosa fossero Ebola, Zika, o Chikunguya. Fino al secolo scorso nessuno pensava che il Corona virus fosse un virus pericoloso per l’uomo. La prima crisi di SARS ha cambiato velocemente questo concetto, la terza (SARS-CoV-2, CoVID-19) ha cambiato veramente tutto”.
Lei ha creato una molecola che inganna il virus spacciandosi per cellula umana. Ci vuole parlare della sua scoperta?
“Seguendo delle linee di ricerca che derivano dagli anni ’60, col mio team abbiamo creato delle molecole che imitano gli zuccheri che si trovano sulla membrana cellulare. In questo modo i virus ci si legano pensando di legarsi alle cellule ed in questo modo perdono i punti di ‘aggancio’ che hanno per attaccarsi alle vere cellule. Le nostre molecole sono speciali perché dopo questo primo contatto hanno la capacità di applicare una pressione sui virus e farli rompere rendendoli inoffensivi per sempre”.
Ha parlato di una sorta di Cavallo di Troia in grado di penetrare nel virus e distruggerlo. Cosa intendeva dire?
“Le nostre molecole usano la somiglianza con gli zuccheri molecolari per attaccarsi ai virus come in un abbraccio mortale, e ci si stringono sempre più forte fino al punto in cui il virus si rompe”.
Si prevedono a breve dei Test sull’uomo della sua trovata?
“Ci vorrà almeno un anno prima di arrivare a questo punto. Stiamo facendo del nostro meglio per fare tutto il più velocemente possibile”.
Ritiene che in un futuro saremo colti di sorpresa da un altro virus o che questa esperienza ci abbia reso più corazzati?
“Spero davvero che in futuro saremo più preparati, noi stiamo cercando di sviluppare molecole che siano degli antivirali ad ampio spettro appunto per avere dei farmaci che potenzialmente possano lavorare contro virus che ad oggi non esistono ancora”.
Si parla poco delle terapie contro il Coronavirus. Sono in atto molti altri esperimenti per mettere a punto delle cure e non solo dei vaccini? E quali sono le tecnologie considerate più efficaci?
“Ci sono molti tentativi in giro per il mondo. Alcuni non hanno prodotto i risultati voluti (vedi il caso del Rendesivir) ma il Molnupirivir della Merck sembra molto promettente”.
La casa farmaceutica Merck ha presentato di recente richiesta di autorizzazione ai regolatori USA per l’utilizzo di emergenza della sua pillola anti-Covid 19 che consentirebbe di ridurre i sintomi e accelerare la ripresa. Cosa ne pensa?
“Sono molto contento per questi risultati che sono incoraggianti, ma dovremo vedere i risultati quando arriveremo a testare queste scoperte su intere popolazioni”.
Siamo ancora lontani dalla formulazione di un antivirale ad ampio spettro in grado di combattere i virus respiratori, o almeno quelli della famiglia Coronaviridae, a livello globale?
“Manca almeno un anno, e qui ci metto un sorriso, perché mi riferisco alle mie molecoline!”.
Lei è stato anche docente di ingegneria dei materiali al MIT di Boston, ed è autore dei progetti per l’eliminazione della plastica. Qual è la sua soluzione per ripulire il pianeta da questo materiale?
“Questo è un discorso molto lungo da fare in un’altra intervista. Mi limito qui a dire che il problema è veramente enorme e non ci sono soluzioni semplici. Ognuno di noi consuma circa 30 Kg di plastica all’anno. Queste sono quantità davvero enormi. Non si può sperare in una soluzione semplice, dobbiamo impegnarci un po’ tutti a cambiare questa situazione”.
Lei è uno dei classici “cervelli in fuga” dall’Italia, uno di quegli scienziati che rappresentano l’Italia nel mondo, ma che all’estero hanno trovato fertile terreno di espressione. Le piacerebbe tornare a vivere in Italia?
“L’Italia l’adoro davvero, ma sto bene anche in Svizzera oramai. Se ci fosse l’occasione giusta ci tornerei, ma più passano gli anni e più mi abituo alla situazione nella quale mi trovo”.
Ritiene che con i fondi del Next Generation EU si sia dato un sufficiente impulso alla ricerca in Italia? E, al di là di questa misura emergenziale, quel è la soluzione che suggerirebbe alla politica per valorizzare maggiormente la ricerca?
“Per valorizzare la ricerca bisogna valorizzare le persone, non c’è altra strada”.
Con la pandemia gli scienziati hanno avuto un ruolo importante nei mass media. Pensa che la divulgazione scientifica dovrebbe diventare una costante nella comunicazione pubblica e che sia un dovere degli scienziati uscire dalla loro nicchia per spiegare alla gente comune i risultati del loro lavoro?
“Ritengo che la divulgazione sia una parte molto importante nel lavoro di uno scienziato, ma bisogna stare attenti. Se mi affidassi ai comunicati stampa delle varie università, penserei che il cancro sia stato sconfitto da tempo oramai. Gli scienziati sono abituati a parlare a gente che comprende il loro campo, e quando parlano a gente del loro campo assumono che tutti comprendano le ipotesi alla base dei loro discorsi, ma questo non è il caso. Inoltre, la scienza è processo lungo ed arduo, la verità viene fuori dopo molti tentativi falliti, la comunicazione quotidiana non è abituata a questo processo. Per esempio, tra pochi mesi potrei essere convinto che le mie molecole non funzioneranno mai, sarei comunque contento perché nel fallimento avrei comunque capito qualcosa e la scienza degli antivirali sarebbe progredita per lo meno chiudendo un percorso e di conseguenza aprendone un altro”.