Dopo la decisione dello scorso anno (da molti contestata) di presentare il New Green Deal europeo utilizzando come “attrazione” la piccola Greta Thunberg, nonostante la pandemia già in corso, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è tornata alla carica. Pochi giorni fa, durante la presentazione del piano per l’abbattimento delle emissioni di CO2 ha lanciato una nuova scommessa: eliminare entro il 2030 tutte le auto tranne quelle esclusivamente elettriche.
Il piano prevede di abbattere le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030, con l’obiettivo finale di azzerarle del tutto non oltre il 2050. Una vera rivoluzione “verde”. “È il nostro compito generazionale, che ci deve unire e incoraggiare. Non si tratta solo di assicurare il benessere della nostra generazione, ma anche quella dei nostri figli e nipoti”, ha dichiarato la von der Leyen.
Raggiungere questi risultati, però, potrebbe non essere così facile. Molti i dubbi sul programma. A cominciare dall’obiettivo finale: eliminare le auto a benzina, a gasolio e ibride non risolverebbe il problema. Eliminare le auto ibride e quelle “tradizionali” significherebbe non tanto eliminare le emissioni quanto spostarle dalle auto alle centrali elettriche. Ad oggi, il vero obiettivo dell’UE per il 2030, sarebbe riuscire a produrre energia elettrica da fonti rinnovabili per il 32% dei consumi energetici finali e del 14%, per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile nel settore dei trasporti.

Ma non basta. Esistono anche altri problemi. Problemi dei quali la von der Leyen non ha parlato. Utilizzare solo auto elettriche comporterebbe un aumento spaventoso dei consumi di energia elettrica. Questo richiederebbe modifiche sostanziali agli impianti di produzione (nuove centrali?) e alle linee di distribuzione, fuori e dentro le città dove dovrebbero essere realizzati un numero spaventoso di punti di ricarica (ricaricare un’auto elettrica non è come fare rifornimento ad un’auto tradizionale: se il primo richiede pochi secondi o, al massimo, qualche minuto, il secondo richiede molto più tempo). A questo si aggiunge che sarebbe necessario prevedere impianti per la gestione dei rifiuti speciali costituiti dall’aumento del numero di accumulatori dismessi (oggi estremamente inquinanti). Anche lo stile di vita dei cittadini dovrebbe cambiare: a meno di imprevedibili scoperte tecnologiche, l’autonomia delle auto elettriche è nettamente inferiore di quella delle auto tradizionali o ibride e i tempi di ricarica molto più lunghi.
Anche le risorse previste dal progetto potrebbero non bastare: il piano della von der Leyen prevede di recuperare 70 miliardi (in 7 anni) per cofinanziare al 50% l’acquisto di auto a “zero emissioni” e per la riqualificazione energetica degli edifici.
Ma il punto centrale è che eliminare le auto a benzina, a gasolio e ibride non risolverebbe il problema delle emissioni. Tra i mezzi di trasporto le auto sono responsabili solo di una piccola parte delle emissioni legate ai trasporti. Dati che i tecnici dell’UE conoscono bene: un documento del 2018, indica come maggiori responsabili delle emissioni “altri settori” (energia, agricoltura, processi industriali e trattamento dei rifiuti sarebbero responsabili di oltre il 70%). Ciò significa che il trasporto su auto sarebbe responsabile solo di una minima percentuale delle emissioni. La gran parte deriva dal mix di trasporto delle merci su gomma, via mare e per aria. (si veda figura 1)

Numeri che anche la von der Leyen conosce bene: a Luglio 2019, fu proprio lei ad annunciare di voler estendere al trasporto marittimo l’attuale sistema di scambio di quote di emissione (EU ETS, che interessa oltre 10.000 impianti ad alto consumo di energia come centrali o industrie e i collegamenti aerei interni, in 31 paesi europei). E ad Aprile anche il Parlamento UE, in seduta plenaria, aveva approvato la risoluzione 2019/2193(INI) sulle misure tecniche e operative per un trasporto marittimo più efficiente e più pulito. Misure che prevedevano, tra altro, il taglio del 40% delle emissioni del trasporto marittimo entro il 2030, la promozione dell’uso di combustibili alternativi e lo sviluppo di porti e navi più “verdi”. Le navi mercantili (quelle che trasportano più dell’80% delle merci scambiate nel mondo e più del 70 per cento del loro valore) e le navi da crociera emettono molti più inquinanti delle auto. Sono una delle maggiori fonti di emissioni e di inquinamento al mondo: i carburanti che utilizzano sono tra i più inquinanti al mondo. Stando allo studio di T&E-Transport&Environment, centro ricerche con sede a Bruxelles sostenuto da 60 diverse associazioni ambientaliste dell’Unione Europea, (svolto col supporto di immagini satellitari) solo le ciminiere della flotta del più importante operatore del mondo delle crociere (Carnival) emetterebbero dieci volte più ossidi di zolfo dell’intero parco auto circolante in Europa. Caso esemplare quello di Barcellona: le 105 navi da crociera approdate qui in un solo anno hanno rilasciato nell’atmosfera oltre 33mila tonnellate di ossidi di zolfo, a fronte di meno di 7mila tonnellate di emissioni da parte dell’intero parco circolante della città catalana (560mila auto). Stessa cosa a Venezia: 27mila tonnellate emesse dalle imbarcazioni a fronte di poco più di 2mila generate dal parco circolante dell’area di Mestre (110 mila auto). E così a Civitavecchia: le 76 navi da crociera approdate nel 2017 hanno comportato emissioni di ossidi di zolfo pari a circa 22mila tonnellate, contro le poche centinaia legate alle 35mila auto immatricolate in città.
Inspiegabilmente, però, la CE ha deciso di concentrare l’attenzione e gli interventi sulle auto.

I tecnici di Bruxelles hanno cercato fare di tutto per scoraggiare l’uso dei combustibili fossili (e fare cassa). Ad esempio, un nuovo piano di tassazione dei carburanti basato non sul volume ma sul contenuto energetico. “Sono completamente fuori sincronia con la nostra ambizione climatica”, ha detto Gentiloni in una intervista rilasciata il 15 Luglio riferendosi ai vecchi sistemi di tassazione.
Peccato che anche lui pare aver dimenticato che tutte queste modifiche finirebbero per ricadere sui cittadini e non sui reali responsabili delle emissioni (specie considerando che chi davvero è responsabile delle emissioni potrebbe battere “bandiera” di paesi lontani. La scelta di caricare fiscalmente alcuni trasporti non è certo una novità. Negli USA, il senato del Texas sta valutando se introdurre una forma di tassazione anche sulle auto elettriche (tramite il pagamento di una sorta di superbollo annuale da circa 200 dollari, quasi 168 Euro) per compensare il minor gettito fiscale proveniente dalle accise sui carburanti. Anche altri stati USA stanno valutando l’imposizione di tasse sui veicoli elettrici. sono allo studio programmi di addebito automatico basati su tariffe legate alle miglia percorse o al peso del veicolo: sette stati stanno conducendo dei test su appositi pedaggi stradali con l’assistenza del Dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti. Altri 17 Stati, invece, hanno avviato programmi pilota per verificare l’introduzione di tariffe legate ai chilometri percorsi.
Il punto è che, probabilmente, tutto questo non servirà a niente. Secondo Bjorn Lomborg, presidente del Copenhagen Consensus e professore a Stanford, il New Green Deal non avrebbe quasi nessun effetto sui riscaldamenti climatici. Il nuovo obiettivo del 55% (che dovrebbe ridurre le emissioni dell’UE di 12,7 miliardi di tonnellate di CO₂ o dei suoi equivalenti), se inserito nei modelli climatici previsionali delle Nazioni Unite, permetterebbe di ridurre la temperatura globale solo di un incommensurabile 0,004°C. Praticamente nulla.

Per ottenere risultati concreti sarebbero necessarie riduzioni delle emissioni ben maggiori e che dovrebbero coinvolgere non solo le attività realmente responsabili delle emissioni, ma soprattutto paesi come Cina, Stati Uniti d’America e India.
Stando ai dati disponibili, la Germania, il paese di gran lunga maggiore responsabile delle emissioni di CO2 in Europa, emette “solo” 702 MtCO2. Un quarto delle emissioni (oltre 2600) dell’India. E ben poca cosa rispetto a quanto emettono USA (oltre 5200MtCO2) e Cina (ben 10.175 MtCO2).
Eliminare le emissioni di CO2 prodotte solo dalle auto e solo in Europa, non servirebbe a niente.
Nemmeno a fare quello che potrebbe essere il vero obiettivo della von der Leyen: vantarsi (magari invitando la “piccola” Greta ormai cresciuta) di avere fatto dell’UE il nuovo paladino dell’ambiente (dopo gli USA – prima della presidenza Trump – e della Cina, ma solo sulla carta).
Concentrata sulle emissioni delle auto (e relative misure), la presidente della Commissione europea ha dimenticato di parlare del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), la misura per la compensazione delle emissioni che, da decenni, permette alle aziende più inquinanti di continuare a emettere CO2 grazie agli “scambi” di quote di emissioni. Uno strumento così importante che anche la Cina ha deciso di dotarsi di uno strumento analogo. E come la CE lo ha fatto con grande discrezione, senza dire che a breve 2.225 grandi produttori di energia responsabili di circa un settimo delle emissioni globali di carbonio derivanti dalla combustione di combustibili fossili (dati dell’Agenzia internazionale per l’energia) potranno essere inserite in questa borsa delle emissioni dove potranno essere “scambiati” circa un terzo dei 13,92 miliardi di tonnellate di gas che riscaldano la Terra e provenienti dalle fabbriche cinesi produttori di energia.
Le auto sono responsabili solo in minima parte delle emissioni di CO2. E le autorità di Bruxelles lo sanno molto bene. Traffico aereo e marittimo sono in crescita (nonostante la pandemia) e cercare di attribuire le colpe delle emissioni di CO2 solo alle auto non servirà a molto. E, di sicuro, non basterà a rendere l’Europa “green”.