In questi giorni la notizia della crisi pandemica da coronavirus che sta colpendo l’India sta facendo il giro del mondo. La situazione continua a peggiorare e finora sono stati confermati un totale di oltre 220.000 morti dall’inizio della pandemia.
Mentre la nazione, dopo un anno, sembrava addirittura uscita dall’emergenza, improvvisamente si sta assistendo ad un’impennata di casi. Solo nella scorsa settimana si sono registrati intorno ai 340. 000 casi al giorno, con un tasso di contagiosità circa 20 volte maggiore rispetto a due mesi fa. In media, sempre durante la scorsa settimana, si sono contati circa 2.600 morti al giorno, numero che peraltro si ritiene piuttosto sottostimato.
Le strutture sanitarie nazionali sono al collasso, mancano i letti e l’ossigeno, il personale è allo stremo. Non c’è training che avrebbe potuto preparare i sanitari ad un’evenienza di questa portata. Si cerca di curare quante più persone possibile, ma non ci sono risorse sufficienti. Le persone chiedono di essere salvate, pregano, si riversano in strada in cerca di ossigeno, di ogni tipo di aiuto. E i medici e gli infermieri hanno la terribile incombenza di dover scegliere chi salvare. Molti volontari ogni giorno, provvisti dei dispositivi di protezione disponibili si danno da fare per aiutare come possono. Ogni giorno, ci si sveglia sapendo che qualche parente o conoscente morirà.
Apparentemente, si accusa il governo di totale mancanza di supporto. Ci si chiede insistentemente della responsabilità politica in una tragedia come questa. A febbraio c’era stata addirittura una dichiarazione di vittoria della nazione nei confronti del coronavirus, il lockdown era stato rimosso e alle persone era stato consentito di tornare ad una vita praticamente normale. Anche raduni di tipo religioso erano stati consentiti, nonostante la presenza di focolai importanti in diverse regioni e nonostante la seconda ondata di covid-19 si fosse mostrata più mortale che in passato. Addirittura alcune strutture ospedaliere covid, con letti ed attrezzature erano state smantellate e diminuito lo stoccaggio di letti, respiratori e ossigeno.
Con queste premesse politiche, il messaggio recepito è che si potesse tornare ad una vita normale, assumendo comportamenti non compatibili con l’emergenza pandemica. Tendenzialmente, si è abbassata la guardia. A marzo, la situazione ha preso decisamente un’altra piega.
Ma come si è arrivati a questo punto? Da cosa è dipesa questa ondata di contagi, che ha portato a più di 6 milioni di contagi nel solo mese di aprile?
Si ritiene che la causa sia dovuta ad una combinazione di due fattori: il comportamento delle persone, un aumento della mescolanza sociale, ma anche la presenza di nuove varianti del virus. A Dehli e nella regione del Punjabprevale la variante inglese del virus, che presenta una mutazione della proteina spike del virus che ne permette una più facile penetrazione nelle cellule umane e quindi una diffusione più veloce nella popolazione. In Maharashtra e Westd Bengali predomina la nuova variante indiana, che presenta due mutazioni chiave che la rendono leggermente più infettiva, anche se in misura minore della variante inglese.
Tuttavia, la doppia mutazione potrebbe determinare una minore efficacia degli anticorpi prodotti in seguito alla vaccinazione nel bloccare il virus, e dunque una minore immunità. Ma gli scienziati devono ancora valutare se e quanto ci possa essere questa compromissione dell’immunità. Probabilmente gli anticorpi prodotti con la vaccinazione sono meno efficaci nel bloccare il virus, ma non c’è evidenza che tali mutazioni rendano il virus capace di sfuggire all’immunità anticorpale. Resta il fatto che limitare la diffusione del virus rimane di fondamentale importanza ed è responsabilità di ogni paese evitare che quanto si sta verificando in India si possa ripetere altrove.