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Censo 2020, record di non nascite per la popolazione americana: tre i motivi

L'ultimo censimento conferma che la popolazione statunitense calerà. Le implicazioni politiche e sociali sono enormi e richiedono un intervento immediato

Sonia TurrinibySonia Turrini
Censo 2020, record di non nascite per la popolazione americana: tre i motivi

Fotografia di Rene Asmussen.

Time: 3 mins read

Secondo i dati pubblicati mercoledì dal CDC la popolazione statunitense è scesa del 4% lo scorso anno. Solo 3.6 milioni di bambini sono nati, a confronto dei 3.75 del 2019.

Non solo: a seguito del censimento del 2020, il decennio tra 2010 e 2020 risulta essere stato quello di crescita più lenta per la popolazione americana sin dalla fondazione degli USA. Questo è, per gli Stati Uniti, un fenomeno nuovo e recente, essendo stati fino al 2007 uno dei pochi paesi sviluppati con un indice di fertilità superiore al 2, e cioè con una popolazione in costante aumento.

In pratica, fino a prima della crisi economica del 2008, da ogni donna statunitense nascevano in media 2.1 bambini, numero sufficiente a sostituire i due genitori ed assicurare che la popolazione fosse in costante aumento, e mai in calo. Questo indice ha appena raggiunto il suo minimo storico, arrivando a 1.7 neonati per ogni donna, un numero che matematicamente corrisponde ad una sentenza: la popolazione calerà di numero per la prima volta nella storia americana.

Il declino dell’indice delle nascite è iniziato con un tracollo economico, nel 2008. Nessuna sorpresa, i periodi di crash economico sono spesso accompagnati ad un calo delle nascite. I demografi riportano, però, di trovarsi in acque inesplorate dal 2011 circa, quando l’economia ha cominciato a riprendersi, ma la natalità ha continuato a calare.

Quali sono le ragioni di questo calo? Ci sono tre fondamentali teorie.

La prima è quella economica (“it’s the economy, stupid!”). La generazione dei Millennials (nati tra 1981 al 1996) ha deciso di rimandare il momento in cui mettere al mondo i figli non perché non ne voglia avere, come dimostrano tutti i sondaggi, ma perché pensa di non poterselo permettere. Entrano nel mondo del lavoro in condizioni diverse dai loro genitori: una debolissima rete di sicurezza sociale, quasi nessun sussidio genitoriale, debiti studenteschi da pagare, affitti in aumento vertiginoso, ma anche orari di lavoro imprevedibili, una vita complicatissima da conciliare con i bisogni di un bambino. Insomma, vogliono fare figli ma li rimandano ad un futuro in cui sperano di potersi permettere maggiore stabilità, ma è statisticamente dimostrato che se una coppia comincia più tardi a procreare finisce per fare meno bambini.

Una seconda ipotesi si affaccia sugli adolescenti, sui teen. Le nascite da genitori di età tra 15 e 19 sono crollate dell’80% dagli anni ’90 a oggi. Vuoi perché ci sono più contraccettivi, vuoi perché, come sostengono alcuni psicologi e sociologi, l’esistenza digitale sta erodendo la voglia di avere rapporti nella vita reale. La spiegazione più credibile è che i giovani riconoscano la reale possibilità di fare carriera ed andare al college, e siano più determinati a non mettere su famiglia prima del tempo. Insomma, il problema sociale delle gravidanze indesiderate tra adolescenti, molto sentito negli anni ’80 e ’90, è stato certamente risolto.

Però, c’è un però. Entrambe queste ipotesi non tornano completamente… Se il punto fosse l’economia, o l’assenza di sicurezza sociale, o i costi delle case, non si spiegherebbe perché lo stesso medesimo trend si può scorgere un po’ ovunque nei paesi sviluppati, sebbene in condizioni economiche e sociali diverse da quelle statunitensi, dal Giappone alla Spagna, dalla Corea del Sud alla Germania, passando naturalmente per l’Italia.

Questo porta alla terza ipotesi esplicativa, che pare essere la più credibile secondo economisti e demografi: le donne fanno esattamente il numero di figli che vogliono fare, in questo momento storico. Nella lotta per la parità, per avere uguali opportunità di carriera e salariali, il numero di figli che le donne possono permettersi di fare è sceso, e dunque il trend verso il calo della popolazione potrebbe non cambiare più.

Ma se il tasso di nascite sembra solo un noioso numero statistico, ha implicazioni immense. La forza lavoro di domani è quella che, con le sue tasse, pagherà le pensioni di quella di oggi. Il rapporto tra il numero di anziani e il numero di lavoratori è fondamentale perché i primi abbiano il supporto di cui hanno bisogno nonché diritto, ma i secondi non siano soffocati dalle tasse. Non solo: se in un futuro non così lontano vi saranno significativamente meno lavoratori di oggi, probabilmente essi non saranno abbastanza a supportare una economia in crescita, determinando tanto per l’Europa quanto per gli USA un sicuro declino.

Insomma, la tendenza demografica attuale avrà implicazioni massicce nella politica e nell’economia del mondo sviluppato. Si può contrastare, oppure si può tentare di adattarvisi. Contrastare significa rivedere le politiche sociosanitarie, economiche, i sussidi alle famiglie, ma anche l’immigrazione, secondo tassello tanto controverso quanto fondamentale per la crescita di una popolazione. Adattarsi, d’altra parte, significa pianificare e, probabilmente, rivedere le prospettive economiche ed il ruolo sul palcoscenico globale che Unione Europea e USA hanno ricoperto fino a questo momento nella storia.

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Sonia Turrini

Sonia Turrini

Sono laureata in psicologia, attualmente impegnata in un PhD in Neuroscienze a Bologna. Sono cresciuta con la cultura americana nell’aria, l’Herald Tribune in salotto, i libri dei grandi presidenti sulle mensole di casa, e Bruce Springsteen nelle orecchie. Non ho memoria di quando ancora non conoscevo Streets of Philadelphia, perché ero troppo piccola per ricordare. E pensavo parlasse di formaggio. Ho visitato gli Stati Uniti la prima volta, ancora ragazzina, nell’estate 2008, e ho passeggiato con la mia spilletta Yes We Can appuntata sullo zaino. Seguo con passione la politica americana da anni, e oggi ne scrivo sperando di portarci il valore aggiunto della mia formazione scientifica: le opinioni sono sempre ben accette, ma solo sulla base di fatti oggettivi, dimostrati e condivisi.

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