Si stima che il numero di persone che meditano a livello globale sia compreso tra 200 e 500 milioni. Il 40% degli americani adulti afferma di meditare almeno una volta alla settimana e anche se non ci sono ancora dati ufficiali durante i mesi di quarantena in tanti si sono avvicinati a questa pratica.

Di questi tempi, sembra quasi impossibile sfuggire alle parole chiave consapevolezza e meditazione, il mondo adesso è completamente stressante, e controllare la mente e se stessi sembrano essere diventate una delle strategie vincenti. Nella quiete la frequenza cardiaca rallenta e i livelli di cortisolo, l’ormone associato allo stress, diminuiscono. La meditazione è una pratica regolare che è stato dimostrato scientificamente aiuta con depressione, dolore cronico, ansia e problemi di sonno. Una specie di stretching, per tenere in salute la mente.
Tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) l’ha indicata tra le sue linee guida per gestire gli impulsi emotivi del faticoso periodo storico che stiamo vivendo. Salendo sul podio delle tendenze sanitarie più importanti, la meditazione sembra essere un valido aiuto per decomprimere i drammatici traumi psicologici costretti a vivere a causa del coronavirus.
Nonostante una ricerca della parola meditation su Google porta a oltre cento milioni di risultati, noi abbiamo approfondito l’argomento con il Dott. Daniel Lumera, docente, scrittore e formatore a livello internazionale, allievo di Anthony Elenjimittan, uno degli ultimi discepoli diretti di Gandhi.
Cosa significa essere nello stato meditativo? Cosa accade nel nostro cervello quando meditiamo?
“Molto spesso la meditazione viene scambiata per un “fare” quando invece si tratta di uno stato di coscienza.
La mercificazione che la meditazione sta vivendo oggi la sta riducendo in termini di convivenza proprio per gli straordinari benefici che essa inevitabilmente produce: rilassamento, disinfiammazione, rallentamento dei processi di invecchiamento, tono dell’umore, riduzione della depressione e miglioramento delle abilità cognitive.
Tra i vari studi che insieme alla prof.ssa Immaculata de Vivo abbiamo citato in Biologia della Gentilezza, trovo interessanti quelli che dimostrano quanto bastino otto settimane di meditazione per avere un ispessimento in quattro diverse aree del cervello: la corteccia cingolata posteriore, coinvolta nelle attività di mind wandering, in cui la mente vaga liberamente da un pensiero all’altro, e nella gestione dell’attenzione e della percezione di sé; l’ippocampo sinistro che regola apprendimento, cognizione, memoria e risposta emotiva; la giunzione temporo parietale, associata alla capacità di valutare le cose in prospettiva, nonché alla compassione e all’empatia; il Ponte di Varolio, un’area che produce una grande quantità di neurotrasmettitori. Al contrario l’amigdala, che regola la risposta fight or flight e quindi le reazioni di stress e ansia, risulta ridotta. È evidente dunque che la meditazione, anche se praticata per un breve periodo di tempo, è in grado di plasmare alcune aree del cervello rafforzando quelle che presiedono alla percezione di sé e a emozioni e atteggiamenti positivi verso gli altri, e inibendo quelle che attivano risposte negative di stress.
La meditazione però, non è solo una questione di convenienza, e va ben oltre a tutto questo perché ci permette di integrare un livello di consapevolezza e di purezza mentale tipico dei bambini. È in questo stato che è possibile fare esperienza della vera natura della felicità, quella che non dipende dall’avere o dal fare, ma solo dalla piena realizzazione dell’essere”.
Meditare ha la stessa radice di medicina, è cura e prendersi cura. In questo tempo malato di cosa esattamente la meditazione si prende cura?
“La meditazione si prende cura innanzitutto di ristabilire un livello di consapevolezza ed interconnessione tra noi ed il mondo circostante. L’essere umano vive completamente sconnesso da se stesso e dalla natura circostante ed è grazie alla meditazione che possiamo tornare ad uno stato di reciprocità ed espansione del nostro senso di identità.
Siamo immersi in una società che celebra come valori fondamentali della vita il saper fare, l’avere e l’apparire. La rincorsa al successo ci porta spesso a sacrificare salute, benessere e qualità di vita in nome di queste tre divinità moderne: fare, avere, apparire.
L’antidoto consiste quindi nel riequilibrarsi riscoprendo il valore fondamentale del saper essere. E per saper essere è necessario liberarsi da tutte le sovrastrutture che generano pressione e stress, spogliarsi e liberarsi da maschere, false esigenze e necessità che non sono nostre, pesi relazionali, dolori e ferite. La meditazione in tutto questo gioca un ruolo fondamentale”.
È dura per tutti quando si inizia una pratica, un po’ come iniziare a imparare a suonare uno strumento, non si può suonare Mozart dopo una singola sessione. Da dove suggerisce di iniziare? Come si trattano i pensieri e le emozioni mentre si medita?
“Suggerisco di iniziare dalla consapevolezza del proprio respiro, dall’attenzione alle sensazioni che l’aria provoca entrando ed uscendo dalle narici. In questo stato di ascolto, di presenza e di quiete, il respiro ci riporta in uno stato naturale di presenza. Questo è sicuramente il primo passo per cominciare ad esplorare la meditazione. Ed è semplice, bastano pochi minuti al giorno.
I pensieri e le emozioni non dobbiamo rifiutarli ma dobbiamo portare almeno il 51% dell’attenzione nel respiro. Questo ci permette di scaricare le tensioni ed entrare in uno stato contemplativo profondo”.

(pixabay)
Dott. Lumera, ha riunito in 60 giorni virtualmente 200 mila persone di tutto il mondo in un in incontro da lei guidato alla pratica meditativa. Come ci è risuscito? Interconnessi il silenzio si fa vivo e il linguaggio dell’amore riesce a farsi spazio nella paura di questo tempo?
“Sono convinto che ci sia una fortissima esigenza di “ascolto” e di strumenti che permettano alle persone di entrare in ritmo di vita diverso da quello attuale.
La meditazione, il silenzio e valori quali perdono, gratitudine, ottimismo, felicità e gentilezza, sono stati un’occasione per migliaia di persone per avvicinarsi a se stesse ed agli altri durante il periodo di lockdown. Questo a sua volta ha generato un circolo virtuoso che ha coinvolto oltre 200.000 persone dando vita ad una rete di solidarietà e di mutuo aiuto ad esempio attraverso la donazione di borse di studio per il percorso My Life Design Academy le iniziative del libro sospeso e di migliaia di atti di gentilezza”.
Nella vulnerabilità e nella disperazione ci si aggrappa a tutto, passato il momento buio di solito si tende a tornare alle vecchie abitudini, pensa che questo possa avvenire anche per le tante persone che si sono avvicinate alla meditazione durante la pandemia? In fondo la nostra per natura è la società del rumore e della confusione che mal si sposa con il silenzio e l’ascolto.
“Io penso che molte persone utilizzino la meditazione in maniera utilitaristica e quindi solo nei casi di necessità. Talvolta l’essere umano ha bisogno di più scosse per rendersi conto di quanto sia importante non ritornare alle vecchie abitudini. Fortunatamente però, ci sono tante altre persone che durante il lockdown ne hanno colto i benefici e ne hanno fatto una costante della propria vita portandole a riflettere su come spendere al meglio la propria vita”.
Un gruppo di ricerca di Boston, Ariadne Labs, ha pubblicato una guida su gli argomenti in cui i medici vengono istruiti su come dire ai loro pazienti che non tutti sopravvivo al virus e su come chiedere quali siano le loro ultime volontà. Nel kit ci sono domande impegnative ed è stato scaricato finora da 9000 persone. I medici insieme ai pazienti si trovano costretti a dover superare delle forti barriere emotive, impegnati in un unico grande obiettivo comune, quello di garantire a tutti la salute per riconquistare la nostra libertà.
La meditazione in corsia per medici e infermieri riesce a creare uno scudo protettivo rispetto la faticosa e crudele realtà che viviamo?
“Durante il periodo di lockdown insieme al percorso gratuito La Cura dell’Essere al quale hanno aderito migliaia di persone, abbiamo creato anche Med-it-aid: un’iniziativa gratuita rivolta alle professioni di aiuto coinvolte in prima linea nell’emergenza Covid-19 quali medici, infermieri, psicologi ed operatori sanitari tra gli altri. Una sorta di pronto soccorso emozionale grazie al quale il personale sanitario ha potuto sperimentare in prima persona il beneficio delle pratiche meditative capaci, non solo di abbassare l’ansia, la paura e lo stress in pochi minuti, di migliorare le relazioni medico-paziente e l’esperienza umana ma anche di generare effetti a medio lungo termine aiutando a prevenire i fattori di rischio e contribuendo a formare uno stile di vita salutare”.

La pandemia ha reso le persone di tutte le età molto più consapevoli della morte, la tragedia più grande in questa grande dramma sono le morti solitarie. Lei ha una coraggiosa e lodevole esperienza nell’accompagnare il morente nel delicato passaggio. Pensa che abbandonarsi a quello che non ci è dato sapere in solitudine, oltre ad essere disumano, lo rende ancora più doloroso e pauroso?
Cosa accade alla mente nei momenti in cui la persona sente più vicina la morte? Nel passaggio in solitudine quale pensa che sia l’emozione prevalente?
“Il COVID-19 non ha permesso una reale elaborazione del lutto e questo sta causando degli impatti psicologici importanti a medio-lungo termine.
Meditazione e perdono possono essere considerati degli strumenti molto efficaci per superare tutto questo poiché ci permettono, tra le varie cose, di integrare il passato, risolvere gli irrisolti ed entrare in uno stato di presenza e consapevolezza.
Nel momento in cui una persona si avvicina alla morte accade quello che di solito accade nella mente di un meditatore esperto: uno stato di assoluta presenza, abbandono, apertura ed accoglienza.
Nel passaggio in solitudine, i sentimenti più frequenti sono la paura ed il rimpianto di non poter salutare le persone amate. In questo contesto, credo sia importante che la società si adoperi affinché i morenti possano avere l’opportunità di accomiatarsi, anche a distanza, dalle persone che amano. Poter dire loro le ultime parole, le più importanti, quelle essenziali. Questo credo possa essere di grandissimo saluto”.
I morenti, nel varcare la soglia, succede che siano già con chi pensano di raggiungere, il rimpianto di non esserci stati in quel momento, è cosa dei vivi. Mancano le carezze, gli sguardi, le parole di sostegno, la contemporanea frustrazione di non poter più vedere e toccare i corpi delle persone amate. Non è concessa, soprattutto, la possibilità di risolvere le diatribe e le incomprensioni rimaste aperte, anche solo simbolicamente con un gesto fisico.
Privati all’improvviso dei corpi, le vicende personali rimangono sospese nel nulla e rimane solo il rimpianto che non lascia spazio al perdono.
Lei insegna che chi sa perdonare, tema che ha approfondito nei suoi studi, vive una vita più lunga e felice ma oggi oltre l’enorme trauma di un lutto difficilmente elaborabile, il peggior rammarico è quello di non poter perdonare. Cosa insegna di fronte a questo la pratica meditativa? Come ci si comporta? Esiste un posto a tutto questo dolore?
“L’insegnamento più grande è quello di vivere ogni istante della nostra vita pienamente, con la stessa intensità come fosse l’ultimo, senza lasciare irrisolti. La cosa migliore da fare è non aspettare per imparare a meditare o a perdonare. A volte l’essere umano ha bisogno di grandi crisi per compiere i passi del perdono ed è necessario coltivare questi strumenti lungo tutto il corso della vita. Questo ci porta in uno stato di sobrietà, essenzialità che cambiano notevolmente il senso ed il proposito della propria vita. Il perdono ci permette di collocare e dare un senso al dolore così come la meditazione ci permette di osservare ed accogliere quel dolore attraverso l’amore ed il silenzio”.

Si trova il tempo di disperarsi, arrabbiarci, terrorizzarci, ma perché non si trova quello per meditare? Stare con se stessi spaventa? Quando bussa la paura non siamo capaci ad aprire la porta?
“Non troviamo il tempo di meditare semplicemente perché non ci rendiamo conto dell’importanza della meditazione dal punto di vista relazionale, sociale, esistenziale ed evolutivo. La pratica quotidiana della meditazione può essere paragonata ad una sorta di igiene mentale che rende la mente pura e limpida. Inevitabilmente questa pulizia mentale provocherà degli effetti collaterali nella nostra vita quali l’entusiasmo, la meraviglia, il silenzio interiore, l’equanimità, la compassione”.
Negli ultimi anni, la meditazione è cresciuta di popolarità, i dirigenti della Silicon Valley come Jack Dorsey, amministratore delegato di Twitter e Square hanno organizzato ritiri di meditazione, la applicazione di meditazione Headspace ha raccolto 75 milioni di dollari e ogni anno centinaia di traider di Wall Street seguono il fondatore di Bridgewater Ray Dalio e pagano quasi $ 1.000 per imparare la meditazione trascendentale. Le persone di grande successo hanno l’abitudine alla meditazione o mindfulness. Il mercato della meditazione negli Stati Uniti ha un valore di $ 1,22 miliardi. Come ogni tendenza di benessere tra ricchi e potenti, la popolarità della meditazione può svanire, quale il segreto per non smettere di praticarla, una volta passata di moda?
“La meditazione è presente nel pianeta da millenni e come qualsiasi cosa è ciclica. Questo è un momento storico importante in cui può essere diffusa in tutto il pianeta grazie all’utilizzo consapevole dei social al fine di dare alla meditazione un impatto pragmatico non solo nella propria vita, ma nell’intera collettività.
In un’epoca in cui ci sono più centri di meditazione che filiali di banca, credo che sia importante approcciarsi a questa pratica con sobrietà, costanza, pazienza e perseveranza affinché non sia una moda passeggera ma divenga un vero e proprio stile di vita: un modo d’essere e di camminare. Per questo reputo fondamentale studiare la meditazione con una guida che risponda a quattro caratteristiche principali: approccio scientifico, coerenza, lignaggio chiaro, impegno sociale”.
La meditazione si sta diffondendo anche nell’esercito americano e in quello di alcuni alleati. Un gruppo sempre più crescente di ufficiali consiglia questa pratica ai veterani per aiutarli a convivere con i traumi della guerra ricercando la pace della mente.
La meditazione potrebbe portare dei vantaggi alla rigidità militaresca? La figura del guerriero può sposarsi con il fiore di loto? Pensa che ci sia uno stereotipo per cui la meditazione ti rende debole?
“La società attuale ci porta a considerare la meditazione ed il perdono come degli atti di debolezza quando è esattamente il contrario. La scienza ci dimostra quanto la gentilezza, il perdono, la gratitudine, la felicità e l’ottimismo possano essere delle medicine naturali che ci permettono di vivere più sani e più al lungo. Questo da sempre: pensiamo ad esempio ai Samurai Giapponesi che hanno integrato uno stile di vita incentrato sui valori dello spirito, dell’onore e della saggezza. La meditazione, in qualsiasi contesto venga applicata, ci porta ad entrare in uno stato di centratura, di discernimento e di capacità di osservare attraverso la trascendenza senza essere travolti dalle situazioni o dagli eventi esterni gestendo pensieri e stati interiori. Questo è un grandissimo vantaggio che fa la differenza”.

Il mondo è pieno di persone che danno ricette per disfarsi di qualsiasi cosa ci opprima, per non sentire, per anestetizzarsi. La pratica della meditazione sembra non gradire le vie d’uscita ma piuttosto quelle d’entrate, insegna a stare e a conoscersi. È una pratica educativa che prepara il cervello a sviluppare le abilità sociali e di vita.
Un numero crescente di scuole sta adottando la meditazione come strumento per combattere i problemi più difficili e il successo è provato. Gli studenti che praticano i cosiddetti “intervalli della quiete”, hanno voti migliorano, un numero minore di assenze e le sospensioni per motivi disciplinari hanno un notevole calo. In generale, nelle scuole dove si medita, sia gli studenti che gli insegnanti vivono meglio. Dimentichiamoci per un secondo le bruttezze di questo triste tempo e rivolgiamo le nostre speranze ai giovani: qual’è il segreto per educarli a un futuro consapevole?

“Il segreto che posso suggerire è quello di imparare a vivere coscientemente il presente, saper riconoscere le proprie esigenze reali e la capacità di trasformarle. Dal nostro livello di consapevolezza interiore dipende la comprensione dei fattori chiave che muovono i nostri stati interiori e le nostre azioni. Estendiamo quindi il livello di responsabilità anche al nostro mondo interiore, all’intimità di ciò che ogni giorno, inconsapevolmente o consapevolmente, viviamo. Alle paure, all’ansia, al rancore, all’odio, alla tristezza, alla rabbia, all’impotenza, alla colpa, all’esaltazione, alla frustrazione, ai pensieri ossessivi, alle ferite emotive e ai traumi legati al tradimento, all’abbandono, all’ingiustizia. Da questo ambiente interiore invisibile avveleniamo costantemente il mondo, noi stessi e gli altri, sia le persone che crediamo di odiare ma anche quelle che amiamo. È quindi necessaria un’educazione sulla consapevolezza e la meditazione ha la capacità di portarci in uno stato di causalità e responsabilità grazie alla quale ci rendiamo conto che ciò accade fuori è una proiezione di qualcosa di molto più profondo.
Ascolto e consapevolezza, questi sono i più bei regali che ci possiamo fare perché un’educazione fondata sulla consapevolezza ci permette di osservare il ritmo frenetico che avviene dentro di noi e poter creare uno spazio di silenzio dove poter essere felici per il semplice fatto di esistere”.
Tra i frantumi di questa pandemia cosa augura al mondo nel silenzio delle sue meditazioni?
“Auguro alle persone di avere il coraggio di non rifiutare il dolore, ma di saperci entrare con amore, di accoglierlo, proprio perché spesso il dolore è amore trattenuto. Auguro inoltre a tutte le persone di essere costantemente grate per ciò che hanno e per la fortuna di respirare, di abbracciare, per le persone che le circondano. Partirei esattamente da qui: dal silenzio e dall’ascolto, sia del dolore di chi grida e non viene sentito, ma anche dall’ascolto delle infinite capacità che abbiamo di amare e della certezza che ogni lacrima non andrà perduta”.