È stata inaugurata a Palermo dal direttore generale della Fondazione Federico II, dott.ssa Patrizia Monterosso, alla presenza delle autorità politiche e dei dirigenti museali il 16 settembre e sarà visitabile fino al 31 gennaio la mostra Terracqueo, che vuole essere soprattutto “narrative exibition”.

L’iniziativa è unica per l’eccezionalità e l’eccellenza del percorso mai affrontato finora nell’ambito delle esposizioni museali in Sicilia e di questo si deve dare encomio alla direttrice e al suo staff. Anche la location è di eccezione, per la sua carica di storia gloriosa e millenaria che rimanda alle origini della nuova Sicilia, quella dei Normanni e della Scuola Siciliana di Federico II, il Palazzo dei Normanni, oggi sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. Esso è uno dei tesori più preziosi della Palermo che a cominciare dai Punici documenta lo sviluppo di tante civilizzazioni, sicelioti, bizantini, normanni, svevi, aragonesi, Borboni, fino alla conquista dei Savoia, primo gradino per la realizzazione dell’auspicata Unità di Italia con tutto il suo rilievo positivo e con le sue forzature politiche. Basterebbe la sola Cappella Palatina del 1140, voluta da Ruggero II, Patrimonio dell’Umanità, con i suoi divini mosaici bizantini, dominati dal Cristo Pantocratore che raccontano in immagini l’agiografia e la storia cristiana a renderla miracolo di arte universale. Ma tutto il magico complesso, il vasto atrio, le logge affrescate o coperte di mosaici con la cronistoria degli interventi dei diversi altri regnanti, aragonesi, spagnoli, borbonici, non ha uguali al mondo occidentale. In epoca di Gran Tour, Guy de Maupassant la definì «La più bella chiesa del mondo, il più sorprendente gioiello religioso sognato dal pensiero umano».
Anche il particolare angolo della mostra ha un suo appeal. Si tratta delle Sale Duca di Montalto ai piedi dello scalone di onore e ad uno degli ingressi del Cortile Maqueda, risalenti al XVII secolo con affreschi di Pietro Novelli, Gerardo Astorino e Vincenzo Barbera, trasformate in sala delle udienze estive e poi da Ferdinando III di Borbone su progetto di Venanzio Marvuglia in scuderie. Sotto l’affresco che raffigura Pietro Moncada a cavallo si apre un oblò e si ridiscende nella preistoria di questo sito fra le mastodontiche Mura Puniche, portate alla luce dagli scavi.

Con un occhio alla terraferma, che da secoli è stata protagonista dell’intera civiltà occidentale l’esibizione si propone come “il racconto del Mediterraneo”: «L’obiettivo è dichiarato: donare al visitatore una chiave di lettura dell’antichità per rituffarlo improvvisamente nel presente e fargli percepire cosa era il Mediterraneo ieri e cosa è diventato oggi. Ecco perché l’ultima sezione è intitolata “Il Mediterraneo. Oggi”, un reportage crudo e senza filtri». Si occupano di sviluppare tale narrazione 324 reperti, scelti dal Comitato scientifico, con il partenariato del Dipartimento dei Beni Culturali e Centro Regionale per il Restauro, dei musei regionali e civici (Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Palermo, dal Museo “G.G. Gemmellaro” e Fondazione Sicilia, Fondazione Mandralisca e Fondazione Whitaker) e di altri prestigiosi musei nazionali come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann”, i Musei Capitolini e il Museo Etrusco di Volterra. La mostra si sviluppa in nove step, che rappresentano un viaggio diacronico di millenni e spaziale, «sopra e sott’acqua o nella terraferma: “Un mare di storia”, “Un mare di migrazioni”, “Un mare di commercio”, “Un mare di guerra”, “Un mare da navigare”, “Un mare di risorse”, “Un mare di ricerche”, “Focus sul porto di Palermo”, “Il Mediterraneo. Oggi”». Il fortunoso itinerario è preparato da una serie di 34 saggi del ponderoso Catalogo (grande formato di 240 pp.), arricchito da un’ampia e preziosa iconografia.
A me è toccata la parte che ne traccia le origini a cominciare dalla mitica fuga in Sicilia di Dedalo e Minosse presso il re Cocalo fino alle peripezie di Odisseo cantate da Omero, attraverso la lunga e gloriosa civiltà dei sicelioti e delle luminose civiltà che ne scandirono il processo da Akragas, Selinunte, Segesta fino a Himera, dal fulgore di Siracusa eccelsa quanto Atene, se Platone vi giunse per tre volte tra il 388 e il 360 a.C. per educare i due tiranni Dionisio I e II a realizzare la sua Utopia di sovrano-filosofo. «Su una mappa del mondo, il Mediterraneo è un semplice taglio della crosta terrestre, una stretta zona, allungata da Gibilterra all’istmo di Suez e al Mar Rosso, rotture, faglie, crolli, pieghe terziarie hanno creato fossi liquidi molto profondi e, di fronte al loro abisso, a loro volta, ghirlande infinite di giovani montagne, molto alte, dalle forme luminose […] Cos’è il Mediterraneo? Mille cose alla volta. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma le civiltà accatastatesi l’una sull’altra […]. Tutto perché il Mediterraneo è un crocevia molto antico. Per millenni tutto è confluito verso di lei, confuso, arricchendo la sua storia: uomini, bestie da soma, vetture, mercanzie, navi, idee, religioni, arti di vita. E anche le piante. Pensi che siano mediterranei?» («Sur une carte du monde, la Méditerranée est une simple coupure de l’écorce terrestre, un fuseau étroit, allongé de Gibraltar jusqu’à l’isthme de Suez et à la mer Rouge.

Cassures, failles, effondrements, plissements tertiaires ont créé des fosses liquides très profondes et, face à leurs abîmes, par contrecoup, d’interminables guirlandes de montagnes jeunes, très hautes, aux formes vives […]. Qu’est-ce que la Méditerranée? Mille choses à la fois. Non pas un paysage, mais d’innombrables paysages. Non pas une mer, mais une succession de mers. Non pas une civilisation, mais des civilisations entassées les unes sur les autres… Tout cela parce que la Méditerranée est un très vieux carrefour. Depuis des millénaires tout a conflué vers elle, brouillant, enrichissant son histoire: hommes, bêtes de charge, voitures, marchandises, navires, idées, religions, arts de vivre. Et même les plantes. Vous les croyez méditerranéennes» in Fernand Braudel, La Méditerranée. L’espace et l’istoire, Flammarion, Paris, 2017, pp. 8-9). Così lo storico francese avviava la sua originale storia del nostro Mare Mediterraneo, seguendone le relazioni, gli interscambi, le rivalità e i conflitti tra le civiltà che si sono sviluppate nei secoli sulle sue sponde.
La denominazione di Mediterraneo, di origine latina (Mediterraneus, medius e terra, ma anche in forma più imperialistica Mare nostrum), oggi è divenuta universale, per connotare una vasta aerea di terre abitate che si affacciano su un mare chiuso. Nel nostro piccolo bacino si espressero civiltà che si influenzarono in termini sincronici e diacronici e trovarono la sintesi perfetta nella cultura latina. Nei secoli successivi si mantenne quella opposizione tra Occidente e Oriente (in origine la guerra di Troia) e tra continente e sponde africane (in origine Roma contro Cartagine), su una base di antagonismi commerciali che non ostacolarono tuttavia scambi e simbiosi culturali che ci hanno reso unici nel mondo e ne abbiamo vantato questa unicità con il secolare nostro eurocentrismo, ignorando il viaggio e il soggiorno di Marco Polo descritto nello stupore da favola del Milione e le civiltà dall’India alla Cina.
Tutta la nostra storia è stata la sintesi di questi processi evolutivi e di intersecazione. Ricostruire perciò storicamente il nostro essere è una operazione che ci riporta alla definizione romana del Mare nostrum. D’altronde se diamo una valutazione complessiva del globo, l’influenza dell’Occidente è preponderante, a cominciare dal calendario e dalla cronologia con l’assunzione del numero degli anni fino alle manifestazioni più estranee alle altre civiltà del cosiddetto Estremo oriente. Dal linguaggio comunicativo e commerciale alle arti in genere scorre un processo invasivo di occidentalizzazione. La moda, ma addirittura l’opera lirica segnano questa espansione della nostra cultura che tende ad uniformare e globalizzare, cancellando l’identità dei popoli in un processo di assorbimento globalizzante.

Questa analisi era necessaria per spiegare cosa avvenne allora nel bacino del Mediterraneo, intorno al XII secolo a.C. Almeno dal quel tempo in cui la storia della terra fu catalogazione di probabili ere geologiche, di metamorfosi del globo attraverso milioni di anni, o fu ricostruita da uno scheletro o da un osso calcificato, la fantasiosa per certi versi paleontologia, o infine da ruderi e reperti, la prassi archeologica, si passò alla narrazione orale e poi scritta di fatti e modi di vivere, complice e rivoluzionaria la “ricerca” di Erodoto di Alicarnasso. Tutto l’altro rientrò nelle ipotesi e nelle probabili ricostruzioni.
Il Mediterraneo a noi noto fu un crogiolo di popoli e di razze, uno spontaneo melting pot etnico, religioso, politico, in continuo movimento migratorio e pertanto in un perenne coagulo di culture e civiltà che in genere ruotarono nelle forme primitive intorno alla prevalenza femminile o maschile, dal matriarcato e dal culto della Magna Mater al patriarcato, con la finale assunzione della gerarchia olimpica, e sulla modalità del culto dei morti e della sepoltura, la primitiva cremazione e la successiva tumulazione. Almeno questi sono stati i criteri universalmente riconosciuti per dare un quadro di insieme alla discrasia fra due opposte civiltà e alla definitiva affermazione dell’ultima, che fino ad oggi persiste nell’Occidente e si va imponendo con la forza delle armi o con quella finanziaria in tutto il globo, da New York, il centro di tutto o per dire il Mondo fino alla più piccola isola dell’Oceania.»
(Terracqueo, Carmelo Fucarino Miti mediterranei nella Sicilia antica. All’origine dell’Occidente. Le rive del Mediterraneo, Sezione Un mare di storia, Catalogo, Fondazione Federico II editore, 2020, pp. 69-74).
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