Gli scienziati della University of South Carolina hanno studiato la possibilità e l’eventuale modalità con cui le due principali linee di difesa del nostro organismo nei confronti di agenti patogeni, cioè la risposta immunitaria innata e quella adattativa, possano contribuire alla severità della patologia COVID-19 durante l’infezione. Per lo studio è stato utilizzato un modello matematico, noto come “target cell-limited model”, che rappresenta uno strumento utile per comprendere le dinamiche di una infezione virale.
Tale modello è stato inizialmente validato sui processi ben conosciuti di patogenesi del virus dell’influenza e, successivamente, è stato applicato per lo studio del virus SARS-CoV-2. Sappiamo che subito dopo un’ infezione il nostro corpo attiva risposte immunitarie in ordine sequenziale con il fine di rimuovere il patogeno. L’ attivazione dell’ immunità innata è immediata ed avviene subito dopo il contatto con l’agente infettivo, agisce mediante meccanismi costanti e tende ad annientare il virus e le cellule da esso danneggiate, così da evitare il protrarsi dell’infezione. La risposta immunitaria adattativa avviene nei giorni successivi, ed è necessaria per far fronte a quei patogeni che sono riusciti a sfuggire alla risposta innata.
E’ necessario del tempo per attivare le cellule immunitarie, quali i linfociti B e T, che agiscono selettivamente contro un agente patogeno specifico. Quando il virus dell’influenza infetta le cellule bersaglio del tratto superiore del sistema respiratorio, le uccide entro due o tre giorni e, durante questo periodo, la risposta immunitaria innata combatte il virus cercando di eliminarlo quasi interamente dal corpo. Successivamente, la risposta immunitaria adattativa combatte le particelle virali rimanenti.
Il tempo di incubazione del SARS-CoV-2 è più lungo rispetto a quello del virus dell’influenza, dura approssimativamente 6 giorni, interessa tutto il sistema respiratorio, polmoni inclusi, e manifesta una progressione più lenta della malattia. Secondo i dati ottenuti dal modello matematico, sembrerebbe che l’attivazione della risposta immunitaria adattiva nel caso del SARS-CoV-2 subentri prima che la risposta immunitaria innata abbia completato il lavoro di deplezione delle cellule infettate. Questo disaccoppiamento temporale comporta l’attivazione della risposta immunitaria adattativa quando l’infezione è ancora in fase di progressione e tale risposta potrebbe essere eccessiva e in grado di scatenare una cosiddetta tempesta di citochine o “cytokine storm”. Ciò si tradurrebbe in uno stato di infiammazione elevato al punto da uccidere anche le cellule sane e causare danni ai tessuti.
Questo meccanismo spiegherebbe il motivo per cui in alcuni pazienti COVID-19 la malattia si manifesterebbe in maniera così severa, ed in altri risulterebbe addirittura fatale. Il modello, inoltre, spiegherebbe perché alcuni pazienti manifestano un miglioramento del quadro clinico e, poi, un nuovo peggioramento: il livello virale potrebbe inizialmente decrescere, ma se il virus non viene completamente rimosso le cellule infettate potrebbero rigenerarsi, consentendo al virus di raggiungere un nuovo picco di infezione.
Queste scoperte, finanziate dalla National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ed in parte dal fondo NIH, sono state pubblicate recentemente sul Journal of Medical Virology e suggeriscono un metodo alternativo che potrebbe rivelarsi utile nel combattere il SARS-CoV-2: l’uso di un regime immunosoppressore appropriato nelle fasi iniziali della malattia, al fine di ritardare la risposta immunitaria adattativa e per evitare una sua interazione con la risposta innata. Sebbene molto interessante, la prova della sua efficacia necessita ancora di tanti studi pre-clinici.
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